APPUNTI SULLA

REGOLA DI S. BENEDETTO

di

D. Lorenzo Sena, OSB Silv.

Fabriano, Monastero S. Silvestro, Ottobre 1980


2.2) COMMENTO AL TESTO

CAPITOLO 2

CAPITOLO 64

CAPITOLO 3


CAPITOLO 2

Quale debba essere l'abate.

Qualis debeat abbas esse.

 

Preliminari

Esclusi dalla sua prospettiva eremiti, sarabaiti e girovaghi, SB comincia ad organizzare il cenobio che, per sua definizione, e` una societa` con una legge che lo regola e un capo che ne costituisce l'anima e il fondamento. Ecco allora, all'inizio della RB, questo fondamentale capitolo che, dopo il 7^, e` il piu` lungo (a prate il prologo) e senza dubbio uno dei piu` gravi e solenni.

SB dedica all'abate e alla sua funzione due capitoli: il secondo, dove la figura del superiore e` esaminata in connessione con la dottrina spirituale che deve insegnare; e il 64.mo, che tratta dell'elezione dell'abate e in cui e` ripreso il tema dei compiti affidatigli. Per questo motivo esamineremo di seguito i due capitoli.

Tuttavia, dell'abate si parla in quasi tutta la Regola per l'importanza del ruolo come lo concepisce SB, sopratutto nella "sezione disciplinare". E` l'abate che sceglie il priore e il cellerario (RB 65,11; 31,1) e forse anche i decani (RB 21,1); che si prende cura degli scomunicati (RB 27-28) ed eventualmente puo` cacciare un monaco recalcitrante (RB 28,6). All'abate sono affidati la responsabilita` dell'amministrazione, gli uffici piu` importanti nella liturgia; egli puo` cambiare l'ordine dei posti e la misura dei cibi e delle bevande. A noi interessa sopratutto la figura dell'abate come SB la propone e come e` vista nella prospettiva di oggi.

 

Problemi attuali riguardo all'autorita`.

Dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II, la questione dell'abate e` stata molto discussa e studiata, specialmente a causa della crisi in cui si e` trovata la figura del superiore nelle comunita` religiose. Le cause sono varie:

- l'esigenza di una maggiore democraticita` nei confronti dei superiori troppo accentratori e dittatoriali;

- la necessita` di rendere piu` responsabili i membri della comunita`, evitando i rischi di infantilismo;

- infine la profonda revisione cui e` stata soggetta la comunita` religiosa.

Percio` si e` cercato di riscoprire attraverso molti studi le differenti figure del superiore nella tradizione monastica.

Le due immagini piu` note

Sono due, in particolare, le immagini piu` note:

- La figura dell'anziano di provata esperienza e dotato di carismi personali, capace di avviare il discepolo alla vita monastica e di dirigerlo personalmente. Questa immagine, ben conosciuta sopratutto dagli apoftegmi e dalle collazioni di Cassiano, vede l'anziano circondato da discepoli, ma il rapporto non e` stabile e l'obbedienza, pur ritenuta un valore importante, non e` una virtu` obbligante ne` stabile. Cio` che lega anziano e discepolo e` sopratutto la parola e l'esempio del maggiore; e` cosi` che il discepolo cresce e puo` diventare a sua volta maestro e padre di altri.

- La figura di superiore nella tradizione pacomiana. La comunita` e` stabile e numerosa, l'accento e` posto sopratutto sulla "koinonia" tra i membri di cui il superiore e` garante, colui che deve consolidarla e renderla fervente. La funzione abbaziale e` dunque un servizio reso alla comunita` dei fratelli.

Oltre a queste immagini piu` antiche che possono aver contribuito a formare la figura dell'abate nella RB, ce ne sono tante altre formatesi lungo i secoli, per esempio: l'abate-signorotto del medioevo, l'abate-garante dell'obbedienza in senso strettamente giuridico e l'abate-padre della famiglia monastica. Tutto questo ci aiuta ad approfondire il senso dei capitoli sull'abate.

Un proprio "genere letterario"

RB.2 e RB.64 presentano un proprio "genere letterario" che potremmo definire del pastore o della esortazione al buon governo e che si trova in numerosi altri scritti, ad esempio:

- le lettere pastorali di Paolo (a Timoteo e a Tito),

- la lettera a Policarpo di Ignazio di Antiochia,

- la lettera a Nepoziano di S.Girolamo,

- il "De officiis" di S.Ambrogio,

- il "Dialogo sul sacerdozio" di S.Giovanni Crisostomo,

- l'"Apologia sulla fuga" di S.Gregorio Nazianzeno,

- la "Regola pastorale" di S.Gregorio Magno.

Elementi caratteristici di questo genere letterario sono gli elenchi di qualita` e di virtu`; i numerosi imperativi e congiuntivi esortativi; e in particolare il forte richiamo alle responsabilita` del superiore.

 

1-3: l'abate fa le veci di Cristo

La prima parte del capitolo 2 attira tutta l'attenzione sul titolo di abate, di cui RB e RM vogliono dare tutto un programma di vita. Il nome, quando lo utilizzava SB, aveva ormai una storia lunga, monastica e premonastica.

1: il termine "abate"

"Abbas-abate" dall'aramaico <abba> = padre, nel NT si applica solo a Dio, Padre del Signore Nostro Gesu` Cristo e Padre nostro ed e' Gesu` che lo pronuncia e lo Spirito Santo lo pone sulle nostre labbra (Rom 8,15). Allora, come e` possibile applicarlo ad un uomo? Tanto piu` che Gesu` dice: "Non chiamate nessuno "padre" sulla terra, perche` uno solo e` il Padre vostro, quello del cielo" (Mt.23,9). S.Giroloamo si indignava che ci fossero nei monasteri quelli che chiamavano altri o si facevano chiamare con tale nome.

In realta`, l'unica giustificazione possibile per attribuire ad un uomo, sul piano religioso, il nome di "abba`" e` quella di rendere omaggio all'unica parternita` di Dio che tale uomo rappresenta.

Evoluzione del significato del termine di abate

Agli inzi del monachesimo si comincio` ad usare tra i monaci la parola abba` (in Egitto <apa`> in copto) senza alcun riferimento a potere di governo; si dava a monaci venerando non come puro titolo onorifico, ma come a veri padri spirituali, persone attraverso le quali si esercitava la parternita` di Dio nel deserto;

<apa-abba> non l'uomo che governava in monastero, ma solo il monaco che era arrivato alla perfezione ed era ripieno dello Spirito di Dio, che possedeva il discernimento degli spiriti, la scienza spirituale, era capace di pronunciare parole di salvezza ispirate dallo Spirito Santo, capace di generare figli secondo lo Spirito, fino a formare in loro monaci perfetti e futuri "padri spirituali". E` l'immagine piu` comune negli Apoftegmi e in Cassiano, come gia` detto sopra (nei preliminari di questo capitolo).

Pero`, come si sa, le parole si evolvono con l'uso e cambiano di senso; piano piano "abba" si trasforma in puro titolo onorifico o titolo di governo; il suo significato tecnico, caratteristico e pregnante di "padre spirituale", di "anziano" che guida le anime ando` man mano sfumando. In occidente il termine "abbas-abate" si impose sugli altri - "padre", "preposito", "maggiore" - con cui si designava il superiore di una comunita` monastica; nel secolo VI era la parola maggiormente usata e in tal senso la troviamo in RB e RM.

