I
SALMI
a cura di
Enzo Bianchi
Estratto da “La
Bibbia. La Sapienza di Israele. Salmi. Giobbe, Proverbi, Cantico dei Cantici” – Mondadori
2001
A questo link troverete brevi
commenti ai singoli Salmi a cura di G. Ravasi
IL CONTENUTO
Il
Salterio si presenta suddiviso in cinque libri scanditi da una dossologia
finale; il Quinto libro è concluso da una piccola collezione di Salmi (dal 146
al 150), detti alleluyatici perché hanno come titolo l'espressione «Lodate il
Signore» (halelûyah), che fungono da
dossologia conclusiva non solo del Quinto libro ma dell'intero Salterio (dal
greco psaltérion, lo strumento a corde che accompagnava i Salmi).
Questa antica suddivisione, risalente almeno al Il secolo a.C.
ma probabilmente più antica, riproduce la suddivisione in cinque libri della
Torah (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio) e sottolinea
l'autorevolezza dei Salterio: anch'esso è una Torah! La dossologia finale di
ciascun libro si accompagna a una beatitudine che troviamo all'interno di ognuno
dei Salmi che chiudono i cinque libri: 41,2; 72,17; 89,16; 106,3; 146,5
(all'inizio della collezione alleluyatica conclusiva dei Salterio). Il doppio
registro della «beatitudine dell'uomo» e della «lode di Dio» scandisce così
ciascuno dei libri dei Salterio. Ma si può dire di più: visto che i Salmi 1 e 2
costituiscono il «prologo» dell'intero Salterio e sono racchiusi dal concetto
della beatitudine dell'uomo (1,1; 2,12), e visto che i Salmi 146-150, che
costituiscono l'epilogo laudativo del Salterio, sono interamente pervasi dalla
lode di Dio, è l'intero libro dei Salterio a essere racchiuso - secondo un
tipico procedimento stilistico della letteratura ebraica detto «inclusione» -dal
doppio registro della beatitudine dell'uomo e della lode di Dio. li Salterio è
cosi un libro dell'uomo e di Dio, un libro teandrico, che indica all'uomo la via
della felicità affermando che questa si compie nella lode di Dio: nei Salmi
146-150 la radice hll, «lodare», ricorre ben 31 volte e il Salmo 145, che di
fatto è l'ultimo del corpo del Salterio - essendo i Salmi 146-150 l'epilogo - è,
come recita la sua soprascritta al versetto 1, una «lode», una
tehillâ.
La testimonianza di un popolo che sapeva pregare. Il Salterio
è forse il libro biblico più particolare. Si tratta di una raccolta di 150
componimenti poetico-religiosi, differenti per autore, data di composizione,
ambiente di origine, tonalità letteraria, lunghezza, modalità di composizione.
Accanto al brevissimo Salmo 117 con i suoi due soli versetti, vi è il maestoso
Salmo 119 composto da ben 176 versetti. Vi sono Salmi «studiati a tavolino»,
redatti da capo a fondo con l'elaborato ricorso ad artifici letterari raffinati,
come il già ricordato 119; altri, invece, mostrano le tracce e il peso della
storia nella stratificazione letteraria di cui sono portatori, come il Salmo 68,
costituito da un nucleo originario antichissimo che celebrava una vittoria
militare all'epoca dei giudici, da una successiva «rilettura» che lo ha adattato
al tempo della monarchia di Giuda, e infine dall'intervento con glosse e
ampliamenti di una terza «mano» nell'epoca postesilica. Tutto ciò rende
impossibile parlare di una teologia dei Salmi compatta e unitaria.
