John P.
Meier
UN EBREO
MARGINALE
Ripensare il
Gesù storico
QUERINIANA
20084
(Più che un'introduzione ai Vangeli, si tratta dell'analisi delle fonti dei
Vangeli e in generale delle fonti riguardanti il "Gesù storico". N.d.R.)
CAPITOLO SECONDO
FONTI:
I LIBRI CANONICI
DEL NUOVO TESTAMENTO
La
fonte principale della nostra conoscenza sul Gesù storico è anche il problema
principale: i quattro vangeli canonici (Marco, Matteo, Luca e Giovanni) che i
cristiani considerano parte del Nuovo Testamento. I vangeli non sono
originariamente opere di storia nel senso moderno della parola. Essi mirano
prima di tutto a proclamare e a rafforzare la fede in Gesù come Figlio di Dio,
Signore e Messia. La loro presentazione, dall'inizio alla fine, è modellata
dalla loro fede che il crocifisso Gesù fu risuscitato da morte e tornerà nella
gloria per giudicare il mondo. Inoltre, i vangeli non intendono né pretendono
offrire qualcosa di simile ad una narrazione completa, e neanche sommaria, della
vita di Gesù. Marco e Giovanni presentano Gesù adulto che inizia il suo
ministero, un ministero che si protrae al massimo per pochi anni. Matteo e Luca
premettono al ministero pubblico due capitoli di racconti dell'infanzia, la
storicità dei quali è molto dibattuta. Immediatamente, riconosciamo
l'impossibilità di scrivere una biografia (in senso moderno) di un uomo che morì
a circa trent' anni dal momento che conosciamo al massimo avvenimenti scelti, da
tre o quattro anni della sua vita.
Ancora peggio, non sappiamo quasi nulla sull'effettiva sequenza storica degli
avvenimenti che ci sono stati conservati. La critica delle forme degli anni
venti correttamente metteva in risalto che dietro Marco, il nostro più antico
vangelo, si trovano collezioni di tradizioni orali o scritte, legate insieme da
forme, temi e parole chiave comuni. Tali collezioni sono ancora visibili in
Marco: per es., i racconti di controversie collocate molto presto nel ministero
galilaico (2,1-3,6), bilanciati da Marco con un'altra collezione di racconti di
controversie collocati a Gerusalemme alla fine del ministero (11,27-12,34); una
sezione centrale di racconti di miracolo e detti di Gesù legati insieme dalla
parola chiave «pane» (6,6b-8,21) e una collezione di parabole (4,1-34). Non
abbiamo motivo di ritenere che queste collezioni preservino fedelmente l'ordine
cronologico degli avvenimenti, specialmente perché Matteo e Luca non lo fecero.
Matteo, per esempio, riordina liberamente i racconti di miracolo di Marco, per
creare un' ordinata collezione di nove racconti di miracolo divisi in tre gruppi
di racconti separati da materiale 'tampone'
(Mt 8-9). Il grande discorso della
montagna di Matteo si trova parzialmente nel più breve discorso della pianura di
Luca (entrambi i discorsi sono ambientati Galilea) e parzialmente in materiale
sparso nel corso del lungo racconto lucano del viaggio finale di Gesù a
Gerusalemme (Lc 9,51-19,27).
In
breve, ognuno dei sinottici ha riorganizzato i grani del rosario
(= le pericopi) sulla catena del
rosario (= la struttura del proprio
vangelo), adeguandolo alla propria visione teologica. Dato che anche le
collezioni pre-evangeliche di pericopi erano già organizzate artificialmente,
nella maggioranza dei casi non sono in grado di determinare quale ordine degli
avvenimenti potrebbe essere storico, ammesso che qualcuno lo sia. Possiamo
essere abbastanza sicuri che il ministero di Gesù sia cominciato dopo
il suo battesimo ricevuto da Giovanni al Giordano e sia terminato con
un ultimo, fatale, viaggio a Gerusalemme per la festa di pasqua. La durata
esatta del tempo intercorso e l'ordine esatto degli avvenimenti del ministero
pubblico non possono essere conosciuti. Senza un senso del ‘prima' e del 'dopo'
una biografia in senso moderno e anzi ogni abbozzo dello sviluppo psicologico o
religioso di Gesù è impossibile.
Per
aumentare la confusione, nel quarto vangelo Giovanni segue ampiamente una
propria strada, concentrando il ministero di Gesù non in Galilea, come i
sinottici, ma piuttosto in Giudea e a Gerusalemme. A parte l’’epilogo' del cap.