Responsabilita` dell'abate

SB vuole che l'abate stesso per primo sia consapevole di cio` che comporta il suo nome e sin dall'inizio si appella al suo senso di responsabilita`: "deve realizzare con i fatti il nome di superiore". Se dunque il termine di abate nella RB non richiama il concetto di uomo carismatico, anziano, che comunica lo Spirito ai monaci, tuttavia acquista un nuovo e profondo significato: l'abate fa in monastero le veci di Cristo, e di questo ne siamo convinti per fede. E` il grande principio fondamentale - non si tratta di una opinione, di una pia credenza, ma e` materia di fede - che e` divenuto nella RB la definizione dell'abate.

L'abate secondo la RM

Che cosa significa che l'abate fa le veci di Cristo nel monastero? La formula e` una sintesi della dottrina esposta a lungo nella RM e di cui restano solo poche tracce in SB. Il succo della RM e` questo: l'abate esercita una funzione analoga a quella del vescovo e appartiene come lui alla categoria dei "dottori", cioe` di quei ministri posti da Cristo a capo della Chiesa dopo gli "apostoli" e i "profeti" (1Cor.12,28); come il vescovo governa la Chiesa, cosi` l'abate governa solamente una "schola" di Cristo, cioe` il monastero; come il vescovo e` assistito da presbiteri, diaconi e chierici, cosi` l'abate si fa coadiuvare da "prepositi" (decani nella RB). Questo parallelo tra superiori ecclesiastici e monastici era comune nei testi del secolo VI (cosi` a proposito delle comunia` pacomiane, cosi` in Cassiano, ecc.) e si appoggiava sui medesimi testi scritturistici: "Pasci le mie pecorelle..." (Gv.21,17); "Chi ascolta voi, ascolta me" (Lc.10,16).

Il concetto di "dottore" successore degli apostoli da` modo poi alla RM di inserire l'abbaziato nella gerarchia cristiana a fianco all'episcopato. (Pare comunque che il successivo sviluppo dell'abate-pontefice rivestito delle insegne pontificali tragga origine non dal testo della RM ma dall'importanza temporale dei monasteri, dal peso cioe` da essi esercitato sulla societa` in campo giuridico, economico e culturale).

Abate-dottore

L'abate dunque e` successore degli apostoli, in quanto "dottore"; rappresentante di Cristo in quanto "abate-padre". Questi due aspetti sono uniti, dato che "apostoli" e "dottori" sono emissari del Signore. Ci agganciamo cosi` al concetto di monastero come "schola": la scuola di Cristo deve avere il suo "dottore" che fa le veci dell'unico Maestro. Quindi, non preoccupandosi dell'uso del termine "abate" presso i monaci di Egitto e di altre parti (vedi sopra), la RM va subito al NT e si riferisce direttamente a Cristo; cosi` abate non significa altro che "dottore": le due nozioni hanno lo stesso significato, di una autorita` derivante da Cristo.

Questa dunque la concezione dell'abate nella RM. SB, nella sua concisione, conserva la sostanza di questa dottrina, pur con modifiche e particolarita` proprie, frutto di una diretta e sofferta esperienza in questo campo. Ma torniamo al testo.

2: Poiche` e` chiamato con il suo stesso nome

SB, cioe`, prova che il superiore fa le veci di Cristo dal fatto che e` chiamato con il suo stesso nome: "abba-padre'. Al lettore moderno suona molto strano il fatto che Cristo e` chiamato "Padre"; e i commentatori hanno cercato di interpretare questo passo che e` uno dei piu` studiati di tutta la Regola (c'e` una bibliografia abbondantissima): grazie a questi numerosi contributi, si sono trovati molti testi di epoca patristica in cui Cristo viene designato come Padre; attraverso Giustino, Clemente Alessandrino, Origene, Atanasio, Agostino, Evagrio Pontico, Cesario di Arles e molti altri, abbiamo la certezza che la dottrina della paternita` di Cristo e` molto antica, piuttosto comune, tradizionale e ortodossa.

La dottrina della paternita` di Cristo

Si da` a Cristo il nome di Padre in quanto e` il nuovo Adamo (Rom.5,12-21); Sposo della Chiesa (Ef.5,23-33; 1Cor.6,16; Ap.21,9); Maestro dei cristiani (Mt.23,10 ecc.) e il maestro era generalmente considerato come il padre spirituale dei suoi discepoli. Cristo puo` chiamarsi Padre in quanto e` la manifestazione della paternita` di Dio: Egli e` infatti "irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza" (Eb.1,3). In che senso bisogna prendere la paternita` di Cristo di cui l'abate e` vicario secondo la RB? Si tratta anzitutto di una paternita` spirituale, e poi anche di una paternita` adottiva, secondo l'altra affermazione di Prol.3-7 in cui si dice che Egli (cioe` Cristo, secondo l'interpretazione piu` comune considerato il contesto e il parallelo con la RM) ci ha adottato come figli.

Notiamo che la RB e` piu` cauta che la RM (in cui nel prologo c'e` il lungo commento al "Padre Nostro" come preghiera diretta a Cristo), pero` anche qui appare Cristo come Padre adottivo dei monaci e questa paternita` fonda la sua autorita` su di loro, come quella dell'abate suo vicario.

3: Rom.8,15: dicente apostolo...

Tuttavia, l'applicazione del testo paolino di Rom.8,15 non e` molto appropriata in quanto la frase, nonostante i paralleli nella letteratura patristica, si riferisce per Paolo direttamente a Dio Padre, non al Figlio.

Potremmo dire che dando a Cristo il nome di Padre, SB vuole reagire contro la tendenza ariana di considerare il Figlio come inferiore al Padre. Nello sforzo di salvaguardare la divinita` del Signore Gesu`, troviamo la ragione per cui e` messa in ombra la considerazione di Cristo come "Fratello", per cui la cristologia di SB risulta un po` unilaterale, mentre si e` notata la sua devozione alla Trinita`: Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito sono chiaramente posti in evidenza nella Regola. Ricordiamo il riferimento esplicito all'opera dello Spirito Santo in un momento culminate della Regola: RB.7,70. E` senza dubbio come fratello, e non come Padre, che il NT presenta Gesu`. I testi sono chiari e numerosi: sono suoi fratelli tutti i poveri, gli abbandonati, gli afflitti (Mt.25,40); "andate a dire ai miei fratelli" (Mt.28,10); Gesu` parla di "Padre mio" e "Padre vostro" (Gv.20.17); "primogenito di una moltitudine di fratelli", dice Paolo (Rom.8,29)...

