Carme in lode di S. Benedetto

di Marco Poeta

 Estratto da "Antologia Benedettina" a cura di Dom Placido Lugano O.S.B.

Istituto Padano di Arti Grafiche, Rovigo 1948

 

Allor che il cieco vulgo forme profane adorava

e i propri manufatti credeva fosser numi;

un giorno avea qui eretto sacrari su diruti altari,

ove cruente vittime caddero all’empio Giove.

Ma qui giunse ispirato dal cielo e all’invito del colle

san Benedetto e il suolo purificò dai riti.

E i marmi sculti infranse, rovesciò le statue e volle

che in questo luogo un tempio sorgesse al vero Dio.

Qui venga chi gli spazi del ciel contemplare desia

né del sentier l’asprezza mai gli distolga il voto.

Costantemente il grande con aspro lavoro si acquista,

stretta una strada adduce alla vita beata.

Qui non appena io venni sotto il grave peso di colpe,

libero mi sentii del pesante fardello.

E credo anch’io felice di godere un giorno cielo,

se pel tuo Marco preghi, san Benedetto mio.

Un dì la stola plebe avea questo luogo nomato

la «rocca», dedicandola a deità di marmo.

Pur se qualcun si fosse del verace nome servito,

ben lo avrebbe appellato un infernale caos.

Al quale d’ogni parte correvano in frotte gli stolti

a sciorre turpi voti pel mortifero Giove.

Ma penso che a quest’inclita sede ben fu apposto quel nome

chiamando «rocca» il tempio che qui adesso si ammira

Dove la porta è chiusa ormai dell’eterna geena,

e rocca è della vita l’arce che fu di morte.

Arce da cui si tocca la porta del cielo stellato,

mentre felice il popolo intona canti angelici.

Di qui tu al vero Dio parli, o Benedetto, del monte

abitatore e duce solitario del coro.

E d’altro colle venendovi per ispirazione divina,

nell’ermo ti guidava Cristo che è duce e via.

Infatti ad ogni bivio mandava due angeli innanzi,

perché ti assicurassero il cammin da seguire.

Ed al sol uomo giusto che qui si trovava Egli disse:

lasciamo questo colle, un altro amico arriva.

Or che ascendesti al cielo, s’avviluppa in tenebre il monte

e livido s’è fatto come le nebbie sue.

Versando abbondantissime lacrime ora gemono gli antri

e le caverne struggonsi di pianto ne’ lor seni.

Commossi di dolore ti piangono i limpidi laghi

e la selva le chiome lacere sparge al vento.

Si penserà ch’io inventi; ma perché sol non partisse,

tre corvi meritarono d’accompagnarti al cielo.

Qui ti cercano i popoli, qui dentro rinchiuso, e lo attesti

quando aspetti le veglie pie della notte sacra.

Come orfani non cessano di piangere con rauche loquele,

perché furono orbati della presenza tua.

Ma innanzi al tuo passaggio cedetter le rupi e i pruni

e zampillò dell’arida terra mirabil’acqua.

Certo il monte di Cristo, che su tutti gli altri sovrasta,

Ecco che a’ piedi tuoi il suo vertice umilia.

E perché sulla vetta il tuo culto prosperi e cresca,

esso abbassa la cima ed appiana il terreno.

E ad evitar fatica per chi, Benedetto, a te viene,

piega in dolce declivio ovunque i fianchi obliqui.

Giusto onore ti rende questo monte al quale recasti

tanto ben divenendo il suo maggior decoro.

Tu qui l’aride zolle trasformi in ameni giardini,

Le nude rocce copri di pampini fecondi.

Si ammiran sulle rupi le biade ed insoliti frutti,

e verdeggia la selva di fruttifere chiome.

Così gli sterili atti degli uomini in frutti converti,

di salutari linfe rigando gli arsi cuori.

Così, ti prego, in messi trasforma le spine moleste,

che lacerano il cuore del tuo inerte Marco.


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15 ottobre 2017                a cura di Alberto da Cormano        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net