Regola per i monaci

dei Santi abati Paolo e Stefano

Link al testo latino con italiano a fronte

Libera traduzione dal latino.

Le citazioni bibliche sono tratte da Bibbia CEI ed. 2008, tranne quelle che derivano dalla Vetus Latina o da LXX.


 

ANALISI CRITICA SULLA SEGUENTE REGOLA

 

Anche se non conosciamo la patria di origine e lo stato di questi due santissimi uomini, né siamo riusciti ad avere notizie dei monaci per i quali è stata composta questa regola, tuttavia ci sembrerebbe che abbiano vissuto in un paese dove il grano era coltivato nei campi di paese, come si usa presso gli italiani e gli spagnoli. Il lodato Calmeto (N.d.T.: Augustinus Calmetus o Augustin Calmet, francese, famoso esegeta benedettino, 1672-1757) sovente ritiene che questi santi abbiano scritto questa regola al tempo di San Benedetto. Solo questo è certo, che viene lodato S. Agostino citando le sue stesse parole nel capitolo 14 e che sono citate le Sacre Scritture secondo la versione Vetus Latina e non in base alla versione di san Girolamo. E così sarà difficile fissare una data certa per questi santi; se anche sono loro i veri autori di questa Regola sotto il cui nome la cita San Benedetto Abate di Aniane nella sua Concordia regularum.

 

Capitoli

1. Abbiano innanzitutto il timore di Dio e la reciproca carità, che nascono da un cuore puro e dall’unanimità.

2. Come si debbano comportare gli anziani nei confronti dei giovani.

3. Come si debbano atteggiare i giovani nei confronti degli anziani.

4. Nessuno se ne vada dall’Ufficio divino senza permesso

5. L’inizio del versetto sia intonato nel coro solo da uno.

6. I salmi siano proclamati di continuo nel coro.

7. Il modo di salmeggiare e l’autorità degli anziani.

8. Che i coristi non si addormentino.

9. Durante il canto e l’orazione non si chiacchieri per niente.

10. Che nessuno torni a letto dopo l’ufficio di prima.

11. Che ognuno vada a dormire per un certo tempo nel suo letto a metà giornata.

12. Che (i fratelli) cantino ordinatamente l’ufficio divino durante il lavoro.

13. Tutti coloro che sono nelle loro celle cerchino di essere presenti all’ora della comunione.

14. Si cantino solo le armonie prescritte.

15. Quelli che imparano i salmi obbediscano a chi è stato delegato nell’insegnamento.

16. Come d’abitudine i giovani recitino le lezioni a tavola.

17. Che nessuno presuma di prendere più cibo o bevanda di quelle stabilite.

18. Durante la refezione si ascolti la lettura in silenzio.

19. Che nessuno durante il pasto si procuri qualcosa da mangiare solo per sé.

20. Nessuno cambi il posto che gli è stato assegnato a tavola.

21. Il calice non sia riempito fino all’orlo.

22. I turni degli inservienti.

23. Se uno dei giovani viene escluso da un servizio.

24. Che nessuno si appropri di ciò che è stato affidato ad un altro.

25. Coloro che hanno avuto in custodia qualcosa prestino il loro servizio con fervente carità e non contristino malvagiamente i fratelli.

26. Nessuno osi entrare senza permesso nella dispensa e nei laboratori degli artigiani.

27. Che nessuno abbia la presunzione di servirsi di cose di altri, e neanche si permetta di scambiarle.

28. La cura dei vestiti e del corredo per i letti.

29. Nessuno si faccia la tonsura, se non col permesso del superiore.

30. A proposito di ciò che un fratello ha perso e viene trovato da un altro fratello.

31. Riguardo a coloro che desiderano imparare un mestiere qualunque.

32. Che tutti accorrano prontamente al mulino o a qualunque lavoro profano.

33. A proposito del modo di lavorare dei tempi antichi e del fatto che anche ai negligenti non bisogna far mancare il necessario.

34. Riguardo all’ammonimento ad abbandonare la solita pigrizia.

35. Sulla custodia degli attrezzi durante l’attività.

36. Che nessuno giustifichi il fratello caduto nel peccato.

37. Ci si deve astenere dallo svago e dal riso sfrenato.

38. Che nessuno si metta in mezzo a chi sta litigando.

39. Che nessuno assolutamente si immischi in liti esterne (al monastero).

40. Che nessuno osi vendicare con la forza umana le violenze subite dai contadini.

41.Le regole dei Padri vengano lette con assiduità.