La unilateralita` cristologica della RB, se si preme un po', avrebbe delle grosse conseguenze con il suo presentare l'abate quale vicario non di Cristo-Fratello, ma di Cristo-Padre: eleva l'abate da un livello umano e fraterno - che Cristo adotto` nella sua vita mortale - a un piano superiore, eccelso, quasi divino. Certo, ci sono molti passi in cui SB (a differenza della RM) ricorda all'abate la sua condizione di uomo peccatore, di luogotenente, ecc., ma nella RB viene quasi canonizzata una distanza, un livello incolmabile tra l'abate e i monaci. E` difficile immaginare l'abate benedettino come un S.Pacomio che serve fraternamente la "koinonia" (= la comunita`) con una dedizione e una umilta` non solo interna ma esterna e visibile. Percio` quando alcuni autori (ad esempio Kleiner) dicono che l'abate paragonato al "paterfamilias" romano di potere assoluto, o al "signore feudale" spirituale e nello stesso tempo guerriero, o a un "principe-prelato" dell'epoca barocca, o al "padre-abate" idealizzato e romanticamente sopraelevato dalla restaurazione monastica, sono soltanto delle evoluzioni diverse, attraverso i tempi, della idea originale, si deve riconoscere che, si`, le trasformazioni si devono alle circostanze socio-politiche cambiate; pero` il fatto di vedere l'abate su un piano notevolmente superiore ai monaci, ha il suo fondamento stesso nella RB (e molto piu` nella RM).

4-10: Posizione dell'abate rispetto a Cristo

Posto il principio fondamentale - che l'abate e` il vicario di Cristo-Padre - il resto del capitolo contiene continue e isistenti esortazioni dirette all'abate stesso, perche` compia fedelmente il suo ufficio che si va definendo a poco a poco. In primo luogo appaiono due immagini, due analogie, corrispondenti a due attributi di Cristo attestati nel Vangelo e illustrati abbondantemente nella tradizione letteraria e dall'arte paleocristiana:

Cristo Maestro e Pastore: cosi` l'abate.

"Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene, perche` lo sono" (Giov.13,13), "Io sono il Buon Pastore" (Giov.10,14): sono parole di Gesu`. Rappresentante di Cristo in monastero, l'abate di conseguenza esercita l'ufficio di maestro e di pastore.

Abate - maestro

Come maestro, l'abate "insegna, stabilisce, comanda", allo stesso modo degli antichi maestri, solo che non insegna una dottrina propria; non impone una sua propria volonta`, la sua dottrina e` di Cristo, i suoi precetti debbono conformarsi costantemente alla volonta` di Cristo. Il governo e la dottrina di lui dovranno essere fermento di santita` nell'animo dei monaci; l'idea del fermento e` un'allusione alla parabola del Signore (Mt.3,33); si applica, naturalmente, sopratutto all'opera di formazione e di insegnamento, che costituisce un essenziale compito dell'abate e distingue il carattere di lui da quello comune e semplice di capo, di superiore (si ricordi quanto detto sopra dell'idea di abate quale uomo con il carisma di "dottore" secondo la letteratura monastica e sopratutto in RM).

Come maestro, l'abate dovra` render conto non solo della sua dottrina, ma anche della condotta dei discepoli. Il che evidentemente non esime costoro dal giudizio divino, come invece pretende la RM (per lo meno in tre passi: RM1,87.90-92; 2,35-38; 7,53-56: con questo ragionamento i monaci non debbono fare altro che obbedire all'abate e su quest'ultimo ricade tutta la responsabilita` dei loro atti). Nella RB non c'e` riferimento alcuno a questa strana teoria che fa dei monaci degli "irresponsabili" eterni "minorenni". Tuttavia l'abate e` responsabile dei monaci.

L'abate - pastore

Come pastore, si imputeranno all'abate le deficienze del gregge, qualora esse dipendano dalla negligenza del pastore. Il "paterfamilias", il capo della casa, ha affidato a lui pastore la custodia e l'incremento del gregge; come i servi della parabola evangelica, l'abate dovra` render conto del frutto e sara` ritenuto responsabile di ogni mancanza dovuta alla sua incuria. Si noti la forza con cui SB accentua questa cura pastorale: "tutto lo zelo" [per le anime turbolenti], "con ogni diligenza" [ogni rimedio per le loro infermita`]. Solo allora. se il gregge si mostra ostinatamente ribelle, sara` responsabile in proprio della sua rovina e l'abate sara` assolto nel giudizio divino.

11-15: duplice insegnamento: con la parola e con l'esempio

SB ricorda poi un principio di somma importanza che i monaci antichi non cessavano di inculcare: la dottrina del maestro deve essere duplice, cioe` teorica e pratica, l'abate deve insegnare piu` con l'esempio che con la parola (ricordare che di Gesu` Luca dice: "coepit facere et docere - fece ed insegno`" (Atti 1,1). E subito aggiunge un chiarimento: per i piu` intelligenti ed evoluti basteranno anche le sole parole, ma per i piu` duri e incolti occorre anzitutto l'esempio:

- discepoli capaci: sono quelli che per innata o acquisita finezza di intelletto e di cuore e per l'energia di volonta` sanno comprendere e seguire presto l'insegnamento del maestro.

- duri di cuore: frase biblica (Is.46,12 ecc.) che qui significa "quelli che stentano a capire e ad eseguire".

- anime semplici: con paterna delicatezza SB allude ai piu` rozzi e incolti, privi di finezza. Si pensi che nella sua stessa comunita`, accanto ai nobili Mauro e Placido, c'era anche il "goto" che S.Gregorio dice "pauper spiritu - povero di spirito" (Dial.II,6).

13: coerenza dell'abate tra quanto insegna e quanto fa

"Affinche` mentre predica agli altri, non sia trovato riprovevole proprio lui": applicazione del testo paolino di 1Cor.9,27. SB, che concede all'abate tanto potere, non esita a ricordargli gravemente che anche lui e` soggetto alla legge di Dio e alla Regola, e la discordanza tra l'insegnamento e la vita sarebbe molto grave, e lo renderebbe oggetto di un piu` severo giudizio da parte di Dio, come dice nei versetti seguenti con due citazioni scritturistiche, una del VT (salmo 49,16-17) e una del Vangelo (Mt.7,3).

16-40: Governo dell'abate:

Dopo gli avvisi sull'insegnamento abbiamo quelli sul governo.

16-22: a) imparzialita`...

L'abate non deve, nei confronti dei suoi monaci, avere o mostrare preferenze personali, basate sulla nascita, sulla posizione sociale, sulla naturale simpatia, sulla parentela o su altri motivi umani, perche` in Cristo tutti siamo uguali (Gal.3,28) e non vi e` preferenza di persone presso Dio (ef.6,8). L'unico criterio per le preferenze di Dio e` la maggiore bonta` e la maggiore umilta`; e solo di questo genere e` l'eccezione che puo` fare l'abate (v.17), non commette ingiustizia preferendo i piu` obbedienti.

Si veda il caso di Marco, discepolo dell'abate Silvano negli "Apophtegmata Patrum - Detti dei Padri" (Cf. I Padri del Deserto. Detti, Citta` Nuova Ed. 1972, pp.254-255). Le raccomandazioni contro il pericolo del favoritismo, che sarebbe disastroso, erano comuni nella tradizione monastica. (Cf. ad esempio: S.CESARIO: Lettera di esortazione alle vergini, citata in LENTINI, p.68).

23-29: b) ... la correzione ...

SB intende trattare di un aspetto molto difficile nell'opera di governo: il dovere di correggere. Il tema e` diviso in due parti: il primo (vv.23-25) ha il parallelo in RM; il secondo (vv.26-29) di una notevole durezza, e` proprio di SB.

