Atti degli apostoli:
la Parola cresceva…
Daniel Attinger
edizioni Qiqajon - Comunità di Bose
INTRODUZIONE
L’originalità degli Atti degli
apostoli
Mentre vi sono nel NT quattro evangeli e molte lettere, solo gli Atti degli
apostoli costituiscono una narrazione degli inizi della chiesa. Se si
capisce facilmente il fascino che poteva suscitare il progetto di scrivere
una “vita di Gesù” — non era forse l’evento di Dio nella nostra storia? — e
se si comprendono anche senza difficoltà i motivi pastorali che hanno
condotto alla redazione di lettere, meno evidenti appaiono le ragioni che
hanno spinto Luca a scrivere gli Atti. Perché interessarsi alla storia della
chiesa, senz’altro meno affascinante della vita del Figlio di Dio in mezzo
agli uomini? Prima di rispondere a questa domanda va notato che gli Atti si
presentano come un secondo libro, o meglio, come una seconda parola,
rispetto a una “prima” che è l’Evangelo di Luca. Ambedue gli scritti hanno
lo stesso destinatario, Teofilo, lo stesso linguaggio, la stessa teologia,
Gli studiosi sono oggi unanimi nel dire che l’Evangelo di Luca e gli Atti
degli apostoli formavano in origine un’opera sola in due volumi. Solo con la
costituzione del canone e quando si cominciarono a leggere gli evangeli
nelle assemblee cultuali (verso la meta del II secolo) Luca fu associato a
Marco e Matteo, poi a Giovanni, e staccato dagli Atti, che diventarono una
sorta di introduzione generale
alle epistole. Ciò significa che occorre ragionare sugli Atti come su di un
libro che appartiene a un insieme più vasto del quale forma la seconda
parte. Di conseguenza, la demanda da porre non è perché Luca si sia
interessato alla storia della chiesa nascente, ma piuttosto perché abbia
sentito la necessità di narrare l’evento della salvezza fine all’arrivo di
Paolo a Roma, e non fino all’Ascensione soltanto.
Un’osservazione sul prologo degli Atti degli apostoli ci permette forse di
intravedere una risposta. Atti 1, 3 dichiara che Gesù risorto apparve ai
suoi discepoli per quaranta giorni parlando delle cose riguardanti il regno
di Dio. Sappiamo che fin dall’inizio del sue ministero pubblico Gesù ha
posto l’annuncio del regno di Dio al centro della sua predicazione:
Gesù
disse [alle folle]: “E necessario che io annunci anche alle altre città la
gioiosa notizia del regno di Dio; per questo sono state mandato” (Lc 4,43;
cf. 8,1.10; 9,2.11,60; 10,9; eccetera).
Gesù parla quindi del Regno dall’inizio alla fine del suo ministero e anche
dope la sua resurrezione, come ricorda l’inizio degli Atti:
Egli si
mostrò [ai discepoli] vivo, dope la sua passione, con molte prove, durante
quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno
di Dio (At 1,3).
Ma ora, dopo che Gesù é tornato al Padre, come avviene questo annuncio? Alla
fine degli Atti, Luca presenta Paolo a Roma, sotte sorveglianza, e scrive:
Dal
mattino alla sera [Paolo] esponeva [agli ebrei] il Regno di Dio, dando
testimonianza, e cercava di convincerli riguardo a Gesù, partendo dalla
Legge di Mosé e dai profeti…Trascorse due anni interi… annunciando il Regno
di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta
franchezza e senza impedimento (At 28,23.30-31).