 

I. Quindi innanzitutto esortiamo tutti affinché nell’operare per il bene abbiano il timore di Dio, il mutuo amore e l’unanimità.

II. Gli anziani si dedichino ai giovani con amore paterno; e quando fosse necessario di dare un ordine, non lo facciano con superbia e con grida, ma tranquillamente, con silenziosa semplicità e con l’autorità derivante dal loro esempio di vita comandino di compiere ciò che è opportuno al fine dell’utilità comune.

III. I giovani obbediscano agli anziani con sincera sottomissione, né per qualunque motivo rispondano loro con spirito superbo oppure si rifiutino di obbedire infastiditi e come se non avessero sentito; tutti manifestino invece un sincero proposito nell’unanimità e nella concordia, sia in attività spirituali che in lavori materiali.

IV. A nessuno sia concesso di uscire dall’ufficio divino senza il permesso del superiore ma, se fosse necessario per una chiara ragione, esca dopo la benedizione sperata ed ottenuta del superiore. Né coloro che escono chiedano questa benedizione a due o tre per volta, ma singolarmente: così, coloro che stanno bene tornino indietro immediatamente; coloro invece che sono indisposti, dopo aver ricevuto il permesso tornino a letto.

V. Coloro che stanno nei primi posti del coro della salmodia intonino l’inizio dei versetti; oppure, se costoro sono colpiti da un’infermità, li intoneranno coloro a cui è stato ordinato dal Padre. Subito dopo l’intonazione tutti, se possibile, si uniscano insieme al coro con armonia e con una sola voce, alla prima o alla seconda sillaba: ciò affinché non ci sia dissonanza tra i cantori, come succede se l’intonazione è disordinata e se le varie voci sono come in opposizione tra di loro.

VI. I giovani, e in particolare quelli che si esercitano ad imparare i salmi, li recitino senza negligenza secondo il posto che tengono nel coro: così, i giovani che hanno già imparato il salterio, si succedano nella recita secondo l’ordine, partendo dal punto a cui sono arrivati i più giovani che non lo conoscono ancora; e ciò affinché non si perda l’abitudine a recitarli sempre.

VII. Se possibile dobbiamo sempre mantenere il metodo di salmeggiare nel modo giusto: affinché il ritmo sia sempre preciso, né troppo rallentato e neanche accelerato sopra misura. Tuttavia si rispetti la volontà e la disposizione del superiore, cui spetta sempre di considerare e stabilire il tempo, il momento e il motivo di ogni cosa, ovvero si rallenti o si acceleri secondo il comando espresso con un giusto ed equilibrato giudizio. Secondo il suo comando, sia che voglia alzare il volume, sia che lo voglia ridurre, si dicano i salmi all’unisono come se uscissero da una sola voce. E che nessuno presuma, senza il consenso del superiore, di superare o di cambiare la misura, sia alzando la voce, che spesso in chi è poco esperto genera un’orgogliosa boria e un’arrogante presunzione, sia con una confusa celerità. Neanche il superiore osi approfittare della facoltà concessagli di valutare ogni cosa, ricorrendo ad essa senza che ve sia veramente necessario: e ciò sapendo che dovrà renderne ragione al Signore, che disse: «Cantate inni con arte». (Sal 46, 8)

VIII. Mentre si recita l’ufficio divino occorre allontanare completamente da noi il sonno, con l’aiuto di Dio: temendo ciò che ha detto il Profeta: «Maledetto chi compie fiaccamente l’opera del Signore». (Ger 48, 10), e ancora: «Dormirono il loro sonno e nulla trovarono, tutti gli uomini ricchi, nelle loro mani ». (Sal 75, 6 - Vetus L.).

IX. Durante il canto dell’ufficio divino a nessuno sia permesso di parlare con un altro fratello per nessun motivo, se non solamente con un anziano: al quale, senza dubbio, si è soliti esporre qualunque genere di faccende da sistemare o da correggere.