23-25: adattamento ai vari caratteri

Il primo insiste sulla necessita` di adattarsi, per la correzione, ai vari caratteri: gli uomini non sono tutti uguali, le circostanze sono diverse, non si puo` quindi agire con i singoli allo stesso modo. SB si rifa` alla sentenza paolina di 2Tim.4,2 (v.23), che poi sviluppa nei vv.24-25):

- ammonisci, vale per gli indisciplinati e gli irrequieti, i caratteri facilmente mobili, agitati;

- esorta, vale per gli obbedienti, i miti, i pazienti, i monaci docili ai quali basta una leggera parola di approvazione o di conforto perche` proseguano nella virtu`;

- rimprovera, vale per i negligenti e gli abituali trasgressori, o che dimostrano aperto disprezzo per la Regola o per gli ordini dei superiori. Si noti la bella espressione del v.24 in cui si consiglia all'abate di mostrarsi esigente come un maestro e tenero come un padre, secondo le circostanze.

26-29: c) ... correzione tempestiva ed efficace

L'altra parte di questo tema precisa con piu` esattezza il modo della correzione: questa deve essere immediata ed effettiva; l'abate non deve chiudere gli occhi sulle mancanze abituali e sugli abusi dei monaci inosservanti: correrebbe il rischio di cadere nello sdegno di Dio come avvenne a Heli sacerdote di Silo (1Sam.2-4 passim) il quale rimproverava i figli Cofni e Pincas che davano scandalo, ma non li correggeva efficacemente: Dio puni` tutti e tre con la morte. Per questo, ai piu` delicati e comprensivi, bastera` l'ammonizione a parole, una o piu` volte, ma agli ostinati si applichera` subito il castigo corporale.

Qualche lettore di oggi potrebbe rimanere colpito da questo ricorso alle battiture. Ma si pensi che sono passati 14 secoli e i costumi sono cambiati. A quel tempo la pratica delle battiture era comune anche per i monaci e chierici, si ricorreva ad essa o per colpe molto gravi o quando l'eta` e la rozzezza rendevano inefficaci le pene spirituali. Inoltre SB pensava anche ai fanciulli che vivevano nel cenobio: per loro - e per qualche adulto da considerare come un grosso bambino - egli riteneva, secondo la Scrittura e la tradizione romana e monastica, che l'educazione severa comprendente anche sanzioni corporali, fosse necessaria a temperare caratteri forti.

30-32 Regere animas - governare anime

Tutta la rimanente parte del capitolo e` dominata da questa idea: il governo dell'abate e` un governo di anime, e SB gli ricorda la grande responsabilita`: "ricordi quel che e` e come viene chiamato" e poi un riferimento alla frase del Vangelo: "a chiunque fu dato molto, molto sara` richiesto; a chi fu affidato molto, sara` richiesto molto di piu`" (Lc.12,48).

Regere animas, governare anime: tre volte (v.31, 34, 37) appare l'espressione per ricordare che cio` costituisce senza dubbio l'incarico essenziale, il piu` delicato e il piu` arduo; "guidare le anime" significa "adattarsi a temperamenti molto diversi", che nel testo latino e` "multorum servire moribus" (v.31): e` nel concetto vero e cristiano dell'autorita` che essa e` fatta per il bene degli altri, E` un servizio.

Autorita` come servizio: oggi sopratutto, nella Chiesa, su questo si insiste molto. L'abate deve donarsi tutto a vantaggio della comunita`, allora si conformera` alla varia indole dei suoi monaci; questa disponibilita` non solo gli evitera` la perdita di qualche pecorella (fu anche la preoccupazione di Gesu`, cf.Giov.17,12), ma gli dara` la soddisfazione di vedere crescere in merito e in numero il proprio gregge.

33-36: Primato delle anime sugli affari temporali

Pastore di anime, l'abate dedichera` ad esse il meglio delle sue energie e delle sue qualita` e non si preoccupera` troppo delle cose transitorie, terrene e caduche (v.33): si noti l'accumularsi di epiteti per indicare l'inconsistenza e la provvisorieta` degli interessi materiali, in confronte del bene delle anime che deve essere al centro dei pensieri dell'abate (v.34). Che cosa importa la eventuale scarsezza di beni materiali? Abbia fede nella Provvidenza: vengono addotte due citazioni, una del Vangelo (Mt.6,33, "cercate prima...", la notissima sentenza di Gesu` che e' valida per tutti i cristiani, tanto piu` lo e` per i monaci che cercano esclusivamente il Regno di Dio), e una del Salmo 33,11: "nulla manca a chi teme Dio".

37-40: Osservazione escatologica conclusiva

SB termina il capitolo secondo con espressioni - uguali nella RM - che insistono ancora una volta sul rendiconto che l'abate dara` a Dio di tutte e singole le anime affidate alla sua cura, oltre, naturalmente, alla propria. Questo pensiero gli infondera` un salutare timor di Dio che servira` anche alla vigilanza su se stesso; e mentre procurera` che i fratelli si correggano dei loro difetti, si andra` anche lui correggendo dei propri.




CAPITOLO 64

L'elezione dell'abate.

De ordinando abbate.

 

Preliminari

Nulla aveva detto il capitolo 2^ sulla elezione dell'abate. Se ne parla in questo capitolo 64, il cui titolo corrisponde solo alla prima parte del testo (vv.1-6), mentre la seconda parte, molto piu` lunga (vv.7-22) contiene un nuovo direttorio abbaziale sulle qualita` e caratteristiche dell'abate, in parte simili, in parte diversi dal capitolo 2^.

Non e` facile interpretare i vari termini che compaiono nel testo. I verbi-chiave sono: ordinare, constituere e eligere, che si possono rendere in italiano con: scegliere, eleggere, designare, elevare, costituire. La RB non spiega il senso preciso di queste parole, ne' come si realizzava cio` che esse significano. Si puo` dire che per SB l'elezione di un abate e` un avvenimento sopratutto spirituale che viene dall'alto, non tanto giuridico; quindi non vuole imporre a Dio delle regole fisse. Cio` che importa e` che si nomini una persona degna. Inoltre, si ritiene oggi che quando un legislatore monastico non e` molto esplicito e chiaro nel definire qualche punto, lo fa perche` da` la cosa come scontata, ben conosciuta e rimanda alla norma comune.

Nel secolo VI i modi di designazione erano diversi, se ne conoscevano almeno sei: il nuovo abate poteva essere nominato dal predecessore, dagli abati della regione, dal vescovo locale, dal vescovo metropolita o dal patriarca, dal signore del luogo (feudatario, conte, duca...) o, a volte, da un gruppo di persone particolarmente qualificate. In questi casi l'elezione da parte di tutta la comunita` poteva significare solo l'accettazione di una designazione gia` fatta da una autorita`. Passiamo al testo.

 

PRIMA PARTE: vv.1-6.

1-6: Procedura per l'elezione dell'abate

Secondo la RM, era l'abate prossimo alla morte che sceglieva il successore. SB accetta invece un modo che rimontava alle origini del cenobitismo: la comunita` di comune accordo sceglie un nuovo capo (questa prassi era prevista e approvata dalle leggi ecclesiastiche e civili); ma comune accordo "secondo il timore di Dio", cioe` seguendo il criterio unicamente valido per il superiore (v.2), il quale deve essere persona degna e con tutte quelle qualita` elencate nel capitolo 2 e nel capitolo 64,7-22.

