Vangelo di Luca – Introduzione

Gianfranco Ravasi

Estratto da “Il Vangelo di Luca” – Mondadori Media 2022

 

I Conferenza

Il progetto letterario, storico e teologico di Luca

«Ho deciso anch’io di scrivere un resoconto ordinato»

 

PREMESSA

Ecco davanti a noi il Terzo Vangelo, come si usa dire nella tradizione.

Un Vangelo è senz’altro per i credenti, e anche per i non credenti, un punto di riferimento tale per cui l’avvio alla sua lettura non può essere una partenza qualsiasi. Soprattutto per i credenti è una parola densa di connotazioni e significati nascosti. Ma anche per il non credente dev’essere qualcosa che appartiene al suo bagaglio di uomo, al bagaglio della sua cultura, della sua tradizione. Infatti noi sappiamo che i Vangeli hanno segnato tutti i secoli dell’occidente e non solo dell’occidente. Mi sono permesso di ricordare questa esigenza fondamentale, perché la lettura del libro che abbiamo di fronte dev’essere una lettura provocante.

 

La lettura che facciamo ora sarà un po’ didascalica, sarà una introduzione didattica che ci fornirà delle nozioni di cornice. Però resta sempre indispensabile la personale lettura integrale.

Ora lascio a questo proposito la parola ad un grande testimone del nostro secolo, che parla più genericamente dei grandi libri; ma le sue parole possono servire benissimo a illuminare anche il metodo con cui credenti e non credenti dovrebbero accostarsi alla testimonianza dei Vangeli: questi libretti letterariamente minori, marginali, che però hanno nell’interno quella forza, quell’energia, quel seme che li fa assolutamente immortali. Immortali perché divini per i credenti, immortali perché sono il grande patrimonio dell’uomo.

Ecco la testimonianza di questo grande scrittore, testimone travagliato del nostro tempo, Franz Kafka:

 

Se il libro che stiamo leggendo non ci sveglia come un pugno che ci martelli sul cranio, perché dunque lo leggiamo? Buon Dio saremmo felici anche se non avessimo dei libri. E quei libri che ci rendono felici potremmo a rigore scriverli da noi. Ma ciò di cui abbiamo bisogno sono quei libri che ci piombano addosso come la sfortuna, che ci perturbano profondamente come la morte di qualcuno che amiamo più di noi stessi, come un suicidio. Un libro dev'essere una piccozza che rompe il mare di ghiaccio che è dentro di noi.

 

Immagini pessimistiche, ma significative. I libri che ci consolano soltanto, li potremmo scrivere anche noi. I libri inutili sono troppi e li potremmo anche non leggere. Ma ci devono essere dei libri (e questi libri li dobbiamo trovare e il Vangelo è certamente uno di questi), ci sono dei libri che ci sconvolgono, che ci provocano come la morte di una persona amata, come quel colpo di piccone sul ghiaccio.

Il nostro primo percorso (quello che ho definito il più lontano dal testo) è un percorso distinto in due momenti. Potrei intitolarlo così: «Un uomo, un libro». Parleremo dell’uomo: Luca; e parleremo del suo libro: il Vangelo, ma guardandolo quasi dall’alto, prima ancora di iniziare a percorrerlo.

 

1. L’UOMO LUCA

Nella Biblioteca Ambrosiana di Milano è conservato il cosiddetto Canone Muratoriano, un testo preziosissimo per la tradizione cristiana, scoperto dal celebre Antonio Maria Muratori, che ha al suo interno un canone dei libri sacri della chiesa di Roma nel II secolo. Abbiamo una testimonianza remotissima, siamo quasi ancora alle origini del cristianesimo. È la testimonianza di una chiesa che presenta i suoi libri sacri, il fondamento della sua fede, commentandoli brevissimamente.

Ecco che cosa c’è scritto nel Canone Muratoriano a proposito di Luca.

 

Terzo è il libro del Vangelo secondo Luca. Questo Luca è un medico che, dopo l’ascensione di Gesù, Paolo prese con sé come compagno di viaggio. Egli scrisse in nome proprio e secondo il suo punto di vista, per quanto non avesse visto personalmente il Signore nella carne.

 

Ci sono proprio tutti i dati essenziali per descrivere l’uomo e, con un solo tratto, anche il suo libro.