Così si spiega il prolungamento dell’opera lucana. L’autore non intende
raccontare la “vita di Gesù”, né la storia della chiesa o la vita di santi
come Pietro, Stefano o Paolo, la sua preoccupazione è invece quella di
spiegare come l’annuncio del Regno, iniziato da Gesù, continua dopo
l’Ascensione fino a raggiungere noi: questo annuncio ci perviene tramite la
chiesa che il Cristo ha istituito come testimone perché annunci dovunque e
in tutti i tempi la gioiosa notizia del Regno. Luca-Atti appare così come un
grande commento al detto di Gesù:
Il regno
di Dio non viene in mode da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: “Eccolo
qui”, oppure: “Eccolo là". Perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi (o
forse: a vostra portata)!” (Lc 17,20-21).
I destinatari e il testo
Fin dal primo versetto sappiamo che il destinatario degli Atti (come
dell’Evangelo di Luca) è Teofilo, ma di lui non sappiamo nulla. Più che di
un nome fittizio — come alcuni hanno pensato — si tratta probabilmente del
mecenate che ha finanziato l’edizione e la diffusione del libro, operazione
che era molto costosa all’epoca. In questo l’opera lucana appare molto
diversa dagli altri evangeli. Soltanto essa si presenta come l`opera di un
“io” che ha scritto il testo dopo accurate ricerche (cf. Lc 1,1-4; At 1,1).
Ciò non significa che è solo Luca-Atti ad avere un “autore", mentre gli
altri evangelisti sono dei compilatori. Vuol dire invece che, mentre gli
evangeli di Matteo, Marco e Giovanni sono nati dalla preoccupazione di
edificare la comunità nella quale viveva il loro autore e sono quindi delle
opere “pastorali", Luca-Atti invece è nato come “opera letteraria" a scopo
storico-teologico su richiesta di un individuo, Teofilo. Non è però
indifferente per noi il fatto che questo individuo si chiami Teofilo, cioè
“amico di Dio". Anche noi, se ci consideriamo amanti di Dio e quindi amati
da lui, possiamo diventare i destinatari dell’opera lucana, incaricati, nel
contempo, di diffondere quest’opera attraverso la nostra testimonianza.
Il manoscritto di Luca non ci è rimasto e nemmeno le copie fatte dai copisti
pagati da Teofilo. I più antichi manoscritti che contengono parti degli Atti
risalgono al III secolo e i più antichi testi completi sono del IV secolo.
Si possono raggruppare essenzialmente in due famiglie: la prima, chiamata
"alessandrina", é rappresentata da grandi manoscritti del IV-V secolo (come
il Sinaiticus, il
Vaticanus o l’Alexandrinus) ed é il testo che seguono le nostre attuali
traduzioni; la seconda, detta “occidentale” (ma che di occidentale ha solo
il nome), si trova soprattutto nel
codex Bezae, anch’esso del IV-V secolo; è un po’ più lunga dell’altra,
maggiormente segnata da preoccupazioni etiche e anche più antigiudaica. Non
sembra che una famiglia dipenda direttamente dall’altra; probabilmente le
due famiglie sono coesistite fin dal II-III secolo. Sorge quindi un
problema: perché gli Atti esistono sotto due forme abbastanza diverse,
mentre in Luca — che conosce pure le due famiglie — le differenze sono
minime? Questa diversità può trovare una spiegazione nello statuto dei
testi: molto presto l’Evangelo di Luca ha assunto un aspetto “canonico",
perché era diventato testo liturgico e la sua forma si è quindi presto
stabilizzata; gli Atti invece furono considerati come un’opera “diversa" che
solo più tardivamente entrò a far parte delle letture liturgiche. Non avendo
un carattere “canonico” (forse fino al IV secolo), nulla impediva di fare
qua e là dei ritocchi e dei miglioramenti, o di aggiungere qualche
spiegazione là dove il testo mancava di chiarezza. In ogni caso, queste due
famiglie — cui occorre forse aggiungerne una terza, “antiochena",
rielaborazione di quella "alessandrina", che è la più diffusa nel mondo
greco a partire dal IV secolo — attestano la popolarità di cui ha goduto il
libro degli Atti nella chiesa antica, nonostante non appartenesse ancora al
canone ufficiale delle Scritture.