X. Nessuno torni a letto al mattino dopo aver detto la Prima; eccetto la domenica e i giorni di festa nei quali, se si è un po’ più stanchi del solito per il lavoro delle vigilie e del giorno precedente, chi di voi vuole riposi le membra sul letto dopo la Prima. E ciò sia permesso non in tutte le stagioni, ma soltanto durante i mesi estivi; invece tutti i giorni, durante le altre stagioni, subito dopo la Prima, mentre si correggono gli errori ai più giovani, si indossino le calzature e ci si prepari al segnale che di solito è dato battendo un’asse di legno : fino a quando tutti, senza tardare, si raccolgano nel luogo stabilito per essere informati sul lavoro da compiere nel giorno che sta per iniziare. 

XI. A nessuno sia consentito di dormire nel proprio letto nel pomeriggio del tempo d’estate, a meno che non dorma all’aperto, fuori dal suo letto e con l’ordine del superiore, per custodire l’aia. Se invece, durante la raccolta delle messi, è consentito al pomeriggio dormire nel campo, i fratelli non dormano divisi ma in uno o due luoghi. E ciò perché non ci è ignoto quanto male possa fare il diavolo da questa occasione. In particolare consideriamo che il periodo in cui, se ci avanza tempo, possiamo dormire durante il pomeriggio è dal 15 di maggio al 15 di settembre.

XII. I qualunque luogo si trovino a lavorare i fratelli durante il giorno, dicano ad un sola voce l’Ufficio Divino alle ore stabilite, con disciplina e con timor di Dio: non venga recitato in fretta a seconda della volontà di ciascuno con la scusa o l’impegno del lavoro. Né il giovane si precipiti prima dell’anziano con presunzione e lo preceda con immatura fretta; ed allora l’Ufficio Divino, che deve essere detto con timore, verrebbe cantato in modo insensato a causa della confusa precipitazione, anziché con sapienza. Infatti, a causa di tale abitudine, gli animi e le voci di certi fratelli sono così infettati che, durante il canto comune nell’oratorio, non possono essere tenuti a freno se non con grande fatica. Noi dunque vi esortiamo con la semplicità dell’amore ad allontanarvi da questo vizio dell’arroganza: infatti (come sta scritto): «Tutti costoro sono infatti esauditi dal Signore. Lui ha mandato il suo angelo e mi ha preso di tra le pecore di mio padre». (Sal 151, 3-4 – secondo trad. LXX).

XIII. Affrettiamoci ad essere presenti nell’ora in cui ci dobbiamo comunicare al santo corpo e sangue di Cristo per dire: «Liberaci dal male»: all’infuori di coloro che, per un indubbio motivo e a conoscenza dell’anziano, non possono essere presenti. Dobbiamo fare attenzione in ogni modo a non ricevere indegnamente, a nostra condanna, il santo corpo e sangue.

XIV. In questa comunità nessuno presuma di cantare, di imparare a memoria o di recitare dei responsori o delle antifone con tono elegante e per piacere proprio e che non siano estratti dalla Scrittura canonica. Né qualcuno osi imparare a memoria una di queste cose da un ospite che arriva senza l’ordine del superiore: e ciò affinché i fratelli non si stanchino dell’assennatezza della semplicità e della verità, sedotti da dottrine varie e strane e dal fascino di certe assurdità : e, persuasi dal diavolo, non si affrettino a lasciare la comunità, come legati in ceppi dal suono di una musica leggera ed oziosa; oppure, rimasti nel monastero, gonfi come di una particolare sapienza, disprezzino tutti i fratelli.

Inoltre è opportuno che noi prendiamo a modello la dottrina una e semplice degli apostoli e dei nostri padri, che rendiamo saldo il cuore mediante la grazia e che sottomettiamo alla disciplina la nostra condotta: inoltre dobbiamo cantare ciò che è da cantare, come dice il beato Agostino: mentre non cantiamo ciò che non è scritto (da cantare). Così come non dobbiamo enunciare nelle lodi del Signore quelle cose che Lui stesso ha voluto manifestare agli uomini tramite i profeti e gli apostoli, in un modo diverso da come ci ha comandato: e neppure cambiamo in modo di prosa e di lettura ciò che è da cantare, oppure, ciò che è scritto che è da leggere, non cambiamolo secondo la nostra presunzione in metafora o in una forma melodiosa. Se infatti dobbiamo offrire a Dio un sacrificio di confessione e di lode nello stesso modo in cui egli si è offerto, il Signore chiede a noi più il sacrificio dell’obbedienza che quello delle vittime; e non si rallegra tanto della melodia di un canto artificiale, quanto dell’osservanza dei comandamenti e della purezza di cuore.

