Regola di S. Benedetto

Prologo

1. Ascolta, figlio mio, gli insegnamenti del maestro e apri docilmente il tuo cuore; accogli volentieri i consigli ispirati dal suo amore paterno e mettili in pratica con impegno, 2. in modo che tu possa tornare attraverso la solerzia dell'obbedienza a Colui dal quale ti sei allontanato per l'ignavia della disobbedienza. 3. Io mi rivolgo personalmente a te, chiunque tu sia, che, avendo deciso di rinunciare alla volontà propria, impugni le fortissime e valorose armi dell'obbedienza per militare sotto il vero re, Cristo Signore.


Tratto dal libro "Un cœur qui écoute" di Sœur Jeanne d'Arc, O.P. - Les Editions du Cerf. (Traduzione libera)

Capitolo I

Dammi, Signore, un cuore che ascolta (1 Re 3, 9)

 

Il sogno di Salomone.

Salomone è appena succeduto a suo padre Davide. Egli è molto giovane. Nulla fa pensare alla sua futura fama e gloria. Il Tempio non è ancora stato costruito. Sulle alture di Gàbaon il re offre a Jahve un immenso sacrificio di mille buoi. E il Signore gli parla in sogno:

"Chiedimi ciò che io devo concederti".

Prima di rispondere ad una simile offerta, vale la pena di rifletterci sopra. Santa Teresa scrive alle sue figlie che in confronto alla generosità di Dio noi non chiediamo mai abbastanza: "Sarebbe come fare un insulto ad un re chiedendogli solo qualche spicciolo." E il Padre Lamy, quando la Santa Vergine gli fece pressappoco la stessa domanda, rispose: "Devo pensarci attentamente."

Ora Salomone, di fronte a questa infinita magnanimità di un Dio che i cieli dei cieli non possono contenere, risponde in un modo che a prima vista ci sorprende: a fronte di questa magnifica ed incondizionata offerta egli chiede semplicemente lébh shoméá.

Cuore in ascolto.

Espressione difficile da rendere bene, come provano le indecisioni e le divergenze dei traduttori.

Lébh, cuore, ha un significato più ampio che nelle nostre lingue; in francese (e in italiano, N.d.T.) diciamo "il cuore" per parlare dell'amore, dell'amicizia (ti amo con tutto il cuore), oppure del coraggio, del valore (ha del cuore): esclusivamente nel campo affettivo, in opposizione all'ordine razionale o intellettuale. In ebraico, al contrari, lébh comprende i due significati; è la sede della saggezza, del discernimento, così come della forza e della tenerezza.

E shoméá è il participio di shamá, ascoltare. Chiedendo lébh shoméá, Salomone ha semplicemente chiesto un cuore che ascolta.

I traduttori, chissà perché, non hanno creduto di dover mantenere il significato letterale dell'espressione. Crampon (vecchia e nuova traduzione) dice cuore attento, altri interpretano sia come la Volgata, che traduce "cor docile" (un cuore docile nella Bible de Lille; Pirot Clamer), sia in senso intellettuale; un cuore intelligente (Maredsous; Segond; Bible du Centenaire; Bible du Rabbinat), un cuore pieno di giudizio (de Vaux, nella Bible de Jérusalem; una nota della prima edizione, che non è stata accolta nel testo, mostra che una redazione anteriore proponeva; pieno di intendimento, ciò che aveva il vantaggio di avvicinarsi, partendo dall'origine della parola, al senso dell'ebraico: "Tendere i sensi verso, ascoltare", ma non era accettabile nel francese attuale (così come in italiano, N.d.T.). In altre traduzioni si trova un cuore saggio, obbediente, un cuore comprensivo.

La stessa varietà di traduzioni ci prova che nessuna rende appieno il significato dell'espressione. Tentiamo quindi di prendere coscienza della sua ampiezza e profondità. Il punto essenziale è che scopriremo quali sono le richieste che Dio più gradisce:

Al Signore piacque che Salomone avesse domandato ciò (1 Re 3, 10)

Innanzitutto sarà per noi un modo di ricevere di più, chiedendo a Dio le cose che più desidera donarci. Nello stesso tempo, ci aiuterà a capire meglio quali siano i suoi gusti e le sue preferenza; in definitiva a conoscere meglio Lui stesso. Queste parole così pregnanti del testo sacro sono una fonte di vita inesauribile.