Autore e data
Fin dall’antichità gli Atti (e l’Evangelo di Luca) furono attribuiti a Luca,
compagno di Paolo che l’Apostolo chiama il “caro medico” (Col 4,14; cf. Fm
24); a lui Paolo farebbe allusione quando parla del “fratello che ha lode in
tutte le chiese a motivo dell’evangelo" (2Cor 8,18). Le sezioni in “noi”
(cf. At 16,10-17; 20,5-15; 21,1-18; 27,1-28,16; il testo occidentale
aggiunge 11,28) potrebbero corroborare questa attribuzione perché sembrano
indicare che l’autore abbia accompagnato Paolo a partire da Troade. Questa
attribuzione pone tuttavia molti problemi: se davvero Luca è compagno di
Paolo, perché non si ritrovano, nella presentazione che Luca fa
dell’Apostolo, alcuni temi centrali della teologia paolina, come la
giustificazione per fede o la morte di Cristo “per noi" (a eccezione di At
20,28)? O perché non lo chiama mai "apostolo", titolo che invece Paolo ha
rivendicato con forza(cf, 1Cor 1,1; 9,2; 15,8-10; 2Cor 1,1; 11,13-33; Gal
1,1; eccetera)? Anche la cronologia fa difficoltà perché è arduo far
coincidere i dati delle lettere paoline con quelli degli Atti. Inoltre
diversi tratti degli Atti (e particolarmente il discorso di Paolo a Mileto,
cf. At 20,17-3 5) sembrano alludere a situazioni che meglio si capiscono
alla luce del cristianesimo della terza generazione, dopo l’anno 80, Si
possono evidentemente sempre trovare delle spiegazioni; ma credo che
dobbiamo riconoscere, con la maggior parte degli studiosi, che ignoriamo chi
sia l’autore di Luca-Atti, che continuerò, per convenzione, a chiamare Luca.
Le sezioni in "noi” sembrano presupporre che egli provenisse dall’Asia
Minore o da Filippi o forse che sia stato, ma solo temporaneamente, compagno
di viaggio di Paolo.
Quanto alla data di composizione, gli esegeti sono abbastanza concordi nel
fissarla attorno all’anno 80. Una tale datazione pone nuovamente due
problemi non trascurabili. Innanzitutto perché, in un’epoca in cui le
lettere paoline circolano già in tutte le chiese, gli Atti non dicono nulla
dell’attività epistolare di Paolo? Si può forse rispondere che, raccontando
l’attività missionaria di Paolo, Luca non ha menzionato le lettere di Paolo
perché esse rientrano piuttosto nel quadro della sua attività pastorale e
teologica. La seconda domanda é più seria: perché gli Atti non dicono nulla
del martirio subito, circa vent’anni prima, da Pietro e da Paolo? Tornerò su
questa domanda, per ora dico solo che questa "lacuna" sembra indicare che
Luca non intendesse scrivere un “vita degli apostoli”. Il suo progetto
infatti non si compie quando Pietro e Paolo (i suoi “eroi”, insieme a
Stefano) muoiono, bensì quando l’evangelo è predicato a Roma “con tutta
franchezza e senza impedimento" (At 28, 3 1).
Piano del libro
Come capita per quasi tutti i libri biblici, la ricerca di un piano è molto
problematica e quasi ogni autore giunge a conclusioni diverse. Il problema
deriva dal fatto che gli antichi manoscritti non hanno segni di
punteggiatura né separazioni in capitoli o paragrafi, nemmeno spazi per
separare le parole: tutto è scritto di seguito. Questo non vuol dire che
l’autore non abbia un progetto che porta man mano avanti. Anzi, i manuali
antichi danno molte indicazioni su come si debba procedere per scrivere
un’opera storica di pregio, fra le quali anche quella di non passare a un
punto successivo prima di aver esaurito la materia del punto precedente, e
di elaborare accuratamente il passaggio dall’uno all’altro attraverso il
procedimento dell’”intreccio", vale a dire: verso la fine di un paragrafo si
devono inserire dei segnali che anticipino la parte successiva, e all’inizio
di un nuovo paragrafo degli elementi che ricordino il paragrafo appena
concluso. Ne abbiamo un chiarissimo esempio nel racconto dell’Ascensione che
chiude l’Evangelo di Luca (24,50-53) e apre, in modo diverso, gli Atti degli
apostoli (1,4-11). Le parti quindi non si distinguono quando si osserva una
rottura nel testo, ma quando si nota un intreccio tematico. Tuttavia nemmeno
questa regola consente di giungere a una conclusione unanime sulla struttura
degli Atti.