Importanza del vescovo nell'elezione

SB non offre particolari sul meccanismo elettorale. Nel caso in cui nessuno dei monaci riceva un suffragio unanime, cioe` nel caso di una comunita` divisa, l'intenzione di SB e` che sia preferito il candidato scelto dalla parte piu` sana e spirituale della comunita`, per quanto piccola di numero possa essere. Ma come si fa a stabilire qual'e` questa "parte piu sana"? Potevano essere senza dubbio quelli che avevano condiviso parte di responsabilita` con l'abate precedente: i superiori subalterni, i decani o i seniori spirituali. Nel caso anche qui di dubbio (o di discordia), si deve supporre, come appare in maniera evidente dal contesto seguente, che era il vescovo, abitualmente o occasionalmente coadiuvato dagli abati vicini, che doveva giudicare quale fosse la parte piu` stimabile della comunita` e preferire il suo candidato.

Due garanzie: vita santa e soda dottrina

Quello che importa per SB e` che l'eletto offra garanzia di una vita irreprensibile e di una dottrina sicura, anche se fosse l'ultimo nell'ordine della comunita` (v.2); una clausola, questa, molto originale per le consuetudini del tempo in cui le elezioni tenevano conto, e` vero, del merito personale, ma anche (e a volte sopratutto!) del rango del candidato. In ogni caso ne' il vescovo diocesano, negli abati della regione, ne' i cristiani del luogo dovevano permettere che si designasse un abate indegno, complice dei vizi dei monaci, anche se fosse stato eletto all'unanimita` (si pensi ai monaci di Vicovaro, Dial.II,2).

E` notevole l'energia di SB in questo passo (vv.3-6): non ha paura dell'ingerenza di estranei al monastero, anzi la sollecita; da qui possiamo capire che il monastero di allora non era fuori dal contesto e dall'organizzazione della Chiesa locale: l'ultima parola, appare chiaro, spettava al vescovo della diocesi; anche nel caso della scelta unanime della comunita` essa non costituiva definitivamente il candidato nel suo ufficio, equivaleva ad una "presentazione" che poi veniva ratificata dalla competente autorita` ecclesiastica; il vescovo, cioe`, decideva se l'eletto era degno di governare "la casa di Dio" (v.5).

In tutto il capitolo il termine "ordinare" significa l'atto legale con cui uno viene di fatto immesso in un ufficio. Dalla RM e da alcune lettere di S.Gregorio, si puo` arguire che l'atto ufficiale con cui il nuovo abate veniva insediato dal vescovo nel suo nuovo ufficio, si compiva in maniera solenne e probabilmente durante la celebrazione dell'Eucarestia. Non si tratta ovviamente di una ordinazione sacramentale, ma solo di una benedizione abbaziale che e` come un sacramentale; ma non si sa bene in che cosa consistesse; forse in orazioni da parte del vescovo sopra il nuovo eletto. Il documento liturgico piu` antico che offre un formulario di ordinazione o benedizione dell'abate e` il Sacramentario Gregoriano (sec.VI): consta di una sola orazione, chiaramente ispirata al capitolo 2^ della RB.

L'elezione dell'abate nel corso dei secoli

Nel corso dei secoli, come si sa, non sono mancati gravi abusi nell'elezione dell'abate, come all'infelice tempo della commenda (Cf.DIP <Dizionario degli Istituti di Perfezione>, I,26-27: voce "abbas",3) o della intromissione di principi o di altri laici. Le reazioni a questi abusi portarono a una dottrina canonica in cui sono precisati dal diritto generale e particolare (dalle Costituzioni delle singole congregazioni) le norme per l'elezione, la procedura, la durata in carica, ecc. (Cf. studio delle nostre Costituzioni).

Durata dell'ufficio abbaziale

Secondo la RB e` chiaro che l'abate e` a vita e, essendo ogni monastero autonomo, viene eletto nell'ambito della propria comunita`. Con il raggruppamento di monasteri in congregazioni o per motivi storici o per la nascita di famiglie monastiche con una organizzazione centralizzata (come la nostra congregazione Silvestrina), qualcosa e cambiato. Anche nei grandi monasteri "sui iuris" non sempre l'abate e` tratto dalla stessa comunita` (ma anche da altri monasteri delle stessa congregazione o federazione); inoltre, con il cambiamento della mentalita` e anche per volonta` della Chiesa (che invita i vescovi a dimettersi a 75 anni d'eta`) molte congregazioni monastiche prevedono ora, in occasione della visita canonica, una procedura che invita l'abate a dimettersi; altre congregazioni preferiscono un abbaziato temporaneo o superiori nominati per un tempo breve. Anche le grandi abbazie che conservano ancora l'abate a vita si pongono oggi il problema.

Tutto questo, naturalmente, ha mutato la figura tradizionale dell'abate come e` nella Regola di S.Benedetto. (Per la posizione giuridica dei superiori dei singoli monasteri, del Priore Conventuale e dell'Abate Generale nella nostra Congregazione, cf. lo studio delle nostre Costituzioni).


SECONDA PARTE: vv.7-22. Nuovo direttorio abbaziale

I vv.7-22 contengono un'esortazione al nuovo abate che entra nel suo ifficio, non solo riguardo ai suoi obblighi, ma anche riguardo a cio` che deve essere - o cerca di essere - egli stesso. Per la RM l'unico criterio per l'elezione di un abate era la perfezione personale che uno aveva raggiunto: a chi deve insegnare l'arte spirituale si richiede che la sappia praticare meglio di tutti. Invece la RB in questa nuova esortazione parla all'abate delle qualita` umane, del carisma della direzione delle anime, delle doti del pastore. Abbiamo cosi' un nuovo direttorio abbaziale, che e` un completamento, una aggiunta, una ratifica anche, con il suo accento piu` affettuoso e paterno, con il tono di maggiore discrezione e benignita`, frutto senz'altro di esperienza personale. E' una stupenda pagina di letteratura cristiana in cui si armonizza la saggezza di un profondo conoscitore delle anime e l'ispirazione soprannaturale di prudenza e carita`; vi aleggia lo stile delle lettere pastorali di S.Paolo e quello delle esortazioni liturgiche agli ordinandi.

 

SCHEMA del cap.64

Lo schema e` abbastanza lineare: alla introduzione (v.7) corrisponde la conclusione (vv.21-22) che trattano di uno stesso tema: rendiconto a Dio, prospettiva escatologica; alla breve raccomandazione di quattro qualita` positive (v.9) corrisponde l'avvertenza contro le sue qualita` negative (v.16).

Si noti che nella RM non si parla mai di eventuali difetti dell'abate, il quale deve essere piu` avanti di tutti nella perfezione. Al relativamente lungo commento sulla correzione dei difetti (vv.12-15) corrisponde il commento sul modo di governare (vv.17-19); la raccomandazione di far osservare la Regola (v.20) e' la conseguenza di tutto quanto precede e annuncia la conclusione. E` quindi una costruzione ben combinata. Vediamo il contenuto.