Saggezza e intelligenza.

La prima spiegazione di questa misteriosa parola, la troviamo nella risposta stessa di Dio. Invece di riprendere letteralmente la frase di Salomone, Egli precisa il contenuto positivo della richiesta:

Perché hai domandato questa cosa … faccio come tu hai detto.

Ecco, ti concedo un cuore saggio e intelligente…(1 Re 3, 11-12).

Ecco l'eguaglianza; per Dio, saper ascoltare, è quindi tutta la saggezza ed intelligenza.

Guardate come Lui moltiplichi i suoi richiami ad ascoltare, che la legge ed i profeti ripetono senza sosta:" Ascoltate la mia voce!" (Ger 7, 23). E la grande preghiera del popolo di Dio sarà lo "Shemá Israël, Ascolta Israele (Shemá, dove si può riconoscere il nostro Shoméá), il solenne invito ad ascoltare il proclama della fede al Dio unico (Dt 6,4 ss.).

Ma il giovane re non ha chiesto direttamente la saggezza, che evidentemente costituisce un arricchimento, un guadagno. Egli ha umilmente chiesto questa apertura di cuore che mette in condizione di riceverla. "Godetti di tutti questi beni, perché la sapienza li guida, ma ignoravo che di tutti essa è madre" (Sap 7, 12-11).

Tutti i beni provengono da essa proprio per il fatto che essa stessa esige questa apertura del cuore "vasta come la sabbia che è sulla spiaggia del mare"(1 Re 5, 9).

Un cuore che ascolta: cosa significa, cos'ha di così essenziale ed insostituibile questo atteggiamento, tanto che Dio lo equivale alla saggezza ed all'intelligenza e che costituisce l'unica richiesta nella quale si riassumono tutti i beni desiderabili?

Di fronte a Dio.

Di fronte a Dio, nei nostri rapporti più intimi con Lui, non è forse un cuore che ascolta la parte migliore di cui il Signore ha detto che non ci sarà mai tolta (Lc 10, 42)? "Maria, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola" (Lc 10, 39). La parola che il vecchio Elia insegna al giovane Samuele, "Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta" (1 Sam 3, 9), esprime un atteggiamento fondamentale dell'anima che sa nella fede che il suo Dio vuole entrare in comunicazione diretta con lei. Per questo rimane in ascolto di tutte le chiamate di Dio, di tutte le ispirazioni dello Spirito. "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!" (Lc 11, 28). Ma è soltanto quando un profondo silenzio avvolge tutte le cose che la Parola si manifesta in noi. Dammi, Signore, un cuore che ascolta, poiché la Parola unica non moltiplica le parole: "Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole" (Mt 6, 7). Quando il Signore, Saggezza increata, prende possesso di un'anima, non grida, non alza il tono della la voce (Is 42, 2), bensì tace nel suo amore (secondo il testo ebraico, N.d.T.) (So 3, 17). Colui che l'ascolta dimora nella pace (Pr 1, 33). E' sufficiente ascoltare nel proprio cuore il silenzio di Dio finché il nostro cuore non si purifichi in questo silenzio ed il Signore non gli doni la saggezza (Pr 2, 6) - la Saggezza, dono che trasforma il silenzio in intelligenza e ci fa gustare l'intelligenza increata, lo Spirito.

Nei confronti dei nostri fratelli.

Un cuore che ascolta, non ha il suo valore solamente in questo ambito della nostra vita profonda con Dio, ma anche in altri campi, in particolare nei nostri rapporti umani. D'altronde, è in questo contesto che si situa storicamente la domanda di Salomone. Un cuore che ascolta: non è questo che si aspettano da noi i nostri fratelli, anche se non in modo esplicito?

I malati, i poveri, sovente ne hanno più bisogno che non di medicine o di pane. Ma anche semplicemente da parte di coloro che ci stanno più vicini, non sentiamo forse segretamente questa richiesta? Ognuno ha la sua pena da portare ed il suo fardello personale. Talvolta il peso più faticoso non è proprio questa etichetta, questa apparenza, questo "io sociale" che spesso è così diverso dal proprio vero io e dal quale non riesce ad evadere? Quando "l'uomo interiore si trasforma giorno per giorno sotto l'azione dello Spirito" (2 Cor 4, 16; Ef 3, 16), tutta la corteccia dell'uomo carnale resta attorno a lui come una scoria ed una prigione. Ed egli grida senza che nessuno lo possa ascoltare, ed ha tanto bisogno accanto a sé di un cuore che ascolta - e ciò gli potrà forse bastare perché si manifesti. Liberando il proprio vero io, lo si può comprendere e ricondurre totalmente ad essere…

….omissis…

La ricettività.