Tuttavia tali componimenti hanno in comune il fatto di essere
preghiere, di essere le parole che hanno retto il dialogo fra Israele e il suo
Dio. È con questa prospettiva particolare che essi si collocano all'interno
della struttura teologica centrale con cui Israele ha letto il proprio rapporto
con Jhwh: «l'alleanza». I Salmi costituiscono la risposta di Israele alla parola
di Dio, al suo intervento nella storia: essi sono «preghiere», e la «teologia
del Salterio», se cosi si può dire, è essenzialmente una teologia della
preghiera biblica. Questa preghiera conosce una grande quantità di inflessioni e
modulazioni, parallela all'estrema diversità delle situazioni esistenziali e
storiche: il Salterio è preghiera nella vita e nella storia, anzi, è storia e
vita messe in preghiera. Esso può dunque essere giustamente considerato la
migliore «Scuola di preghiera» in quanto tende a unificare vita e preghiera,
storia e preghiera: esso insegna che «la preghiera è vivere alla presenza di
Dio». Anche in una prospettiva cristiana, la quale ha al suo centro
l'incarnazione e individua la storia e il mondo come il luogo della risposta a
Dio, essi restano la preghiera per eccellenza: la Liturgia delle ore, vale a
dire la preghiera ufficiale della chiesa, è intessuta essenzialmente di Salmi e
afferma la sostanziale irrinunciabilità dei Salmi per la chiesa. E non sarebbe
difficile mostrare come le grandi tematiche che attraversano la preghiera
salmica (la confessione del nome salvifico di Dio, il riconoscimento della
fraternità che lega i credenti nel Signore, la preghiera per l'avvento dei suo
Regno, la confessione di peccato e la richiesta di perdono ecc.) sfociano quasi
come in un compendio nella preghiera che Gesù ha insegnato ai suoi discepoli, il
Padre nostro (cf. E. Beaucamp,
Israël en prière.
Dès Psaumes
au Notre Père, Cerf, Paris 1985).
Né si deve dimenticare che i
Salmi, essendo pregati in tutte le confessioni cristiane, sono preghiera
«ecumenica» per eccellenza.
I Salmi sono lode di
Dio.
I Salmi attestano che i due polmoni della preghiera biblica sono «la supplica» e
«la lode». O forse, meglio, la lode e la supplica. Infatti, la lode costituisce
l'orizzonte inglobante di tutta la preghiera di Israele. «La lode non è soltanto
una "forma letteraria" all'interno del Salterio; la lode di Dio risuona in tutti
i Salmi ed è pronunciata anche de profundis, dal profondo dell'angoscia. Lodare
Dio: questa è la peculiarità di Israele, poiché nella lode è espresso il
riconoscimento che il popolo di Dio è consapevole di essere "semplicemente
dipendente" dal suo Dio e, al tempo stesso, che deve se stesso e tutto ciò che
ha ricevuto e riceve alla bontà di Dio creatore. La lode è quindi la risposta
tipica di Israele» (H. J. Kraus, Teologia dei Salmi, Paideia, Brescia
1989, p. 109). La supplica implica sempre la lode (perché la lode è anzitutto
confessione di fede nel nome di Dio e questo è sempre presente nelle suppliche,
anche le più disperate, come invocazione del volto e dei nome che solo può
salvare) e la supplica tende sempre alla lode, com'è ben visibile nei Salmi di
supplica che terminano con tonalità di lode (cf. le due parti dei Salmo 22, la
prima sotto il segno dell'angoscia - versetti
2-22 - e la seconda impregnata di gioia e di esultanza - versetti
23-32; si veda anche l'espressione «ancora lo celebrerò! » dei levita esiliato
che si esprime con tono di lamento in Salmi
42-43).
Così, sebbene le suppliche siano il genere di preghiera più presente nel
Salterio, si comprende il nome di «Lodi» (Tehillîm) che la tradizione ebraica ha
attribuito all'insieme del libro. L'intersecarsi di questi diversi registri di
preghiera e di atteggiamenti davanti a Dio (domanda e ringraziamento, lamento ed
esultanza, grido angosciato e fiducia, lacrime e risa) dice l'intrinsecità del
rapporto fra lode e supplica: « Quando ho levato il mio grido a lui, / la mia
bocca già cantava la sua lode» (66,17).
I Salmi sono preghiera personale e collettiva.