XV. Coloro che apprendono le lettere o i salmi, diano ascolto a quelli cui sono stati affidati per l’insegnamento: costoro dovranno essere rimproverati per la negligenza degli alunni, oppure lodati per le loro conoscenze e il loro impegno. Inoltre se l’insegnante deve uscire e non bada a delegare (un sostituto), colui a cui è capitato si rechi dal Padre affinché deleghi chi lo deve istruire in sostituzione dell’assente. Al suo rientro (l’allievo) torni col proprio maestro.

XVI. Durante tutto l’anno, all’ora del pranzo, coloro che quotidianamente imparano i salmi, li recitino come d’abitudine alla prima tavola dei fratelli. Chi ha trascurato di impararli a memoria e non li recita, neanche mangi fino all’ora del pasto del giorno seguente.

XVII. A nessuno sia permesso prendere oltre la razione consentita di cibo o bevande, se non col permesso del superiore: a cui spetta la facoltà di stabilire e di fissare (le razioni): così come se fosse opportuno aggiungere qualcosa oltre al normale ai fratelli stanchi per un lavoro faticoso, sia permesso di farlo col l’assenso e il permesso del superiore, e non secondo l’arbitrio di chiunque.

XVIII. Mentre pranziamo ascoltiamo le letture con rendimento di grazia e con timore di Dio. Consumiamo il dono di Dio con carità e pace e con la dolcissima moderazione della disciplina, e non con proteste, mormorazioni, indignazioni, voci con grida, frastuono di piedi e rumore di stoviglie: temiamo l’esempio degli Israeliti secondo la carne (Nm 11, 31-33), i quali dopo aver mangiato a sazietà il pane degli angeli (Sal 77, 24-31) e la carne delle quaglie fino alla nausea, mormorarono con la bocca piena e si attirarono l’ira di Dio fino ad essere sterminati.

XIX. A nessun fratello sia permesso portare a tavola per sé e per suo gusto un frutto, una qualche verdura, un condimento o qualunque altro cibo per mangiarlo: e ciò affinché non sorga, da questa piccolissima occasione, del rancore tra fratelli per questa ingiustizia, oppure non trovi un’orrenda occasione la propensione per la proprietà: ma se qualcuno dovesse trovare, per dono di Dio, una di queste cose, la consegni fedelmente al cellerario, affinché lo stesso la distribuisca e la serva a tavola durante i singoli pasti oppure la dia a chi ne ha bisogno.

XX. Nessuno osi pensare di passare dalla tavola in cui è stabilito che mangi ad un’altra: e neppure ad alcuno sia permesso di accogliere a mangiare un altro che venga da un'altra tavola: ma ognuno mangi alla tavola a lui destinata; così che se fosse assente dalla tavola la maggior parte dei fratelli, i rimanenti siedano alla propria tavola finché rimangono in tre. Quelli che rimangono sotto questo numero mangino ad un’altra tavola, secondo la disposizione indicata.

XXI. Non sia consentito a nessun coppiere di riempire così tanto il calice fino a farlo traboccare. Ma neppure sia permesso ad alcuno di prenderlo se gli venisse offerto traboccante da un avventato coppiere: (il calice) deve invece essere riempito con cautela e in modo conveniente: come dice l’Apostolo: «Tutto però avvenga decorosamente e con ordine» (1 Cor 14,40).

XXII. In tutte le mansioni e i servizi, nei quali si alternano a vicenda i fratelli giovani, ciascuno accetti con buona volontà il suo turno settimanale ed esegua con l’aiuto di Dio qualunque servizio gli venga assegnato con gioia e senza mormorare. Se dovesse succedere che colui a cui è assegnato un qualunque servizio, fosse impegnato in un’altra occupazione, oppure in viaggio o costretto da un’infermità, lo sostituisca colui che occupa il posto dopo di lui nell’ordine (della comunità), e se costui non ci fosse, gli subentri il terzo oppure il quarto o il quinto che è presente e che è disponibile: in modo che, se si mantiene l’ordine prestabilito dei servizi, offerti nel mutuo amore della carità e del rispetto, questo non sarà mai sconvolto.