Ecco la figura di un uomo, intellettuale, medico si dice, il quale non è stato testimone diretto, ma è eco della tradizione. Questo ritratto dai lineamenti così scarni è completato da qualche altro piccolo filo presente nel Nuovo Testamento. Innanzitutto in At 16,10ss.- Ormai Paolo ha lasciato alle sue spalle Antiochia, sta per aprire gli occhi verso un nuovo orizzonte. Una notte gli appare quel macedone, emblema di tutti gli uomini che cercano. E lo invita a passare da lui, in Macedonia, in Europa.

Da quella notte in avanti, per pagine e pagine il libro degli Atti degli apostoli prosegue in prima persona plurale. È la testimonianza ormai di due persone, non di una sola. Accanto a Paolo, Luca ha degli eventi da registrare, perché egli li ha vissuti dall'interno.

Ecco quindi un altro dato: Luca è discepolo di Paolo e cammina per le strade dell’impero con Paolo. Il suo nome era certamente greco, probabilmente un’abbreviazione di Lucano o Luciano, e potrebbe benissimo testimoniare la sua origine pagana, ellenistica. Ma anche Paolo, nei suoi scritti, non si è dimenticato del tutto di questo suo compagno di viaggio. Nelle pagine paoline troviamo tre righe dedicate a Luca.

Nella lettera a Filemone (poche righe veloci ma intensissime che Paolo scrive a questo suo caro amico, ripresentandogli lo schiavo Onesimo fuggito) al v. 24 si legge: «Luca mio collaboratore» saluta anch’egli Filemone.

Un’altra riga la troviamo nella lettera ai Colossesi 4,14: «Vi saluta Luca, il caro medico». In greco c’è un’espressione di estrema tenerezza, «agapetòs»: è il medico mio prediletto. Non è solo il medico di fiducia; è anche il medico caro, quindi un uomo prezioso, il quale è vicino anche con un legame di amicizia.

La terza riga la troviamo nella 2 Tim 4,11: una nota un po’ malinconica, ma piena di tenerezza per Luca. Tutti hanno abbandonato Paolo, ormai vecchio. Non si sa da dove scriva questa lettera, né si è certi che sia Paolo a scriverla. Vi leggiamo comunque questa frase:

 

Di fronte all'abbandono di tutti, solo Luca è rimasto con me.

 

Abbiamo tre testimonianze dirette di Paolo che parlano di questo suo collaboratore: da esse risulta un uomo sempre fedele, un collaboratore costante e intelligente, di formazione raffinata. È un medico, e nella tradizione diventerà anche patrono dei medici.

Abbiamo detto che è stato pittore. Questa notizia, però, è solo frutto della leggenda. Tuttavia questa tradizione in un certo senso ha colto nel segno: Luca è veramente colui che sa dipingere con la sua penna in maniera straordinaria. Sa fare delle scene con una finezza e incisività che difficilmente si dimenticano. Pensiamo alla scena serale che si stampa nel tramonto, la scena di Emmaus e quelle parole: «Resta con noi, o Signore, perché si fa sera».

A Luca hanno attribuito almeno 275 Madonne nere, proprio per la sua ideale vicinanza a Maria. Ma tutto questo è solo leggenda.

Queste Madonne sono state create nere sulla base di una lettura mariologica del Cantico dei cantici 1,5, quando la donna del cantico dice:

 

Io sono nera (mora), però sono bella.

 

Questa espressione nella Volgata: «Nigra sum, sed formosa» è diventata, applicata a Maria, uno schema rappresentativo. E così le Madonne nere sono diventate il cuore di grandi santuari mariani: S. Maria Maggiore a Roma, S. Luca a Bologna, Czestochowa. Testimoniano il desiderio di vedere non soltanto le pagine lucane scritte, dipinte con la penna, ma di vedere anche il pennello ideale di Luca, colui che ha parlato di più e con maggiore intensità di Maria.

 

2. IL LIBRO DI LUCA

Gli evangelisti raramente dicono qualcosa di sé stessi: Matteo parla della propria vocazione, ma in maniera molto distaccata, alla terza persona; di Giovanni poi non si sa con certezza se il discepolo amato sia veramente lui. Gli evangelisti vogliono presentare qualcos’altro, sono come altrettanti Giovanni Battista: puntano l’indice verso un altro e chinano le loro pagine verso un altro.