21 (probabilmente aggiunto da un redattore finale), solo un capitolo in Giovanni
si concentra esclusivamente sul ministero galilaico (cap. 6). Nel quarto vangelo
Gesù adulto viaggia alla volta della Giudea e di Gerusalemme almeno quattro
volte, in contrasto con l'unico viaggio nei sinottici alla fine del ministero
pubblico. Dal periodo patristico in avanti, i cristiani hanno cercato di far
combaciare la cronologia sinottica e quella giovannea, per creare un' «armonia
dei vangeli», ma ognuna di queste fusioni rimane altamente congetturale e ignora
la natura delle fonti. Infatti, se ogni vangelo non contiene un ordine
cronologico storicamente accurato, ma uno schema teologico artificiale, mettere
insieme tutti i quattro vangeli produrrà solo un confuso accumulo di schemi
teologici, non l'ordine cronologico che nessuno di essi possiede.
L'ordine cronologico non è l'unica cosa che i vangeli non forniscono.
Fondamentale è chiedersi se i vangeli ci preservino le parole esatte di Gesù, o
solo al massimo la sostanza di ciò che egli disse. Probabilmente lo studioso del
XX sec. che ha maggiormente confidato
nella nostra abilità di far emergere la voce stessa di Gesù dai vangeli fu
Joachim
Jeremias, che lavorò per ricostruire
l'originale aramaico di vari detti autentici di
Gesù. Tuttavia, ci sono buoni motivi
per chiedersi se la tradizione evangelica e gli evangelisti fossero poi tanto
interessati alla formulazione precisa di ciò che Gesù disse. Ammesso questo,
alcune variazioni nello stesso detto o nella stessa parabola possono essere
spiegate in modo soddisfacente supponendo che Gesù, il maestro itinerante,
ripetesse regolarmente il suo messaggio in forme differenti. Anche qui,
tuttavia, siamo condotti alla logica conclusione che nessuna forma di un detto
può essere designata come la
forma originale.
Comunque, la ripetizione da parte di Gesù dello stesso insegnamento in molte
differenti occasioni non può spiegare tutte le variazioni di formulazione nel
Nuovo Testamento. Per esempio, abbiamo quattro resoconti di ciò che Gesù disse
sul pane e sul vino nell'ultima cena (Mc
14,22-25; Mt 26,26-29; Lc 22,19-20; 1 Cor 11,23-26) e le quattro
versioni differiscono tra loro. Ovviamente, Gesù dovette dire queste parole solo
una volta prima che la sua vita terminasse bruscamente; quindi non possiamo fare
appello alla supposizione delle ripetizioni in varie forme. Abbiamo qui un dato
significativo: le 'parole eucaristiche' erano chiaramente importanti per la
chiesa delle origini come attestano le loro quattro formule! -. Però, alla
chiesa delle origini importava l'accordo nella sostanza, non nell'esatta
formulazione. Se questo è vero per le vitali 'parole dell'istituzione' durante
l'ultima cena, c'è qualche ragione per pensare che altre parole di Gesù fossero
preservate con un più grande zelo in forma letterale? Decenni di adattamenti
liturgici, di espansioni omiletiche e di attività creativa dei profeti cristiani
hanno lasciato il loro segno sulle parole di Gesù nei quattro vangeli. Le
differenti versioni di materiale molto importante come la preghiera del Signore
(Mt 6,9-13; Lc 11,2-4) e le beatitudini (Mt 5,3-12; Lc
6,20b-23) rafforzano solo l'impressione che, cercando l'insegnamento del
Gesù storico, dobbiamo spesso accontentarci del contenuto fondamentale e di
ricostruzioni ipotetiche della «più antica forma disponibile», che risalga o no
effettivamente a Gesù.
Tutte queste osservazioni sollevano la questione della datazione dei vangeli
canonici e delle loro fonti. Accetto l'opinione corrente nella ricerca
contemporanea sul Nuovo Testamento: Marco, usando diverse collezioni di
tradizioni orali e forse scritte, compose il suo vangelo intorno al 70 d.C.