In modo più generale, questo atteggiamento di ascolto, di accoglienza, di ricettività è la prima condizione del progresso, anche nel piano puramente metafisico; per quanto ricchi possiamo essere di autorità, di scienza o di virtù, noi ci troviamo sempre in questa ineluttabile povertà della creatura, povertà che appartiene alla sua stessa natura; in essa l'essere è ricevuto; tutto l'essere che essa ha le è stato donato e resta segnato da questa transitorietà originale. "Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?" (1 Cor 4, 7). Ogni progresso è un vivere meglio, un vivere in maggior misura, ed a questo titolo ci viene totalmente come dono, senza perciò essere dispensati dal massimo impegno personale. Per noi è più essenziale ricevere che acquistare; è per questo che la ricettività è alla base di ogni vera realizzazione.

La docilità.

Sul piano intellettuale è la prima condizione di progresso e di sicurezza. Noi non possiamo fare molto per accrescere l'acutezza della nostra intelligenza, il suo potere di approfondimento. Ma dipende da noi il mantenerla aperta, in ascolto; è questa la condizione per arricchirsi ed affinarsi in continuazione, per evitare l'errore, mantenendo il contatto con l'essere e con gli esseri viventi che ci circondano.

La docilità è esattamente questa virtù dell'intelligenza che riceve l'insegnamento tramite il "cor docile" con cui la Volgata ha reso il nostro testo. Ma se la docilità è dovuta nei confronti di chi ci insegna, la ricettività lo è per tutti coloro che ci apportano qualche cosa: un consiglio, un'illuminazione, una testimonianza, un avvertimento, dei suggerimenti… Chiudersi o isolarsi sarebbe come improvvisamente rifiutare la saggezza e l'intelligenza: Dio stesso, nel nostro testo, ne ha stabilito l'eguaglianza "…faccio come tu hai detto. Ecco, ti concedo un cuore saggio e intelligente" (1 Re 3, 12).

Questo non significa che bisogna essere disponibili a qualunque scuola di pensiero, come "l'uomo spugna" di cui parla Valéry in un celebre dialogo. E' dunque il cuore che ascolta - con al ricchezza di significato che ha in sé l'immagine del cuore nella Bibbia - la facoltà di discernimento, che deve operare la scelta e condurre ad un giudizio. Ma la scelta non sarà oculata ed il giudizio valido se non avrà come premessa un'assimilazione personale, profonda e benaccetta dell'apporto esterno.

L'umiltà.

Sul piano morale, in particolare per crescere nelle virtù, è un atteggiamento primordiale: se noi sappiamo ascoltare con lealtà, con tutto il nostro cuore, ogni volta che ci viene segnalata qualche malignità, qualche difetto o qualche deviazione nel nostro comportamento, noi ci apriamo ad un possibile miglioramento. La presa di coscienza del difetto è la condizione per desiderare la virtù e per cercare di farla diventare propria. Un cuore attento e riconoscente dal quale sono bene accolti gli avvertimenti, le critiche ed i rimproveri, dimostra la sua umiltà.

Ma non esiste solo questo aspetto negativo che riguarda la correzione del male, bensì c'è anche un aspetto positivo che possiamo rinvenire in tutti i campi.

In effetti, un cuore che ascolta, non è forse il criterio più idoneo per riconoscere l'umiltà, l'atteggiamento fondamentale nel quale essa si riassume? Tutti gli altri indizi che si possono proporre sono ambivalenti: parole modi di vivere, comportamento, possono rivelare l'ambiente, il temperamento, l'educazione, più che una reale virtù. Il segno più autentico dell'umiltà consiste proprio nella ricettività: colui che riceve, che ascolta, si pone nei confronti dell'altro in un atteggiamento di inferiorità e riconosce la sua povertà nel momento stesso in cui si arricchisce.

Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?