Anche Luca non è preoccupato di farci sapere qualcosa di sé stesso. È un altro che dobbiamo scoprire nell’interno del suo libro. E quando uno parla di un altro, ne parla con un suo filtro personale. È importante riconoscere Luca come scrittore, proprio perché il Gesù di Luca ha dei colori, dei lineamenti che nascono certamente dal filtro del suo pensiero e della sua scrittura.

Lutero nel 1520 scriveva una frase molto significativa: «Primum et solum verbis Dei studendum esse». Notiamo soprattutto questa importanza data alla «parola». È indispensabile stare alla parola, non al senso vago. Il senso letterale, cioè lo studio esegetico del testo, è indispensabile per riuscire a cogliere anche il messaggio. Guai a coloro che respirano solo una vaga atmosfera emanante dal Vangelo, atmosfera così rarefatta da non essere più quella genuina.

Queste «parole da studiare» sono belle in Luca. Gerolamo, grande conoscitore del greco e del latino oltre che della Bibbia, dice:

 

Inter omnes evangelistas graeci sermonis Lucas eruditissimus fuit.

 

Luca è l’evangelista più raffinato in greco; la sua prosa è la migliore di tutto il NT. Il suo greco è il più sofisticato; non è magmatico, non è una lava ardente come quello di Paolo: fluisce lentamente, con rigore, senza essere denso.

Vediamo a questo punto quale sia il piano su cui Luca ha intessuto la sua opera. Queste pagine, che cosa ci presentano? Ci sono tre dati da tener presenti: la storia, la struttura, il progetto.

 

a. L’attenzione alla storia

Il Vangelo di Luca è il Vangelo della storia. C’è la preoccupazione di fare un Vangelo che sia anche storico e attento alle istanze della storia. Se leggiamo il suo celebre prologo (1,1-4) nell’originale greco (la traduzione è sempre imperfetta, è come «il rovescio di un arazzo», secondo un'immagine suggestiva dello scrittore spagnolo Cervantes) notiamo che esso è steso in greco elaborato, con una costruzione sofisticata. ammiccante alle introduzioni dei libri di storia classica (per es. lo storico Giuseppe Flavio quasi suo contemporaneo nel Contro Apionem).

Ma vediamo che cosa vuol dire e perché questi versetti hanno un significato particolare per l’importanza che la storia ha nel Vangelo di Luca.

 

Poiché molti hanno posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi (questo «successi» è già una traduzione poverissima; pepléroforèménòn è la pienezza, il manifestarsi in fulgore) come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio (questo «testimoni» è povero; in greco abbiamo autòptai, quelli che hanno visto con i loro occhi) e divennero ministri della parola (il greco hupèrétai vuol dire “rematori”, coloro che avevano quindi l’incarico di far andare avanti questa nave del messaggio cristiano in mezzo alle tempeste, una trasmissione faticosa in mezzo ad una navigazione non sempre semplice). Così ho deciso anch’io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, o illustre Teofilo (il destinatario), perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.

 

Luca, quasi da studioso, non si accontenta di essere eco di una tradizione, ma vaglia i dati e costruisce un racconto ordinato. Si noti quell’espressione in greco: dieghesis, cioè racconto ben distribuito, che egli dice di aver compiuto con un ordine chiaro.

A questo punto abbiamo un primo elemento indispensabile: Luca è convinto che Cristo ha lasciato una traccia verificabile nella storia. Il Cristo di Luca non è evanescente, non è un’idea spirituale, ma incide nell’interno delle coordinate dello spazio e del tempo. Per avere un’idea di questo suo atteggiamento basta sentire una frase come questa:

 

Nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisania tetrarca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio fu rivolta... (3,1-2).

 

È l’entrata in scena del Battista e quindi di Gesù. Non ci si accontenta di annunciare un ingresso generico come fanno Matteo o Marco: «In quei giorni...». Luca procede a cerchi concentrici, dall’impero fino alle più piccole cariche dei funzionari locali. Tutto è determinato, proprio perché si veda che Cristo non è un’idea, ma un uomo che penetra nell’interno della storia umana.

Perciò Luca pone degli interrogativi all’interno di quel grande capitolo nei cui confronti la scienza esegetica del ’900 si è ferocemente combattuta.

Ricordiamo due nomi tedeschi che rappresentano altrettante scuole esegetiche: Formgeschichte e Redaktionsgeschichte.