7-8: Coscienza della sua responsabilita`

SB insiste, con la ripetizione di parole simili (pensi, si ricordi, sappia), sulla coscienza della sua responsabilita` che l'abate deve avere. E` un tema gia` molto sviluppato nel primo direttorio abbaziale (vedi RB.2,6-7; 2,34; 2,37-38). Sappia che deve giovare piu` che dominare <prodesse magis quam praeesse>: una bella massima con efficace giuoco di parole prese da S.Agostino (Discorso 340,1 e altrove) che forse era di uso comune ai tempi di SB.

9-10: Qualita` positive

Delle quattro qualita` positive elencate in questo passo (dottrina, intemeratezza, sobrieta`, misericordia), la prima e la quarta sono seguite da un piccolo commento.

9: Sia dotto nella legge divina.... L'abate sia istruito nella legge di Dio, perche` il primo elemento della sua opera di bene e` l'insegnamento delle cose divine. SB ha gia` insistito nel capitolo 2 su tale compito dell'abate, la cui dottrina deve infondere nel cuore dei discepoli un fermento di giustizia divina (RB.2,5; cf. anche RB.2,11-15); "... perche` sappia da dove trarre insegnamenti nuovi e antichi" (l'espressione latina "nova et vetera" e` una citazione di Mt.13,52): sono gli insegnamentoi che non mutano e le applicazioni che cambiano ogni giorno, le regole che sono eterne e gli ammonimenti che si adattano a ciascun individuo.

Sia casto, sobrio, misericordioso: richiamo all'elenco delle qualita` del vescovo in S.Paolo (cf. per es. 1Tim.3,2). L'ultima qualita`, la misericordia, e` seguita da un commento. SB raccomanda all'abate di preferire la misericordia alla giustizia (citazione di Giac.2,13), "affinche` egli stesso possa ottenere un trattamento simile" (chiarissima allusione a due passi del Vangelo: Mt.5,7; Mt.7,2).

11-15: Indulgenza e amore nella correzione

Nella medesima linea della misericordia, abbiamo un'altra sentenza lapidaria frequente in S.Agostino (Discorso 49,5 e altrove), con l'invito a non cessare di amare i fratelli mentre detesta i vizi: oderit vitia, diligat fratres (detesti i vizi, ami i fratelli).

12: ne quid nimis

La massima precedente "oderit vitia, diligat fratres" conduce SB a trattare del modo di agire nella correzione, che e` uno dei temi capitali del codice monastico, con l'insistenza sulla moderazione: Ne quid nimis (senza eccedere). La sentenza classica (era attribuita a uno dei sette sapienti) ispira il senso del giusto mezzo e della discrezione. Forse SB la ricordava dalla scuola giovanile; pero` in seguito il ricorso alla Scrittura (Is.42,3: che "non si deve spezzare la canna gia` incrinata" del v.13) eleva la massima dal semplice piano naturale alla imitazione di Gesu` stesso (cf.Mt.12,20 dove la citazione di Isaia e` applicata a Gesu`).

In nessun altro testo appare, come qui, il carattere di ritrattazione o di rettifica del capitolo 64 rispetto al capitolo 2. Abbiamo visto come nel primo direttorio abbaziale SB invita l'abate a estirpare dalle radici, appena cominciano a spuntare, i difetti dei fratelli (RB.2,26); se coloro che trasgrediscono sono individui "testardi, superbi e ribelli", dice di non perdere tempo ad ammonirli, ma di punirli subito con castighi corporali (RB.2,26-29). Qui raccomanda, si`, di stroncare i vizi, ma il tono e` interamente diverso: "usi prudenza e carita`, adattandosi al temperamento di ciascuno" (v.14). Con tutto il contesto in cui si inculca con insistenza la misericordia e l'amore, la norma sulla correzione finisce col perdere l'eccessiva durezza, in un certo contrasto con il capitolo 2.

15: Studeat plus amari quam timeri

(= Miri ad essere amato piuttosto che temuto): altra bellissima sentenza tratta direttamente dalla Regola di S.Agostino (cap.15) e sapiente programma di governo. La norma, in realta`, si trova anche in altri testi, cristiani, monastici e classici; si puo` dire che queste brevi ma sostanziose parole convergono la sapienza del deserto, quella cristiana e quella politica classica. "Miri ad essere amato piuttosto che temuto" e` in fondo una variante di "giovare piuttosto che dominare" del v.8. In ambedue le sentenze appaiono due gruppi di elementi: autorita`, onore, timore da una parte; servizio, misericordia, amore dall'altra. Trovare l'equilibrio tra le due cose sarebbe l'ideale, ma in realta` - e la RB e` realista - risulta impossibile mantenere sempre tale equilibrio tra i due piatti della bilancia.

16-19: Difetti da evitare. Discrezione dell'abate

Nel v.16 abbiamo un elenco di qualita` negative da evitare. Nulla di piu` dannoso per la tranquillita` dispirito delle tensioni di un abate turbolento, inquieto, vittima del sospetto e della gelosia.

- Apprensivo <anxius> significa: in affanno ed eccessiva angustia di spirito.

- Esagerato <nimius>. Si intende di uno che, sia pur con le migliori intenzioni, si rende fastidioso con l'insistere, col pretendere, col soverchio correggere, con la troppa cura delle minuzie.

- Ostinato <obstinatus>: deve pur essere convinto che gli altri possano talvolta pensarla meglio di lui.

- Troppo sospettoso <nimis suspiciosus>: e' il difetto di chi vede ad ogni passo pericoli, cattive intenzioni, malignita`: un abate simile non avra` mai pace!

E' stato notato che il non sia turbolento dell'inizio del v.16 evoca la figura del Servo di Yahwe (Is.42,4), applicata a Cristo in Mt.12,18-21): "Non contendera`, ne' gridera`, ne' si udra` sulle piazze la sua voce"; gia` prima, nel v.13, SB ha ricordato l'altra caratteristica "non spezzera` la canna incrinata": la mansuetudine di Cristo deve essere un modello e uno specchio per il suo vicario.

17-19: La discrezione, madre delle virtu`

Per quanto riguarda il governo, SB raccomanda la previsione, la riflessione, il discernimento e l'equilibrio (v.17). Alla fine appare l'equilibrio, la moderazione, la discrezione (v.19) che domina tutto il direttorio abbaziale: e` quel sapiente giusto mezzo che e` frutto di grande equilibrio spirituale e che rende la virtu` tanto piu` amabile e accessibile.

La discrezione era tanto stimata presso i monaci antichi. Anche Cassiano usa l'espressione: "la discrezione, madre di tutte le virtu`" come al v.19 (Cf.Collazioni 2,4). E` noto che S.Gregorio Magno la colse come una caratteristica della RB, definendola appunto "mirabile per la discrezione" <discretione praecipuam> (Dial.II,36).

La parola "discrezione" va presa anzitutto nel suo senso preciso e originario da discernere, cioe` "distinguere" bene i mezzi e le circostanze per raggiungere un fine e ordinare gli atti corrispondenti senza eccesso ne' difetto.