L'interscambio colto a proposito della lode e della supplica riguarda anche la
dimensione personale e collettiva della preghiera del Salterio. Spesso queste
dimensioni sono compresenti ìn uno stesso Salmo (cf. 22; 51; 130): a volte forse
perché l'orante è il re, dunque una personalità corporativa che abbraccia in sé
il destino del popolo, altre volte forse perché un Salmo originariamente
individuale è stato rimaneggiato in senso collettivo per meglio adattarlo alla
preghiera comunitaria. In ogni caso, al di là delle spiegazioni di dettaglio, va
rilevato che la dimensione teologica dell'alleanza implica una intrinsecità fra
«io» e «noi». Nei Salmi di ringraziamento l'orante invita i presenti al tempio a
unirsi alla sua lode nella piena coscienza che il beneficio che il Signore gli
ha procurato gli è stato ottenuto non grazie ai propri meriti, ma alla propria
appartenenza al popolo con cui Dio ha stretto alleanza (cf. 34,4); la supplica
dell'orante che invoca il perdono dei proprio peccato in vista della propria
restaurazione personale e della propria riammissione alla presenza di Dio è
seguita dall'invocazione a Dio per la ricostruzione delle mura di Gerusalemme e
la ripresa del culto al tempio (51,3-19 e 20-21). La stessa utilizzazione
comunitaria e liturgica di Salmi composti da un individuo fa sì che « io » del
singolo e «io» di Israele si collochino in situazione di circolarità e non di
esclusione. In ogni caso, il fatto che le preghiere contenute nel Salterio siano
destinate a essere cantate e musicate indica che esse trovavano nella liturgia
il loro luogo di destinazione. La qual cosa non ha impedito che divenissero
testi usati anche nella pietà personale. Il Salterio tuttavia lascia trasparire
numerose situazioni liturgiche, rituali e cultuali in cui venivano utilizzati i
Salmi: processioni (48,13-15; 68,25-26; 118,26-27), pellegrinaggi (84; la
collezione dei 15 Canti delle salite, espressione presente nelle soprascritte
dei Salmi 120-134), sacrifici (50,23; 66,13-15; 116,17 ecc.), liturgie di
ingresso al tempio (15; 24), benedizioni sacerdotali (115,14-15; 118,26; 128,5;
134,3), oracoli (12,6; 60,8-10; 81,7-17).
I Salmi sono musica e gestualità.
Il riferimento a numerosi strumenti musicali (cf. 150,3-5) mostra l'estrema
vivezza di queste liturgie: strumenti a corda (arpa, lira, cetra), fiati
(flauti, liuti, oboe), corni (sia naturali che artificiali, cioè di bronzo o
rame o argento), e poi cimbali, tamburi, campanelle... Ma lo strumento per
eccellenza della preghiera salmica, e biblica in genere, è il corpo: «Il fragile
strumento della preghiera, l'arpa più sensibile, il più esile ostacolo alla
malvagità umana, tale è il corpo. Sembra che per il salmista tutto si giochi là,
nel corpo. Non che sia indifferente all'anima, ma al contrario perché l'anima
non si esprime e non traspare se non nel corpo. Il Salterio è la preghiera del
corpo. Anche la meditazione vi si esteriorizza prendendo il nome di "mormorio",
"sussurro". Il corpo è il luogo dell'anima e dunque la preghiera traversa tutto
ciò che si produce nel corpo. È il corpo stesso che prega: "Tutte le mie ossa
diranno: Chi è come te, Signore?"
» (P. Beauchamp, «
La prière à l'école des Psaumes », in O. Odelain - R. Séguineau,
Concordance de la Bible. Les Psaumes, Desclée de Brouwer, Paris 1980, P.
XVII).
Ecco dunque che il corpo si esprime nella preghiera inginocchiandosi
(95,6), levando in alto le mani (141,2), protendendo in avanti le mani (143,6),
sciogliendo le membra in danze (149,3), battendo le mani (47,2), prostrandosi
faccia a terra (29,2), alzando gli occhi verso l'alto in segno di supplica (123)
ecc. È cosi che i Salmi strappano la preghiera ai rischi di cerebralità e la
presentano come linguaggio globale, di tutto l'uomo.
I Salmi sono poesia.
Questa totalità di espressione dell'uomo trova la sua più adeguata
manifestazione nella forma poetica: non bisogna dimenticare che i Salmi sono
poesia e che pertanto la musicalità e il ritmo, le assonanze e le
allitterazioni, cosi come tutti gli altri elementi stilistici della poetica
ebraica che compongono la trama dei Salmi, sono essenziali per penetrarli, o
meglio, per lasciarsene penetrare. Senza addentrarsi nella grande ricchezza
della poetica ebraica, basti qui ricordare che la regola fondamentale della
poesia ebraica si basa sul fatto che la lingua ebraica è accentuale, regolata
dall'accento tonico distribuito fra pause e cesure. Ogni parola ha un accento su
cui cade il tono della voce nel canto o nella recitazione, e il ritmo si adatta
al carattere proprio di ciascun Salmo: i Salmi sapienziali, meditativi, avranno
più frequentemente un ritmo pacato e disteso di 3+3 accenti (per esempio 1); le
suppliche hanno spesso il ritmo detto qinâ («lamento»), un ritmo strozzato di
3+2 accenti che riproduce il parlare sincopato di chi è preso da singhiozzi e
pianto (42-43). Tuttavia molti Salmi non presentano affatto una regolare
struttura ritmica o per la lunga e stratificata storia letteraria che li ha
prodotti, o per le corruzioni e lacune che si possono essere prodotte nel corso
della tradizione manoscritta.