Stava per finire la prima guerra mondiale (eravamo nel 1917) e nelle università tedesche cominciava in punti diversi ad emergere una scuola di studio del NT che ha prodotto grandi danni, ma anche risultati estremamente importanti: è chiamata Formgeschichte, la storia della formazione (o delle forme) dei Vangeli. La convinzione fondamentale di questi studiosi può essere idealmente sintetizzata così: se io prendo in mano un Vangelo come quello di Luca e faccio quello che si fa con i quadri quando si vuole determinare il primo abbozzo e le bozze successive (cioè la radiografia artistica), io dovrei riuscire a raggiungere il Gesù storico iniziale, le sue parole, i suoi atti veri, dovrei giungere fino alla scoperta della radice dei Vangeli, cioè Gesù di Nazaret.

Questa scommessa era stata lanciata dal più famoso di questi studiosi: Rudolf Bultmann, nato nel 1884 e morto nel 1976. Ma il suo risultato è stato totalmente deludente. Un suo discepolo diceva: «Egli è arrivato sui Vangeli con un martello in mano e ha spaccato tutti i Vangeli in minutissime unità». Bultmann, infatti, ha concluso con una doppia frase sostanzialmente negativa per la storicità dei Vangeli:

 

Primo: Noi possiamo dire soltanto questo: «In principio c’era il kerigma; non Gesù di Nazaret». Noi di Gesù di Nazaret non riusciamo a sapere nulla; nei Vangeli riusciamo a capire soltanto che c’erano dei credenti in Gesù di Nazaret: dai Vangeli emerge solo la fede pasquale.

 

Secondo: «Tra il Gesù storico, che pure c’è stato, e noi, che leggiamo i Vangeli, c’è di mezzo lo schermo opaco e invalicabile della fede». Per cui noi storicamente non potremo sapere nulla di Gesù di Nazaret. Abbiamo solo la testimonianza degli evangelisti.

 

Questo risultato poi è stato smentito. Però il lavoro di Bultmann è servito a farci capire che gli evangelisti non hanno voluto darci una biografia di Gesù ma scrivere un Evangelo, cioè un buon annunzio, un annunzio di fede e di gioia, sia pure ancorato alla storia, cioè agli atti e alle parole di Gesù.

Ecco allora sorgere l'altra scuola che è convinta di poter arrivare a scoprire il nucleo storico di Gesù, ma che continua anche a sottolineare il fatto che i Vangeli hanno una stesura, una redazione fatta da ciascun evangelista, fatta dalla testimonianza della chiesa. È la Redaktionsgeschichte, la storia della redazione.

Luca, con questo suo prologo, ci offre la chiave per capire che egli ha una sua prospettiva. Egli si interesserà in maniera particolare della storia di Gesù come incontro tra l’infinito e il finito: un discorso squisitamente teologico, inserito però in una dimensione che è anche storica.

La storicità di Luca all’interno della sua redazione ha una finalità ulteriore, la scoperta del Cristo. Storia, dunque, ma con una finalità superiore. Riusciamo certamente ad entrare nell’interno della figura storica di Gesù; ma Luca non vuole offrirci con il suo Vangelo un atlante storico su Gesù e sulla Palestina di quel tempo. La figura storica di Gesù è presentata perché tutti credano nel Cristo, Figlio di Dio.

 

b. La trama o struttura del libro

Se è attento alla storia, Luca dovrebbe seguire un itinerario storico prefissato. In realtà la trama che Luca ha in mente è soprattutto teologica, spirituale; in essa la storia è presente, ma è fatta lievitare.

Quando si parla di struttura, di «spartito» letterario, si suppone una guida di lettura, un progetto preciso, nitido che l’autore aveva in mente. Noi dobbiamo seguire questo progetto se vogliamo capire il suo scopo ultimo.

I primi due capitoli di Luca sono una specie di grande premessa: i Vangeli dell’infanzia, che esamineremo la prossima volta.

Il Vangelo vero e proprio è articolato in un trittico.

C’è un primo grande quadro che comincia con il c. 3 e finisce al c. 9 v. 50: è il ministero di Gesù in Galilea. Al centro c’è un grande discorso che Gesù tiene in un punto preciso dello spazio: Nazaret (c. 4). Per Luca questo discorso è più importante anche di quello delle beatitudini.

Il secondo grande quadro, il più dilatato, è costituito da dieci capitoli. Leggiamo Lc 9,51:

 

Mentre stavano compiendosi i giorni della sua ascensione, Gesù si diresse decisamente verso Gerusalemme (in greco c’è una frase curiosa di taglio semitico: «fece la faccia dura» verso Gerusalemme).