La ricerca di un piano, seppure importante per noi, non è pero decisiva. Un
testo é suscettibile di più interpretazioni e quindi di più architetture.
L’importante é trovarne una che dia senso al testo. Di là si potranno poi
scoprire altre strutture e nuovi significati nel libro che si legge.
Tradizionalmente, si suddividevano gli Atti degli apostoli in due grandi
parti consacrate ai due principali protagonisti: Pietro (cc. 1-12) e Paolo
(cc. 13-28). Più recentemente, sottolineando l’importanza delle ultime
parole di Gesù: “Di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e
la Samaria e fino ai confini della terra” (At 1,8) si e proposto un altro
piano, sempre in due parti. Una prima (cc. 1-15) mostra come l’evangelo si
radica saldamente a Gerusalemme e come, da questo centro, si estende in
diverse province orientali dell’impero; in questa parte si assiste allo
sviluppo teologico della chiesa: l’evangelo raggiunge ebrei, proseliti,
samaritani e pagani, cioè tutte le categorie umane possibili. Questo sforzo
missionario sfocia naturalmente nell’assemblea di Gerusalemme (c. 15). La
seconda parte inizia da questa assemblea che è il punto di partenza di nuove
missioni che devono permettere alla chiesa di raggiungere la sua piena
statura geografica: l’evangelo arriva a Roma, segno che nulla potrà impedire
alla testimonianza apostolica di raggiungere le estremità del mondo (dalla
fine del c. 15 al c. 28). A partire dallo stesso testo di Atti 1,8, si
potrebbero anche immaginare le seguenti grandi suddivisioni: Gerusalemme
(cc. 1-7), Samaria e Giudea (cc. 8-12), apertura ai pagani e viaggio verso
Roma (cc. 13-28); questo piano però misconosce il posto centrale che
certamente Luca attribuisce all’assemblea di Gerusalemme. Nella lettura
proposta in queste pagine si terrà conto soprattutto della presenza di una
specie di ritornello sul progresso della parola del Signore:
-
La parola di Dio cresceva (At 6,7).
-
La parola di Dio cresceva e si moltiplicava (At 12,24).
-
Insegnavano e annunciavano la gioiosa notizia della parola del Signore (At
15,35).
-
Così la parola del Signore cresceva e si rafforzava (At 19,20).
-
[Paolo] proclamava il
regno di Dio e insegnava le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con
tutta franchezza e senza impedimento (At 7.8,31).
Aggiungiamo ancora la bella formula del discorso di Paulo a Mileto:
E ora vi
affido al Signore e alla Parola della sua grazia, che ha la potenza di
edificare e di concedere l’eredità fra tutti quelli che da lui sono
santificati (At 20,32).
1,1-11
Prologo e Ascensione del Cristo.
1,12-6,7
I. La Parola si diffonde a Gerusalemme.
6,8-12,25
II. I testimoni: Stefano, Paolo e Pietro.
12,26-15,35 III.
Prima missione fra i pagani,o l'assemblea di Gerusalemme.
15,36-21,16
IV. Le missioni di Paolo.
21,17-28,16
V. La “passione” di Paolo.
28,17-31
Conclusione: la Parola non é incatenata.