19: ut...fortes quod cupiant et infirmi non refugiant

La discrezione sara` che l'abate disponga tutte le cose - tanto le spirituali che le temporali (v.17) - in modo che "i monaci forti desiderino di fare di piu` e i deboli non si scoraggino" <non refugiant> (v.19). L'espressione ci ricorda quella di Prol.48: "non refugias", "non abbandonare subito la via della salvezza". In ambedue i casi SB considera la stessa situazione umana: quella del monaco pusillanime e di poca forza che di fronte a un'osservanza troppo rigorosa si sentirebbe tentato di lasciare il monastero. Nel prologo SB si rivolge a questo monaco spaventato esortandolo alla perseveranza; qui chiede all'abate che tenga conto di tale debolezza. Nel prologo promette al fratello tentennante che non si stabilira` nulla di troppo duro e penoso, qui esige dalla "discrezione" dell'abate che mantenga la promessa abbreviando piuttosto che aumentando il peso della Regola che, per altro, deve far osservare in tutto (v.20).

20-22: Conclusione: osservanza della Regola e premio eterno

Il primo direttorio abbaziale termina facendo appello al giudizio di Dio e alla correzione delle colpe proprie dell'abate (RB.2,39-40). Questa nota di timore e di severita` e` sostituita in questo secondo direttorio abbaziale da una nota di gioiosa speranza: SB, per sollevare il duro lavoro e l'incessante peso dell'abate, gli ricorda il premio preparato al servo fedele quando verra` il Signore (Mt.24,47).

Ritratto del pastore ideale, immagine di Cristo

E' stato detto che appare nel capitolo 64 una omogeneita` di pensiero, una unica visuale ispira l'autore: quella del pastore ideale, del servitore umile, mansueto e paziente che e` Cristo. Spirito di servizio, misericordia, amore, prudenza, pace, ecc., sono tutti aspetti di una identica attitudine fondamentale.

"Il Servo di Yahwe di Isaia, il Cristo di S.Matteo, il Pastore di S.Paolo, l'Anziano misericordioso e "discreto" di Cassiano, tutte queste immagini ideali del capo cristiano vengono a fondersi senza sforzo in un ritratto dell'abate che e` profondamente semplice" (De Vogue').

Questo ritratto dell'abate del capitolo 64 differisce in alcuni punti non solo dalla RM, ma anche da quanto detto nel capitolo 2 della stessa RB. SB ha corretto se stesso in eta` avanzata alla luce dell'esperienza? Oppure il capitolo 64 e` dovuto a una mano diversa da quella del capitolo 2? Tutte le ipotesi sono permesse. Comunque, negli ultimi capitoli della Regola, che sono propri di SB (di cui si riconosce sempre piu` l'originalita`) ci si presenta l'abate piuttosto che come un maestro severo, teso ed inquieto per il peso della responsabilita`, come un uomo servizievole e misericordioso.


CAPITOLO 3

La convocazione dei fratelli a consiglio.

De adhibendis ad consilium fratribus.

 

Preliminari

Questo capitolo finisce di determinare la costituzione organica della comunita`, stabilendo il ruolo che spetta a ciascun membro nel governo del monastero. Nella RM e` un tutt'uno col capitolo 2 sull'abate e difatti e` strettamente collegato con esso. Tuttavia SB se ne distacca e ne fa un capitolo a se' in cui, pur dipendendo dalla RM, notiamo una sua originalita`. Si tratta praticamente dei rapporti tra abate e comunita`, su cui ha scritto uno studio esauriente e fondamentale A.DeVOGUE, La communaute' et l'abbe' dans la Regle de Saint Benoit <La comunita` e l'abate nella Regola di S.Benedetto> Paris 1961.

Precedenti nella tradizione monastica

E` merito del DeVogue', tra l'altro, aver indicato i precedenti storici del consiglio degli anziani nella tradizione monastica; ricorda le assemblee degli anacoreti di Scete, parla delle "Vite" copte di S.Pacomio, secondo cui il superiore generale riunisce i "grandi" o "anziani" della "koinonia"; cosi` ancora riferisce che le Regole di S.Basilio presentano un parallelo perfetto con le disposizioni della RB. Tuttavia in questi passi si tratta sempre di un consiglio ridotto scelto, composto di uomini "capaci di giudicare" e sembra che essi non si limitano ad esporre il loro parere, ma danno un voto abbastanza decisivo. In SB c'e` una impostazione diversa del cenobio e quindi dei rapporti tra abate e comunita`.

Quanto alla convocazione del consiglio, il capitolo 3 di RB prevede nel monastero due casi:

1). trattazione di affari di particolare importanza <praecipua>;

2). trattazione di affari di minore importanza <minora>.

Schema del capitolo 3:

a) convocazione di tutta la comunita` (vv.1-3);

b) comportamento dei monaci e dell'abate nel consiglio (vv.4-6);

c) autorita` della Regola (vv.7-11);

d) consiglio degli anziani (vv.12-13).

1-3: Convocazione di tutta la comunita` (per cose di maggiore importanza).

Quando si tratta di affari di grande importanza, deve essere convocata tutta la comunita`. Si tratta proprio di un consiglio generale. Esso ha le seguenti caratteristiche:

- lo convoca l'abate,

- espone il problema lo stesso abate,

- l'abate infine, udito il parere di tutti, riflette sulla cosa

e decide quanto ritiene opportuno.

Si tratta percio' di un consiglio puramente consultivo. Quindi la convocazione dei fratelli a consiglio non significa una restrizione dei poteri abbaziali o un voler dare una forma "democratica" alla direzione del monastero. Per SB l'autorita` dell'abate e` intangibile e non ammette opposizione alcuna. Tutto questo appare chiaro e senza alcun dubbio dal testo della RB: l'abate non perde assolutamente nulla della sua autorita`. Bisogna pure notare, pero`, che queste riunioni non possono fare a meno di stimolare l'interesse di tutti per l'andamento del monastero: sono una vera partecipazione al governo del cenobio, anche se la dicisione rimane dell'abate.

Dialogo e spirito di famiglia

I monaci cessano di essere dei minorenni a cui si presenta tutto gia` stabilito e definitivo; sono persone adulte che pensano con la loro testa, hanno idee e convinzioni proprie che l'autorita` deve soppesare e apprezzare. Si instaura cosi` un dialogo generale in cui i monaci si manifestano, si conoscono, formano realmente una comunita`. Quindi questa disposizione di Benedetto di convocare tutti senza eccezione ha un'importanza decisiva per l'instaurazione di autentiche relazioni tra monaci e monaci, e tra monaci e abate, per la formazione di quello spirito di famiglia, caratteristico dei cenobi benedettini.

3: Motivazione spirituale di fede

Il motivo ultimo di questa determinazione e` spirituale. SB non si rifa` a una legge esteriore, come sembra fare la RM (nella RM il consiglio si riferisce solo ai beni materiali e si basa sul principio della proprieta` corporativa: "le sostanze del monastero sono di tutti e di nessuno" (RM.2,48); ma ad una profonda convinzione basata sulla fede: "spesso e` al piu` giovane che il Signore rivela la soluzione migliore" (v.3). SB qui allude certamente al passo di Mt.11,25: "... hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli" e pensa a Samuele e a Daniele che giudicarono gli anziani (cf.!Sam.3 e Dan.13), come dira` espressamente in un altro capitolo (RB.63,6). Principio spirituale quindi, ma anche - a pensarci bene - molto umano e psicologico; si tratta di sapere cio` che chiede il Signore a una comunita` in una data situazione e il Signore lo puo` rivelare a uno dei membri meno qualificati (principio spirituale); ma SB sa pure che i monaci giovani in genere hanno maggiore entusiasmo e generosita` e sono liberi da pregiudizi e da interessi personali (principio umano).