XXIII. Se nello stesso rango dei giovani, che si danno il cambio alternativamente nei vari servizi, si fosse forse unito qualcuno che a giudizio dell’anziano debba essere rimosso dal turno di servizio, nessuno ardisca di provocarlo; e neppure di colpirlo col sospetto e di farlo vergognare.

XXIV. A nessuno sia permesso impossessarsi a suo piacimento di qualcosa dalla dispensa o dai laboratori degli artigiani, o di attrezzi o di qualunque cosa che è stata assegnata in custodia ai vari fratelli: a meno che, a causa della prolungata assenza o della malattia di colui a cui era stata affidata la custodia dell’oggetto, non si sia costretti ad affidare ad un altro ciò che era stato consegnato al fratello, con l’ordine o per lo meno col permesso dell’abate.

XXV. Coloro a cui è stata affidata la custodia dei vari oggetti, consegnino col permesso dell’anziano ciò che è necessario, con opportuna tenerezza e amabilissima carità e senza indugio ed arroganza: e neppure, gonfi di orgoglio, creino occasioni per lamentele facendo aspettare (i fratelli), in modo che non si provochi una mormorazione in cambio della fatica di coloro che sono a nostra disposizione con carità nelle funzioni affidate loro.

XXVI. A nessuno sia permesso entrare senza il permesso dell’anziano, sia nella dispensa che nei vari laboratori artigiani, con una spudorata e inopportuna audacia: poiché questa presunzione danneggia molto l’utilità comune e suscita un’animosità di spirito negli stessi artigiani, a causa della sua superflua importunità.

XXVII. A nessuno sia permesso prendere con cattiva presunzione e per uso proprio né un abito, né una calzatura, né una tavoletta, né qualunque altra pur piccola cosa, sia nuova che vecchia. E neppure sia concesso ai fratelli scambiarsi qualcosa che hanno preso dai beni comuni, come se ci fosse un amore personale, a meno che non ci sia il permesso del superiore: e ciò affinché da questa occasione non nasca un amore illecito. Bensì ciascuno riceva volentieri e con buona volontà ciò che viene distribuito con carità e sia contento di poterne farne uso.

XXVIII. Nessuno ardisca di lavarsi gli abiti o la fornitura del letto senza la benedizione e il permesso del superiore.

XXIX. Nessun fratello osi farsi tonsurare senza la benedizione dell’abate: e neppure pretenda di farsi tonsurare con una qualche tonsura, se non quella a noi solita: eccetto i malati che forse devono essere tonsurati in modo più semplice, su parere del medico, a causa del loro malessere.

XXX. Se qualcuno trova una qualunque cosa che è stata persa da un altro fratello, sia nel monastero che fuori, non la tenga per se né un giorno e neppure un’ora, se possibile: bensì riponga ciò che ha trovato in un luogo stabilito; e chi l’ha perso cerchi in quel posto: in modo che chi ha perso qualcosa non soffra per la distrazione e per la fatica di chiedere a tutti.

XXXI. A nessuno sia permesso di apprendere un qualunque mestiere, usandolo presuntuosamente per sé, senza la benedizione dell’anziano o di colui a cui è accordata la facoltà di pianificare e di decidere; se non quelli che sono stati delegati ai vari mestieri secondo il giudizio del superiore, dietro suo ordine e con la sua benedizione. Ma che neppure qualcuno abbia la presunzione di imparare a leggere e scrivere, o di studiare salmi o letture come se fosse in suo potere (deciderlo); con la pretesa di un bene spirituale si compie il male dell’orgoglio, l’arbitrio di una volontà dissoluta e lo zelo personale. Ma se qualcuno con retta volontà desidera apprendere un qualunque mestiere secolare oppure essere formato nelle cose spirituali in aggiunta a quelle da noi offerte tutti i giorni, aspetti con molta chiara umiltà che gli sia concesso dal superiore. E, se gli sarà concesso, ricevuta la benedizione del superiore, intraprenda ciò che desidera. Anche se gli fosse stato negato, poiché forse non gli giova, rimanga nella gioia e non si intristisca. Ma che nessuno si permetta di insegnare ad altri a leggere e scrivere o un qualunque altro mestiere, di nascosto e come segretamente, senza che il superiore lo sappia e lo comandi. Che, se qualcuno avesse questa presunzione, sia considerato senza dubbio colpevole di una doppia colpa e cioè di inganno e di superbia.