Matteo e Luca, lavorando indipendentemente l'uno dall'altro, composero vangeli
più lunghi nel periodo tra il 70 e il 100 (più verosimilmente tra 1'80 e il 90),
combinando ed elaborando Marco, una collezione di detti di Gesù, che gli
studiosi arbitrariamente etichettano con la sigla Q, e tradizioni speciali
peculiari a Matteo e Luca. Quest'ipotesi è conosciuta come ipotesi delle due
fonti. Benché oggi sia quella più comunemente usata, non è accettata
universalmente. Per esempio, alcuni studiosi come William Farmer e C.S. Mann
continuano a sostenere l'ipotesi di Griesbach: Matteo scrisse per primo, poi
scrisse Luca, dipendendo da Matteo, e infine Marco compose un compendio o una
fusione di Matteo e Luca, Altri studiosi accettano la priorità di Marco, ma
mettono in dubbio l'esistenza dell'ipotetico documento Q, che deve essere
ricostruito dal materiale comune a Matteo e Luca che non si trova in Marco. Il
mio precedente lavoro di critica redazionale su Matteo mi ha convinto che
l'ipotesi delle due fonti, per quanto non senza i suoi problemi, è la teoria più
sostenibile. È anche quella più usata
dalla comunità internazionale degli studiosi; di conseguenza sarà l'ipotesi
utilizzata qui. La conclusione importante di questa posizione è che Marco e Q
forniscono due fonti differenti per il confronto e la verifica.
Si
discute ancora animatamente se il vangelo secondo Giovanni offra una fonte
altrettanto indipendente di informazioni su Gesù, accanto a Marco e Q. Al
principio del XX secolo si dava ampiamente per scontato che Giovanni avesse
conosciuto e usato i vangeli sinottici. P. Gardner Smith criticò quest'opinione
nel 1938, affermando che Giovanni rappresentava una tradizione indipendente.
Questa posizione fu elaborata nel dettaglio da C.H. Dodd e fu accettata da
commentatori importanti come Raymond Brown, Rudolf Schnackenburg ed Ernst
Haenchen. Oggi è probabilmente l'opinione dominante, ma neppure in questo caso
vi è unanimità. Per esempio, il grande esegeta di Lovanio, Frans Neirynck
sostiene che Giovanni dipende da Marco, Matteo e Luca. A mio parere, comunque,
studiosi come Dodd e Brown hanno la meglio nella disputa. La presentazione
giovannea del ministero di Gesù è decisamente troppo differente per essere
derivata dai sinottici e anche dove Giovanni è parallelo ai sinottici la strana
mistura e lo schema irregolare di concordanze e discordanze si spiegano meglio
con un filone di tradizione simile ai sinottici, ma indipendente da essi. In
breve, la nostra rassegna dei quattro vangeli ci dà tre distinte fonti
principali con le quali lavorare: Marco, Q
e Giovanni.
Chiamo queste fonti 'principali' rispetto alle due fonti minori e problematiche,
vale a dire, M ed L. Con M ed L intendo le tradizioni che sono esclusive dei
vangeli secondo Matteo (M) e Luca (L) rispettivamente. Si isolano queste
tradizioni sottraendo da un dato vangelo tutto ciò che si valuta derivato da
Marco, Q e dall'attività redazionale
dell'evangelista. Proprio perché queste tradizioni M ed L furono modellate e/o
trasmesse dalle chiese particolari che contribuirono anche alla formazione delle
prospettive teologiche di Matteo e Luca, è talvolta estremamente difficile
distinguere la tradizione M dalla redazione di Matteo e la tradizione L dalla
redazione di Luca. Non sorprende dunque che, il vocabolario, lo stile e il
contenuto teologico di queste tradizioni spesso possa coincidere con quelli di
Matteo e di Luca. Per cui la critica delle fonti si trova in una specie di
enigma. Solo quando il vocabolario, lo stile e la visione teologica del
materiale esclusivo di Matteo o Luca divergono da quelli dell'evangelista
possiamo sentirci abbastanza sicuri nel dichiarare che il materiale appartiene
alla tradizione M o L e non è una creazione redazionale. Anche in tal caso, non
possiamo passare automaticamente dalla tradizione M o L a un detto autentico di
Gesù. Poiché il materiale M o L, per definizione, manca di qualunque parallelo,
le decisioni sulla storicità non sono facili da raggiungere e devono essere
prese caso per caso. Tenendo conto di tutti questi avvertimenti come pure della
natura frammentaria delle tradizioni M ed L - penso che si debbano
classificare come fonti minori piuttosto che come principali.
La
questione del valore storico condiziona ancor più il materiale del quarto
vangelo e alcuni critici semplicemente ignorano Giovanni. Ciononostante,
contrariamente alla tendenza di Bultmann e dei suoi seguaci, il vangelo secondo
Giovanni, a mio parere, non deve essere respinto complessivamente e
a priori come fonte per il Gesù
storico. Certo, la riscrittura di narrazioni per scopi simbolici e la
riformulazione di detti per scopi teologici raggiungono in Giovanni il loro
culmine. Queste tendenze, però, non sono totalmente assenti dai sinottici e a
volte (per es., in questioni come la natura dell'ultima cena e la data della
morte di Gesù) Giovanni, più che i sinottici, può essere storicamente corretto.