 

Da quel momento in avanti nei capitoli che passano, c’è sempre un filo sottile che ogni tanto emerge: il Gesù di Luca è sempre in cammino verso la città del suo destino. Per esempio:

 

Passava per città e villaggi insegnando, mentre camminava verso Gerusalemme (13,22).

Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea (17,11).

Ecco, noi andiamo a Gerusalemme (18,31).

Detto questo, Gesù proseguì avanti agli altri, salendo verso Gerusalemme (19,28).

Fu vicino a Betfage e Betania (è la periferia di Gerusalemme) (19,29).

 

Il Gesù di Luca - lo avete visto anche nel quadro del pittore Timoncini - è in cammino: la bisaccia, il bastone da viaggio, i calzari. È per eccellenza un Gesù nomade, pellegrino, il Gesù figlio dell’antico Israele che continuava a camminare, a pellegrinare («Siamo pellegrini e stranieri come i nostri padri», dice Davide in 1 Cron 29,15).

Per Luca anche il discepolo, il cristiano dev’essere per eccellenza un pellegrino: lo deve seguire sempre. Nel libro I racconti di un pellegrino russo c’è un riferimento a Gesù che sta andando verso Gerusalemme. Si aggiunge poi questa confessione del pellegrino:

 

Per grazia di Dio sono uomo e cristiano. Per azioni mie sono un grande peccatore. Per vocazione sono come Gesù: pellegrino della specie più misera, errante di luogo in luogo. I miei beni terrestri sono una bisaccia sul dorso, con un po’ di pane secco e nella tasca interna del camiciotto la sacra Bibbia. Null’altro.

 

La storia ormai è piegata da Luca, perché quel viaggio non è solo un viaggio storico, è un viaggio spirituale, un itinerarium mentis Iesu, un viaggio dello spirito di Gesù verso quella meta: Gerusalemme.

Gesù finalmente entra in Gerusalemme (19,28-29) e lì si compiono gli ultimi momenti. Ma dove realmente Gesù conclude il suo viaggio? La risposta spontanea è: nella risurrezione. Ma per Luca il punto terminale del suo Vangelo e del viaggio di Gesù è il monte degli Ulivi: qui Gesù sale al cielo. Questo è il grande segno dell'ultimo viaggio, dell’altro viaggio che sarà continuato anche negli Atti degli apostoli, quando Cristo sarà presentato come l’archegòs, la guida che cammina in avanti, mentre alle sue spalle c’è tutto il suo popolo che va verso l’infinito, verso Dio.

Il Vangelo finisce (24,53) con questa frase:

 

Tutti (i discepoli) stavano sempre nel tempio lodando Dio.

 

Il Vangelo era iniziato nel tempio, dove c’era il popolo dell’antica alleanza (l,5ss: Zaccaria, il sacrificio, la visione). Ora c’è il popolo della nuova alleanza: la comunità dei discepoli. Ma pur segnalando Gerusalemme come meta, per noi discepoli Luca ha indicato che Gerusalemme non è il punto terminale del nostro destino, perché gli Atti degli apostoli finiranno a Roma, cioè in tutto il mondo. Cristo passa nell’interno del nostro spazio, arriva a Gerusalemme e va nell’infinito; noi entriamo sui suoi passi e andiamo all’orizzonte sterminato del mondo in attesa di essere con lui nella ascensione, cioè nell’infinito di Dio.

 

c. Il progetto o messaggio fondamentale

Qual è il messaggio fondamentale e radicale sul quale si costruisce questo Vangelo? La risposta la abbiamo in un certo senso già abbozzata: Luca ci offre una teologia della storia.

Cerchiamo di precisare che cosa voglia dire «teologia della storia», quale sia la visione della storia offerta da Luca. I Vangeli sono libri che hanno delle visioni qualche volta dure, ma solide e a grande respiro. Luca ci offre la sua interpretazione della storia più o meno in questa maniera. Immaginiamo una specie di grande traiettoria iniziata alle nostre spalle. C’è un versetto di Luca che dice:

 

La Legge e i Profeti fino a Giovanni; da allora in poi... il regno di Dio (16,16).

 

Alle spalle, ovviamente, c’è tutto l'antico Israele, l’Antico Testamento che per Luca finisce con il Battista, l’ultimo dei profeti dell’antica alleanza.