XXXII. Inoltre tutti, con ogni cura, badino a che che ogni fratello non si presenti al mulino o a qualunque lavoro manuale pigramente e non tra i primi.

XXXIII. Infatti l’esortazione al lavoro, che fino a questo punto noi abbiamo comunicato alla vostra carità con tanta moderazione, è così tanto moderata e tranquilla nei confronti di quella del beato Apostolo Paolo (Ef 4,28), quanto è grande la differenza tra lui e le nostre persone. Sebbene lui ci comandi di lavorare con le mani fintanto che ne abbiamo (abbastanza) per poter sopperire alla necessità di chi ha bisogno, noi diciamo di lavorare per quanto basta (solo) a noi. Egli dice di aver lavorato con le sue mani, con fame e sete, nel freddo e nella nudità, di giorno e di notte, per fare in modo che lui e chi era con lui non mancassero delle cose necessarie (2 Cor 11,27; 1 Ts 2,9; 2 Ts 3,8): noi invece che abbiamo due vestiti e due calzature per i nostri usi e, per dono di Dio, vitto quotidiano preparato abbondantemente fino alla sazietà, vi esortiamo a non amare l’ozio, ma a lavorare ognuno secondo il suo vigore. Lui (Paolo) ci ha dato questa regola: «Chi non vuole lavorare, neppure mangi» (2 Ts 3,10); noi, pensando a voi nella nostra debolezza, non abbiamo mai fatto mancare le cose necessarie a nessuno di voi che, con ambigua e falsa volontà, ha rinviato fino qua di lavorare fedelmente, in confronto al gruppo dei fratelli fedeli: abbiamo sopportato con pazienza fino a questo punto per non lasciarci vincere dal male, ma per vincere il male con il bene (Rm 12,21).

XXXIV. Fratelli, sapendo che un monaco col corpo ozioso non può mai avere la mente libera da pensieri dissoluti, come dice Salomone: «Perché l’ozio insegna molte cose cattive» (Pr 13, 4 Vetus L.). E di nuovo: «l’ozio insegna molte cose cattive» (Sir 33,29). Allontanato dunque da sé questo vizio, se fin qui lo avesse avuto, corra prontamente a qualunque lavoro: poiché sta scritto: «Non disprezzare il lavoro faticoso, in particolare l’agricoltura che Dio ha istituito. » (Sir 7,15), in modo che abbonderemo delle cose che ci necessitano ogni giorno, grazie a Dio e col nostro lavoro, e possiamo assistere con conveniente moderazione quelli che sono chiamati a visitarci con amore spirituale: oppure, per mezzo del nostro lavoro, siamo capaci di servire con doveroso zelo coloro che sono pressati da una grave necessità, poiché il nostro Signore Redentore ci ha insegnato con certezza che: «Si è più beati nel dare che nel ricevere!» (At 20,35).

XXXV. Al mattino, quando i fratelli vanno ad un qualunque lavoro, il più anziano tra loro prenda dal custode degli attrezzi gli arnesi necessari e (da lui) conteggiati e li affidi in custodia ad uno dei giovani che verrà con lui e che ritenga idoneo a ciò: finito il lavoro glieli ritiri subito e li consegni al custode; e ciò affinché nulla vada perso a causa dell’abituale smemoratezza e della negligenza di quando si è in tanti.

XXXVI. Se qualche fratello vedesse in qualunque luogo un altro fratello fare del male in parole o in opere e tralasciasse di comunicarlo al superiore, sappia di essere uno che favorisce il peccato e di essere in tutto uguale al peccatore. E poiché colui che occulta (il fratello peccatore) è un pessimo nemico sia della propria anima che di lui, a motivo di ciò sarà considerato spregevole ed infedele sia da Dio, che odia il male, sia da tutta la comunità: poiché non ha fatto uscire allo scoperto il peccatore, al fine di poterlo correggere, a causa della sua grande malizia: odiando la disciplina ha abbracciato la malignità e «si ostina su vie non buone» (Sal 35,5).