Ogni caso deve essere giudicato singolarmente; la «tirannia del Gesù sinottico»:
dovrebbe essere gettata nel cestino dei postbultmanniani.
Al
di fuori dei quattro vangeli, il Nuovo Testamento offre pochissimo su Gesù.
Quantitativamente la fonte di informazione più attendibile è Paolo, l'unico
scrittore neotestamentario che, senza dubbio, proviene dalla prima generazione
cristiana. Poiché il centro della teologia di Paolo è la morte e la risurrezione
di Gesù, gli avvenimenti e i detti del Gesù terreno non hanno un ruolo
importante nelle sue lettere. Inoltre, le sue lettere non miravano generalmente
a impartire una conoscenza iniziale di Gesù, che era piuttosto presupposta e
richiamata solo quando necessario. Di solito solo in pochi casi, in cui problemi
urgenti (specialmente nella chiesa di Corinto) spingono Paolo a ripetere la
dottrina fondamentale che aveva comunicato quando aveva predicato il vangelo per
la prima volta a una determinata assemblea, fa ricorso alle parole di Gesù e
agli avvenimenti della sua vita. Per esempio, il problema del divorzio tra i
corinti porta Paolo in una maniera molto insolita per lui a fare appello
all'insegnamento di Gesù che proibisce di divorziare (1
Cor 7,10-11), ma anche qui è
riferito con una parafrasi piuttosto che alla lettera (cfr., per es.,
Mc 10,11-12;
Mt 5,32;
Lc 16,18). La difesa di Paolo del
suo modo indipendente di sostenersi finanziariamente lo induce ad alludere ai
detti di Gesù sul sostegno dei missionari (1
Cor 9,14; cfr.
Mt 10,10;
Lc 10,7). La mancanza di carità
cristiana mostrata nelle eucaristie di Corinto spinge Paolo a ricordare le
azioni e le parole di Gesù nell'ultima cena (1
Cor 11,23-26). Difficoltà circa la
dottrina sulla risurrezione dei cristiani nell'ultimo giorno occasionano la
ripetizione di una formula di fede cristiana molto antica, che include il dato
fondamentale della morte e sepoltura di Gesù (1
Cor 15,3).
Tuttavia, nella maggioranza di questi casi, non dovremmo parlare di 'citazione'
da parte di Paolo delle parole di Gesù. Sono allusioni più che citazioni,
poiché, eccetto il caso delle parole eucaristiche di Gesù, Paolo dà
semplicemente l'essenza dell'insegnamento di Gesù; sempre con un occhio all'
applicazione, Paolo desidera fare come se discutesse con i corinti. Comunque, il
semplice fatto che Paolo (1) alluda incidentalmente a detti di Gesù,
(2) si aspetti che i corinti li
riconoscano e li accettino come normativi e (3) talvolta faccia appello a un
preciso insegnamento su Gesù che Paolo ricevette dopo la sua conversione e
impartì ai corinti dopo la loro conversione (1 Cor 11 ,23; 15,3) rivela
un certo patrimonio di insegnamenti di Gesù e
su Gesù che circolava tra le chiese paoline della prima generazione.
È sicuramente significativo che,
quando in 1 Cor Paolo fa appello
a insegnamenti di Gesù o su Gesù, troviamo materiale parallelo nei sinottici. E
altresì notevole che Paolo distingua accuratamente (1
Cor 7,1 0-13) tra il detto di Gesù
sul divorzio e la sua applicazione di quel detto a una nuova situazione
(matrimoni tra cristiani e pagani). Nonostante le sue rivendicazioni di autorità
apostolica, Paolo non si sente libero di creare insegnamenti e di porli sulla
bocca di Gesù. Potremmo chiedere: chi lo fece nella prima generazione?
Anche se questi pochi casi chiari in 1 Cor
sono utili in quanto ci offrono una fonte indipendente per
controllare i sinottici (specialmente per i detti sul divorzio e sull'
eucaristia), si deve ammettere che quasi esauriscono l'utilità delle lettere
paoline nella ricerca sul Gesù storico. Si possono trovare pochi frammenti di
ulteriori dati disseminati lungo le lettere (per es., Gesù era un discendente
davidico, Rm 1,3; la sua missione fu orientata a Israele, non ai gentili,
Rm 15,8). Di nuovo, però, nel migliore dei casi essi confermano ciò che i
vangeli ci dicono comunque. Al massimo, questi testi paolini ci informano che
tali fatti riguardanti Gesù erano insegnati anche in chiese lontane non fondate
da Paolo (Roma!) durante la prima generazione cristiana.