La conoscenza dei propri limiti è come un'invocazione affinché siano colmati. Se ciò è vero nel piano naturale, morale o intellettuale, è ancor più vero in quello soprannaturale, dove tutto è dono gratuito, tutto è ricevuto; noi riceviamo la Parola, la Grazia e lo Spirito, il cui nome stesso è Dono. Tutte le cose migliori noi non possiamo acquistarle, neppure con "l'oro più scelto" (Gb 28, 15), possiamo solo domandarle, desiderarle ed attenderle. Ed il Padre vuole donarcele. Egli desidera molto più colmarci di doni, di quanto noi non desideriamo di riceverli. Se ci dice con tanta insistenza di domandarglieli, è proprio perché nella perseveranza della preghiera ci mettiamo in questo stato di ricettività che è la condizione indispensabile per ricevere tutti i suoi doni. Se ci richiama così sovente questo legame tra la nostra preghiera e la sua generosità, è per il fatto che la preghiera crea dentro di noi la disponibilità ad accogliere i suoi doni.

E' scritto che Egli "Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili" (Pr 3, 34; Gc 4,6; 1 Pt 5,5); solo l'umiltà ci mette in quello stato di povertà e di supplica che ci rende pronti a ricevere. "apri la tua bocca, la voglio riempire" (Sal 81, 11). "Un abisso chiama l'abisso" (Sal 42 (41), 8) e questo cuore sempre in ascolto è colmato di tutti i doni di Dio. "Fate attenzione dunque a come ascoltate" (Lc 8, 18). Poiché Salomone ha chiesto questa grazia di ricevere un cuore che ascolta, egli ha ricevuto la Saggezza, e tutto il resto gli è stato dato in sovrappiù.

In questo modo, meditando su questa parola del testo sacro, penetriamo poco a poco nella profondità del suo significato e comprendiamo meglio la preghiera di Salomone. A fronte di un'offerta così straordinaria da parte del Signore, il re ha dovuto soppesare le sue parole. A conclusione delle sue considerazioni ha chiesto lébh shoméá.

Perciò se si traduce; pieno di giudizio, si esprime una conseguenza, una deduzione; ma non si chiarisce il sostanziale atteggiamento di ricettività che sembra trovare nell'ebraico "che ascolta". "Docile" della Volgata, seguita da numerose altre traduzioni, non si adatta esattamente; benché a prima vista possa sembrare vicina al termine ebraico, la docilità non è una qualità di un capo. "Docile per governare" è impossibile. "Attento", come traduce Crampon, è forse un po’ convenzionale, ma sembra più vicino al significato originale. Ma perché non mantenere semplicemente "un cuore che ascolta"? Va bene sia in francese (ed anche in italiano, N.d.T.) che in ebraico ed è più ricco di significato e più vicino al testo di qualunque altra interpretazione.

Una formula di preghiera.

Se l'autore sacro ci ha trasmesso proprio lébh shoméá e non ha utilizzato le altre parole di cui disponeva per dire "saggio, intelligente, pieno di giudizio", dobbiamo meditare su lébh shoméá per sapere quello che Dio desidera gli si domandi - un "mezzo rapido" per ottenere la saggezza e , da essa, tutti gli altri beni…

Così, questa parola di Salomone, dato che sappiamo essere gradita al Signore, può venirci alle labbra:

"Dammi, Signore, un cuore che ascolta"

E' un'orazione di invocazione eccellente, sia prima di ascoltare un sermone, di fare preghiera, di visitare un malato, o semplicemente ogni volta che dobbiamo entrare in contatto col nostro prossimo. Quando inoltre siamo soli, questa richiesta può diventare la nostra preghiera abituale per ottenere di restare attenti nel profondo del cuore, che ascolta senza sosta, di fronte al Signore.

Mi è sembrato importante mettere in risalto il valore di questa parola del testo sacro nel suo significato originale, poiché sarebbe un peccato che solo gli specialisti avessero la possibilità di comprendere la ricchezza e la profondità di queste espressioni dell'ebraico, che nessuna traduzione può rendere al meglio.

Lingua povera, come si suol dire? E' vero. Così poche parole, un vocabolario esiguo! Ma ogni parola è ricca di significato.

Non è un caso che lo Spirito abbia scelto questa lingua e queste parole per esprimere delle verità portatrici di vita eterna.


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21 giugno 2014                       a cura di Alberto "da Cormano" Grazie dei suggerimenti alberto@ora-et-labora.net