Al centro c’è un anello, una specie di perno.

Nel 1954 è uscito uno dei più grandi studi, ancora fondamentali, sulla teologia del Vangelo di Luca. L’autore era un discepolo di Bultmann, Hans Conzelmann. Il titolo dell’opera è significativo, perché riassume in modo limpidissimo il significato di questa lettura della storia e soprattutto di questo anello centrale: Die Mitte der Zeit (Il punto di mezzo del tempo). Cristo è il perno della storia; tutto il resto può ruotare perché c’è lui, altrimenti la storia si sfalderebbe in una serie dispersa di giorni, di anni; non sarebbe storia della salvezza.

Ecco allora l’altro elemento: dopo la traiettoria del passato e il perno, il filo che continua. Qual è la traiettoria successiva? Saremmo tentati di dire che è la chiesa in cammino verso la pienezza. Luca è quello che in maniera più rigorosa parla soprattutto della chiesa. Non ha la preoccupazione di presentarci la fine della storia. C’è stato alle spalle Israele, c’è il Cristo perno, ora c’è il tempo nostro: viviamo questo tempo, tempo della chiesa.

Nei Vangeli e soprattutto in Paolo (1 Ts) troviamo la testimonianza di una chiesa in altissima tensione: stava aspettando la fine, la parusìa.

Era, questo, il termine usato per indicare l’arrivo dell’imperatore nelle città dell’impero, nelle province. Questo grande evento significava anche alcune cose molto concrete: la remissione dei debiti e delle tasse, la liberazione dei prigionieri, le amnistie... Di fronte a questa parusia i cristiani sono col capo continuamente levato: ogni alba della domenica; per alcune comunità (come quella di Tessalonica) si attendeva appunto l’alba in cui Cristo sarebbe apparso sfolgorante e avrebbe chiuso il libro della storia. Ebbene, gli anni erano passati e le parole di Gesù, lette allora senza prospettiva, vengono ora impostate correttamente da Luca. Così nel Vangelo di Marco ci sono due frasi che Luca cancella, pur citando quasi tutto il contesto. (Le fonti di Luca sono: Marco; alcune conoscenze personali, da cui scaturiscono delle pagine bellissime tutte sue; la fonte Q - dal tedesco Quelle, «fonte» -, una raccolta di frasi di Gesù; e per i vangeli dell’infanzia una fonte palestinese). Marco ha queste due frasi:

 

Vi sono alcuni qui presenti che non morranno, senza aver visto il regno di Dio venire con potenza (Mc

9,1).

 

Luca cita il pezzo, ma arrivato a questo punto ridimensiona la frase. Egli voleva indicare l’allargarsi dell’attesa. (Gesù probabilmente intendeva un’altra cosa con questa frase: il regno di Dio è presente in lui nella pienezza. Ma i primi cristiani l’avevano interpretato come riferimento alla fine del mondo).

E ancora:

 

Non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute (Mc 13,30).

 

Luca cita fino a Mc 13,29 (scene apocalittiche), poi cancella questa frase.

Scegliamo ora due frasi positive: anche queste sono emblematiche per indicare come Luca voglia sospendere questo stato di tensione, mettere tranquilli, invitare a guardare avanti.

In Lc 19,11, all’inizio della parabola dei talenti (mine), si dice che Gesù raccontò questa parabola perché essi «credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro». Gesù racconta la parabola proprio per dire che non sarà così. L’altro passo riguarda i falsi profeti. Essi sono

 

coloro che verranno nel mio nome dicendo: «Sono io!» e diranno: «lì tempo è vicino!». Ebbene, non seguiteli! (Lc 21,8).

 

Luca è esplicito nell’indicare che il Cristo la pensa diversamente. Il Vangelo di Luca è quindi il Vangelo del presente, dell’etica, della morale, della quotidianità, il Vangelo dei diseredati che ora sono poveri, che ora hanno fame, che ora hanno sete.

Sarà anche l’impegno continuo del discepolo, il quale deve seguire ogni giorno il Signore Gesù. Sono dettagli; ma in un testo così rigoroso come il Vangelo anche i dettagli hanno un loro significato.