4-6: Comportamento dei monaci e dell'abate

Seguono alcune norme pratiche - ed eccellenti - sulla maniera di manifestare il proprio parere: e` il galateo monastico delle riunioni di famiglia. Se SB vuole che l'abate consulti i fratelli, cio` non dispensa questi ultimi dai doveri di umilta` e di rispetto; essi sono chiamati ad esporre il proprio parere e non a farlo prevalere a tutti i costi; quindi sottomissione, umilta`, obbedienza a cio` che l'abate decide alla fine. Troviamo espressioni che richiamano l'atteggiamento da tenersi nell'ufficio divino (RB.20,1) e che si rifanno al vocabolario dell'obbedienza; quella dell'obbedienza e della sottomissione e` in ogni circostanza la strada maestra per i monaci che hanno scelto di "militare sotto la Regola e un abate" (RB.1,2).

Ci si potrebbe chiedere: la RB proibisce di "sostenere ostinatamente" il proprio parere; ma se uno insiste sulla sua idea senza petulanza, con calma e semplicita`, e` lecito o no secondo SB? E` impossibile rispondere con sicurezza> Senza dubbio, l'abate deve tener conto dei consigli che gli si danno; la convocazione dei fratelli non puo` ridursi a una pura commedia; certo, la decisione ultima spetta a lui, ma questa non puo` essere dettata da arbitrarieta`; SB chiede che egli penda dalla parte piu` conveniente, piu` opportuna (v.5) e aggiunge, in una frase solenne, che "se e` doveroso per i discepoli obbedire, altrettanto doveroso e` per il maestro decidere con prudenza e giustizia" (v.6). Abbiamo percio` una botta di qua e una di la`, come appare molto di piu` nel brano seguente.

7-11: Autorita` della Regola

Si enuncia ora un principio assoluto e di portata generale: "In ogni cosa tutti seguano la Regola come maestra e nessuno ardisca temerariamente allontanarsene" (v.7). Qual'e` il significato esatto di un principio cosi` categorico?

Che esso valga sia per i monaci che per l'abate e` indiscutibile. Percio` - ci si domanda - allontanarsi talvolta dal contenuto letterale o anche dal senso della Regola implica necessariamente temerarieta` e bisogna quindi evitarlo ad ogni costo? O non piuttosto a volte si puo` - e talvolta si deve - date le circostanze, prescindere dai precetti della Regola?

In tutti i modi, sembra certo che questa frase, grave e maestosa, piu` che per i monaci (anche per loro, certamente) e` scritta per porre rimedio ad eventuali capricci dell'abate, il quale con ogni probabilita` va considerato incluso in quel "nessuno" del versetto seguente: "nessuno in monastero segua i capricci del proprio cuore" (v.8). In compenso, segue nei vv.9-10 una frase per salvaguardare l'autorita` dell'abate: non discutere insolentemente o altercare sfacciatamente con lui (ma naturalmente in riunione con umilta` e delicatezza si puo` contraddirlo). Poi (v.11) di nuovo un richiamo per l'abate. Come si vede, e` quasi un tira e molla tra i due poli del cenobio: comunita` e abate.

I correttivi dell'autorita` abbaziale sono dunque due: il timore del giudizio divino (rendiconto a Dio, cf. RB.2 e RB.64 piu` di una volta) e la Regola cui anche lui deve sottomettersi.

12-13: Consiglio degli anziani (per cose di minore importanza).

Quando si tratta di minora - "affari di minore importanza, contrapposto a "praecipua" del v.1), l'abate si limita a consultare gli anziani. Per "anziani" non si intende una categoria sociale (cioe` in rapporto all'eta`, anche se essa poteva avere una certa importanza), ma una categoria spirituale; nella RB se ne parla come di coloro che, essendo piu` maturi spiritualmente, piu` formati nella vita monastica, disimpegnano i vari uffici: decani, maestro dei novizi, portinai...; SB conclude con una citazione esplicita della Scrittura (l'unica del capitolo) che in realta` e` composta di due citazioni: Prov.31,3 e Sir.32,34 (ricordiamo l'uso libero che SB fa della Bibbia come uno che ne ha grande familiarita` e cita a memoria): "Fa ogni cosa con il consiglio...", un principio di saggezza umana corroborata dalla Parola di Dio; cosi` il "padre del monastero" utilizza la prudenza e l'esperienza dei fratelli prima di prendere una decisione, in modo che tutti collaborino alla ricerca della volonta` di Dio, che e` l'unica cosa che importa.

 

Conclusione:

In questo capitolo terzo SB riconosce che l'abate ha - come diremmo oggi - un carisma particolare come superiore; ma questo carisma non puo` essere visto al di fuori del contesto di una comunita` viva e di una Regola. In SB notiamo l'insistenza tra diritti e doveri dell'abate (abbiamo visto quasi un tira e molla): non vuole assolutamente limitare il potere dell'abate, che anzi appare nel capitolo piuttosto rinforzato; quanto ai doveri, li propone con una forza nuova; non consistono solo (come per RM) nell'ascoltare tutti, ma l'abate e` invitato a "disporre ogni cosa con prudenza e giustizia" (v.6), ad "agire sempre con timor di Dio e rispetto della Regola" (v.11), pensando al giudizio divino. Queste raccomandazioni denotano un senso nuovo della fallibilita` del superiore. SB cerca di equilibrare e sintetizzare questi tre elementi"

- il carisma abbaziale di guida e maestro;

- il dono del discernimento che ha la comunita`;

- la sapienza accumulata dalla tradizione e codificata nella Regola.

Tutti sono sotto la Regola

Quest'ultimo e` un punto importante: tutti, abate e monaci, sono sotto la Regola; per SB essa e` norma suprema. Senza dubbio il ricorso alla Regola e` in relazione alle difficolta` del momento; pero` c'e` un elemento permanente: in tutti i tempi, e sopratutto in periodi di rilassamento, la comunita` e l'abate non possono avere salvaguardia che il rispetto religioso di una Regola intangibile; un abate non e` niente senza una Regola.

Oggi la materia e` regolata dalle norme canoniche della Chiesa

Per SB il consiglio dei fratelli e` consultivo. Pur conservando questo spirito della costituzione benedettina del monastero, la Chiesa e` intervenuta nel corso dei secoli per eliminare o prevenire abusi e ha limitato in qualche punto e in certe circostanze i poteri abbaziali; cosi` pure per determinati casi ha imposto e reso deliberativo il voto dei monaci. Oggi il Codice di Diritto Canonico e le Costituzioni delle singole Congregazioni fissano delle norme precise per il capitolo di famiglia.


APPENDICE AI CAPITOLI 2, 3, 64:

Excursus sulla figura dell'abate come appare nella RB, e sua applicazione al superiore dei nostri giorni in rapporto alla comunita`.

(Questo "excursus" e` stato rifuso e pubblicato in Inter Fratres 35 (1985) 1-29: L.SENA, La figura dell'abate nella RB e problemi attuali. Applicazione ai superiori delle comunita` silvestrine

 


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21 giugno 2014                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net