Altra regola essenziale della poesia ebraica è quella del
«parallelismo»: un concetto è ripetuto una o più volte con parole diverse, con
espressioni variate, per ottenere lo scopo di una adeguata interiorizzazione. I
Salmi delle salite (120-134), tutti databili all'epoca postesilica - eccetto il
Salmo 132, di origine più antica - sono redatti facendo ricorso al procedimento
della «ripetizione»: una stessa parola o espressione è ripetuta più volte per
aiutare la memorizzazione del testo, tra l'altro sempre molto breve (tranne,
ancora, il Salmo 132). Si trattava infatti di componimenti che dovevano essere
recitati durante il pellegrinaggio a Sion (detto «la salita», poiché a
Gerusalemme, data la sua collocazione geografica, «si sale»: cf. Vangelo secondo
Marco 10,33), e dunque dovevano essere semplici, adatti a tutti i livelli della
popolazione, e facilmente memorizzabili.
Al «parallelismo sinonimico» (6,2) si affianca il
«parallelismo antitetico», in cui un'idea è rafforzata dal suo contrario: «Gli
uni contano sui carri, gli altri sui cavalli; / noi invochiamo il nome di Jhwh
nostro Dio; / quelli si piegano e cadono, / noi restiamo in piedi e siamo saldi»
(20,8-9).
Il « parallelismo sintetico » si riferisce a un concetto che,
espresso nel primo membro di un versetto, viene completato dal secondo: « La
volontà del Signore è luminosa / dà trasparenza allo sguardo » (1 9,9cd).
Il «parallelismo ascendente» mostra il continuo e progressivo
accrescimento dell'idea fondamentale espressa: «Riconoscete a Jhwh, figli di
Dio, / riconoscete a Jhwh gloria e potenza / riconoscete a Jhwh la gloria del
suo nome» (29,1-2a).
Preghiera di tutto l'uomo, i Salmi rivelano la grande quantità di linguaggi che
può esprimere la relazione con il Signore. Il sussurro, il brusio sommesso della
meditazione (1,2), i singhiozzi e le lacrime del pianto del supplice (6,7-8;
56,9), la protesta nei confronti di un agire di Dio che non si riesce a
comprendere («Perché, Signore?», 88,15), il silenzio (65,2), il grido e l'urlo
(22,6; 61,2; 69,4), l'invettiva (58; 83,10ss), il lamento (5,2), la riflessione
e il dialogo interiore (4,5; 42,6.12; 43,5; 73,16), il riso incontenibile della
gioia straripante (126,2). Ogni linguaggio rinvia a una situazione esistenziale
e storica che l'orante cerca di leggere davanti a Dio.
La molteplicità di situazioni e di atteggiamenti espressa nei
Salmi si riflette sulla variegata gamma di generi letterari presenti nel
Salterio che di seguito analizzeremo. Occorre però dapprima premettere che in
realtà molti Salmi presentano una tale mescolanza di generi al loro interno che
risulta quasi impossibile rinchiuderli in una sola griglia. Così il 36 combina
il registro sapienziale con quello della supplica; il 52 contiene elementi
sapienziali, ma anche i toni dell'invettiva e della requisitoria, del lamento
personale e del ringraziamento; il 75 può essere annoverato tra i
ringraziamenti, benché vi emerga la tematica della regalità di Jhwh e presenta
elementi liturgico-profetici; il 95 e il 115 sembrano tradire un'origine
liturgica senza che sia possibile specificare il tipo di liturgia; il 125 unisce
il tono della supplica a quello della fiducia; il 126 è un Salmo di
ringraziamento che diviene lamentazione e supplica; il 129 vede coabitare in sé
i toni della supplica, della fiducia e del ringraziamento... E questo, che
potrebbe essere verificato su molti altri Salmi, da un lato dice la precarietà
dell'attribuzione di un Salmo a un determinato genere (mentre spesso si tratta
piuttosto di giudicare la preponderanza di un tono rispetto a un altro),
dall'altro attesta che i Salmi riflettono anzitutto la complessità e la non
linearità della vita e della storia più ancora che la regolarità ingessata di
forme e moduli letterari rigidi.
N.B.:
Questo testo è solo una piccola parte dell’introduzione ai Salmi
curata da Enzo Bianchi e riportata
nel volume citato più sopra.
I Salmi - Commento