Marco e Matteo dicono che per seguire il Cristo bisogna prendere la croce e seguirlo. Luca cita la frase, ma pone all’interno un particolare che è un segnale: bisogna prendere ogni giorno la croce e seguirlo (9,23). Egli è convinto che è nella vita quotidiana che ci sono le grandi epifanie di Dio. Il futuro è nelle sue mani. Sappiamo che quel «poi» è l'ascensione, la nostra e la sua.

Ma per ora i vostri occhi siano fissi su Gerusalemme. Ricordiamo la scena di At 1: i discepoli che guardano il cielo e ricevono l’invito a non guardare in alto il Signore risorto ma ad andare a Gerusalemme ad annunciare. Ecco, il Vangelo di Luca ha questo progetto ultimo: mostrarci che la storia è distesa su un tracciato armonico, anche se a noi appare come una matassa di fili aggrovigliati. Questo tracciato armonico ha un prima e un poi, ha un centro che lo sostiene. Il «poi» lo stiamo ancora vivendo, svolgendo: l’importante è svolgerlo bene.

Luca ci mette nelle mani il modo per svolgerlo bene, per far sì che diventi un filo d’oro che sale verso Dio. E implicitamente aggiunge: Preoccupati che lo scioglimento sia fatto con grande finezza e attenzione anche ai particolari. Ricordiamo la bellissima frase di Mauriac a proposito dei particolari e delle finezze del Gesù di Luca sempre attento alle piccole cose, alle piccole sofferenze, alle piccole scene quotidiane:

 

Luca ci ha insegnato che noi non abbiamo mai il diritto di disprezzare, di irridere il pianto dei bambini, perché tutti i dolori sono uguali e importanti per chi li vive.

 

Tutte le piccole cose di Gesù sono altissime agli occhi di Luca. Dalla prossima volta noi leggeremo una serie di pagine del Vangelo di Luca, seguendolo nella sua storia, nella sua trama e nel suo progetto, ma anche nei particolari. Cominceremo con l'atmosfera natalizia: con i due bellissimi capitoli iniziali, il cosiddetto Vangelo dell’infanzia. Saremo costretti a selezionare; ma vi invito a leggere tutto il testo, integralmente.

Serviamoci anche di commenti: ce ne sono molti anche in lingua italiana. C’è il grande commento di Schürmann, un capolavoro (Paideia, Brescia); c’è un commento molto esteso di Ernst (Morcelliana, Brescia). Ci sono commenti più semplici come quello di Ortensio da Spinetoli (Cittadella, Assisi), oppure quello di Radermakers-Bossuyt (EDB, Bologna), o quello più breve ed essenziale di Ghidelli (Paoline, Roma).

Credenti o non credenti, ricordiamo sempre che i Vangeli sono testi sacri. Benché scritto in un greco modesto in confronto ai grandi classici, per noi è una fiamma unica che deve guidare e illuminare la nostra fede e il cammino della nostra vita. E per i non credenti è quella grande eredità che ha influito paradossalmente molto più di Platone, anche se Platone e il suo pensiero apparentemente sembrano più nobili. La storia è stata segnata da queste 24 paginette di Luca molto di più che dalla grande collezione dei testi platonici.

Leggiamo quindi questi Vangeli come libri di Dio, seguendoli con la fede e l’amore.

Dagli Apoftegmi dei padri del deserto:

 

Un discepolo andò dal suo maestro e gli disse: «Maestro, voglio trovare Dio». E il maestro sorrise. E siccome faceva molto caldo, invitò il giovane ad accompagnarlo a fare un bagno nel fiume. Il giovane si tuffò e il maestro fece altrettanto. Poi lo raggiunse e lo agguantò, tenendolo a viva forza sott'acqua. Il giovane si dibatté alcuni istanti, finché il maestro lo lasciò tornare a galla. Quindi gli chiese che cosa avesse desiderato di più mentre si trovava sott’acqua. Il discepolo rispose: «L’aria, evidentemente». «Desideri Dio allo stesso modo e la sua parola allo stesso modo?» gli chiese il maestro. «Se lo desideri così, non mancherai di trovare lui e la sua parola. Ma se non hai in te questa sete ardentissima, a nulla ti gioveranno i tuoi sforzi e i tuoi libri. Non potrai trovare la fede se tu non la desideri come l’aria per respirare».


Ritorno al testo del "Vangelo di Luca"

Ritorno alla Bibbia


07 maggio 2024               a cura di Alberto "da Cormano"   Grazie dei suggerimenti  Bibbia@ora-et-labora.net