XXXVII. Dobbiamo dunque tutti noi stare attenti a non scherzare e ridere con smodata intemperanza, dalla quale scaturiscono il più delle volte gravissime occasioni di peccato tra i fratelli. E da ciò non deve neppure avere origine un motivo di discordia e anche se non dovesse nascere un litigio, tuttavia dobbiamo guardarci da discorsi che non tendono all’edificazione. Poiché sappiamo che dovremo rendere ragione a Dio di ogni futile parola. Infatti chi non sa che che il riso esagerato è la porta dell’indisciplina e della leggerezza, attraverso cui il diavolo somministra cibi avvelenati alla bisognosa anima?

XXXVIII. Se qualcuno, a dispetto del divieto, risponde a chi lo provoca e induce un pretesto di litigio, nessuno si intrometta nel loro litigio, dato che è una questione altrui: affinché non si alimentino tra i fratelli come delle rivalità tra le diverse fazioni dei litiganti; a meno che non sia un anziano che, placando la discordia tra di loro, inserisca parole di pace con moderazione, disciplina e sincera fede.

XXXIX. Nessuno osi immischiarsi in una qualunque causa esterna (al monastero), inerente sia ai genitori, sia ai parenti e a qualsiasi motivo del mondo, senza l’ordine del superiore: di solito le lacrime dei poveri e degli oppressi impietosiscono (il fratello) fino al punto di recarsi come intercessore presso i giudici o presso chiunque sarà necessario. Né presuma di rivolgersi( a loro) in modo più ampio di quanto non gli è stato ordinato, neanche con le parole. Infatti sta scritto che: «Nessuno, quando presta servizio militare (a Dio), si lascia prendere dalle faccende della vita comune, se vuol piacere a colui che lo ha arruolato» (2 Tm 2,4). E se desideriamo fuggire ed evitare gli affari imprescindibili, cioè quelli del monastero, che ci sono veramente onerosi per noi, quanto più dobbiamo detestare e fuggire quelli altrui e che non riguardano l’utilità del monastero?

XL. Nessuno di voi osi difendersi dalla rabbia e dagli eccessi di cattiveria dei contadini, che il più delle volte esercitano contro di noi su istigati dal diavolo, per mezzo della propria forza o combattendo con braccio umano; infatti il nostro unico difensore sia Dio, col sostegno dei beati Apostoli e di tutti i santi di Dio.

XLI. Perciò si leggano assiduamente le regole dei Padri affinché, adeguando il nostro udito interiore alle loro sante esortazioni, concepiamo un dolcissimo amore per la disciplina e seguiamo i loro esempi di vita, con l’aiuto del Signore in ogni cosa. Per questo motivo dobbiamo affrettarci ad allontanare dalle nostre menti la tiepidezza che si è sviluppata. Infatti anche queste cose di cui vi abbiamo parlato direttamente con scritti particolari (per ogni argomento), non abbiamo avuto la presunzione di esporle a voi in modo temerario per beffare le regole dei santi e beatissimi Padri; ma ci siamo preoccupati di ripetervi per iscritto in particolare soltanto quelle cose tratte dal loro ordinamento. Inoltre tutti i giorni ci viene letta la pienezza della santa (vita di) conversione e la perfetta dottrina della vita spirituale nelle regole di questi santi Padri, la cui vita, per dono divino, è degna di approvazione e ai quali è affidata l’autorità di insegnare.

 

(In alcuni manoscritti questo finale viene indicato come capitolo 42. Ndt.)

Il Dio onnipotente, che è autore della pace, e che Lui solo può fare abitare nella casa coloro che sono unanimi, renda tutti voi atti a compiere la sua volontà:

 facendo in noi ciò che è gradito davanti a Lui per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore:

Egli pianti e coltivi nel vostro cuore il seme di questa esortazione e istruzione, con la grazia della Spirito Santo, e la conduca alla piena maturità delle buone opere, Amen; e ci custodisca per il riposo eterno con la sua pace, donandoci la remissione dei peccati. Amen.

 


Ritorno alla pagina sulla "Regula Pauli et Stephani"

Ritorno alla pagina iniziale "Regole monastiche e conventuali"


| Ora, lege et labora | San Benedetto | Santa Regola | Attualità di San Benedetto |

| Storia del Monachesimo | A Diogneto | Imitazione di Cristo | Sacra Bibbia |


11 luglio 2014        a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net