Alcuni critici guardano a un'altra possibile fonte paolina d'informazione: le
ampie sezioni parenetiche (= di
esortazione morale) di Paolo, che trovano paralleli nell'insegnamento di Gesù. I
dati, comunque, lasciano aperte molte spiegazioni. Paolo usava consapevolmente
un insegnamento che sia lui sia i suoi convertiti sapevano provenire da Gesù,
senza che Paolo si preoccupasse di riferirsi alle fonti ben conosciute della sua
esortazione? o Paolo usava materiale che di fatto proveniva da Gesù senza che
Paolo ne conoscesse l'origine? o Gesù e Paolo usarono nelle loro esortazioni
uguali tradizioni giudaiche etiche e sapienziali? o Paolo e altri cristiani
della prima generazione svilupparono una parenesi che successivamente passò
nella tradizione sinottica e fu attribuita a Gesù? Tutte queste opinioni sono
possibili e tutte possono essere vere a qualche livello. Talvolta una stretta
somiglianza nella forma e nel contenuto, come pure la dissomiglianza dal più
ampio ambito religioso del I sec.,
possono rendere verosimile la dipendenza di Paolo da Gesù. Tale può essere il
caso dell'esortazione ad amare i propri nemici o persecutori, com'è conservata
in Mt 5,38-48;
Lc 6,27-36, da una parte, e in
Rm 12,14.17-20; 1
Ts 5,15; 1
Cor 4,12 (cfr. 1
Pt 3,9), dall'altra.
Oltre questi casi speciali, tuttavia, si rimane incerti su quanto Paolo conobbe.
Ad ogni modo, la nostra conoscenza del Gesù storico non progredirebbe anche se
si dimostrasse che questi passi parenetici derivano da Gesù. Dopo tutto, la vera
ragione per cui sono proposti alla considerazione è che sono paralleli a
materiale presente anche nei sinottici. Al massimo, quindi, potrebbero servire
solo come controlli per la tradizione sinottica, non come fonti di nuova
informazione.
Al
di là di Paolo, il resto del Nuovo Testamento concede una messe ancora più
magra. La lettera di Giacomo, come le lettere paoline e le altre del Nuovo
Testamento, può contenere alcuni detti di Gesù rielaborati. La candidatura più
chiara è la proibizione dei giuramenti in Gc 5,12 (cfr.
Mt 5,34-37). La prima lettera di
Pietro è un'altra possibile fonte, per quanto la disputa se
l'autore conoscesse altri
documenti che ora si trovano nel Nuovo Testamento complichi la questione. La
lettera agli Ebrei fa menzione - in quanto evidente ostacolo alla sua tesi che
Gesù è il sommo sacerdote della
nuova alleanza - del fatto che era della tribù di Giuda, non di Levi
(Eb 7,14). Essa conosce anche una
tradizione affine alla preghiera di Gesù agonizzante nel Getsemani
(Eb 5,7-8; cfr.
Mc 14,32-42 e par.; anche
Gv
12,27 -36a). L'
Apocalisse di Giovanni conosce un
linguaggio apocalittico e metafore che si trovano pure nel discorso escatologico
di Gesù. Per esempio, l'audace immagine del ladro applicata a Gesù che viene
alla fine del tempo si trova sia in Q (Mt
24,43; Lc 12,39) sia
in Ap 3,3; 16,15 (cfr. la
versione attenuata in 1 Ts
5,2.4; 2 Pt 3,10, in cui il
«giorno del Signore» viene come un ladro). In tutti i quattro testi le parole
sono pronunciate direttamente da Gesù - nei vangeli, il Gesù terreno; nell'Apocalisse,
Gesù risorto ed esaltato -. Qui, naturalmente, sta il problema: un
detto del Gesù storico è stato messo sulla bocca del Cristo risorto, contemplato
in una visione dal veggente
dell'Apocalisse?
o profeti cristiani, avendo udito queste parole nelle loro visioni
del Signore risorto, le hanno messe sulla bocca del Gesù terreno? Se allarghiamo
il quadro, una decisione a riguardo fa poca differenza per il nostro progetto,
poiché ancora una volta il materiale non aggiunge nulla di sostanziale
all'insieme dei dati disponibili nei quattro vangeli. Entro il Nuovo Testamento
siamo fondamentalmente rimandati ai vangeli. Di conseguenza, nei capitoli
successivi dobbiamo indagare se è possibile trovare qualche fonte indipendente
di informazione sul Gesù storico al di fuori del Nuovo Testamento.
Le fonti dei Vangeli