REGOLA DI EUGIPPIO

Alcuni capitoli tradotti dal redattore ed altri brani estratti da:

"Giovanni Cassiano - Le istituzioni cenobitiche" - Ed. Qiqajon 2007

"Giovanni Cassiano - Conferenze spirituali" - Ed. Paoline 1965
"Regole monastiche antiche" - G. Turbessi - Ed. Studium - Roma 1990
"Regole monastiche d'Occidente" - Enzo Bianchi - Ed. Einaudi 2001
"Regola del Maestro" - Marcellina Bozzi O.S.B. - Ed. Paideia 1995

Testo in lingua latina con italiano a fronte

[I] (Regola di Agostino)

Vv. 1—29 Ordo Monasterii; vv. 30—154 Praeceptum.

[II] Quale debba essere il cellerario.

Tit. dalla Regola del Maestro XVI; vv. 1—8 dalla Regola dei 4 Padri (XII) 3, 2431; vv. 9—25 dalla Regola del Maestro XVI 11—14; 25—37.

[III] Quale cura degli utensili di ferro con cui operano devono avere gli operai, o coloro che presiedono ai lavori?

Tit. Fino al v. 8 dalla Regola per i monaci di san Basilio, questione CIII; CIIII; CVI; vv. 9—16 dalla Regola del Maestro XVII 1—8.

[IIII]. Se qualcuno non è contento che ogni giorno gli venga ordinato qualche cosa che rientra nei comandamenti di Dio, ma vuole imparare qualche arte, di quale vizio pecca? e si deve dargli ragione?

Dalla Regola per i monaci di san Basilio, questione LXVII.

[V]. Chi si mostra molto attivo e pronto nell’osservare i comandi, ma poi agisce secondo il suo volere e non secondo quanto gli viene ordinato, quale ricompensa avrà?

Dalla Regola per i monaci di san Basilio, questione LXVIII.

[VI] Che dire di chi, comandato di fare un’azione, avrà fatto delle contraddizioni, ma poi avrà compito l’ubbidienza di sua volontà?

Dalla Regola per i monaci di san Basilio, questione LXX.

[VII] Con quale sentimento dell'animo si devono accettare il vestito e le calzature, qualunque sia la loro specie?

Dalla Regola per i monaci di san Basilio, questione XCV.

[VIII] È lecito a ciascuno di cedere la propria tunica vecchia o le calzature a chi vorrà, a causa della misericordia per osservare il comandamento della carità?

Dalla Regola per i monaci di san Basilio, questione XCVIIII.

[VIIII] I pellegrini devono entrare fino ai luoghi in cui i fratelli lavorano, o anche altri dello stesso monastero, abbandonati i loro posti, possono entrare in altri luoghi?

Dalla Regola per i monaci di san Basilio, questione CI.

[X] E' lecito a chi conosce le arti ricevere un lavoro da qualcuno senza che lo sappia o lo permetta colui che presiede e ha la cura delle varie opere?

Dalla Regola per i monaci di san Basilio, questione CII.

[XI] Si deve tacere con i fratelli che peccano e non occuparsene?

Dalla Regola per i monaci di san Basilio, questione CXXII.

[XII] Come comportarci verso chi non si pente della sua colpa?

Dalla Regola per i monaci di san Basilio, questione XXVIII.

[XIII] È conveniente che chi convive con i fratelli possieda qualche cosa di proprio?

Dalla Regola per i monaci di san Basilio, questione XXVIIII.

[XIIII] Chi dice male di un fratello o ascolta un maldicente, e lascia correre, di che cosa è degno?

Dalla Regola per i monaci di san Basilio, questione XLIII.

[XV] Come sarà da trattare colui che avrà detto male del superiore?

Dalla Regola per i monaci di san Basilio, questione XLIIII.

[XVI] Non è proprio lecito ridere?

Dalla Regola per i monaci di san Basilio, questione LIII.

[XVII] Quale è la materia e la causa dei nostri mali, che deve essere bruciata nella fornace del timore di Dio? E quale è la ruggine e la sporcizia dei nostri vizi, da cui ci deve purificare la lima della giustizia?

Dalla Regola del Maestro V

[XVIII] L'obbedienza dei discepoli: come deve essere.

Dalla Regola del Maestro VII tit.15; 2074.

[XVIIII] Quando viene l'ora dell'ufficio divino i fratelli devono affrettarsi immediatamente verso l'oratorio.

Dalla Regola del Maestro LIIII.

[XX] Quanti passi deve essere lontano il fratello, perché sia tenuto ad accorrere all'oratorio, lasciando il lavoro?

Dalla Regola del Maestro LV tit.6; 811; 1318.

[XXI] Dei fratelli che arrivano in ritardo all'ufficio divino.

Dalla Regola del Maestro LXXIII.

[XXII] Nessuno deve parlare dopo compieta.

Dalla Regola del Maestro XXX tit.; 830.

[XXIII] Il libero arbitrio dei fratelli deve essere tenuto a freno.

Dalla Regola del Maestro LXXIIII.

[XXIIII] L’atteggiamento nella recita dei salmi.

Dalla Regola del Maestro XLVII tit.22; 24.

[XXV] Quale deve essere l'abate.

Dalla Regola del Maestro II tit.10; 2325; 3234; 37—40; 51.

[XXVI] Quale deve essere il preposito.

Dalla Regola di san Pacomio CLIX (Praecepta et Instituta 18).

[XXVII] Le specie di monaci: sia il loro ordinamento che il loro modo di agire e vivere nei cenobi.

Dalla Regola del Maestro I tit.15; 7292; Ths 40 46.

[XXVIII] Sulla formazione dei discepoli, la grazia dell'umiltà ed il progresso verso Dio: con quali mezzi la si acquisisce e come, una volta acquisita, la si conserva.

Dalla Regola del Maestro X tit.14; 16; 1838; 4045; 48—122.

[XXVIIII] Ancora sull'umiltà, sull'obbedienza e sulla superbia che deve essere calpestata.

Sentenze di Novato il Cattolico.

[XXX] Sul combattere la libidine e sui gradi della castità, ovvero in che modo si raggiunge la purezza della castità.

Dalle Conferenze di Cassiano XII 2, 13; Titolo da Confer. Cap. XII 7.

[XXXI] Distinguerò in sei gradi le vette della castità, benché tra l'una e l'altra di queste vette la differenza d'altezza sia notevole.

Dalle Conferenze di Cassiano XII 7, 24.

[XXXII] Chi desidera distruggere le suggestioni del nemico deve confessare tutto al suo superiore senza vergognarsi.

Dalle Istituzioni Cenobitiche di Cassiano IIII 9; Titolo da Istit. Cap. IIII 9.

[XXXIII] Con quale ordine si riesce a raggiungere la perfezione, per la quale si ascende dal timore di Dio a cui segue giustamente la carità.

Dalle Istituzioni Cenobitiche di Cassiano IIII 39, 40, 41, 42, 43; Titolo da Istit. Cap. IIII 39.

[XXXIIII] L'osservanza e la disciplina della regola stabilita, e che nessuno abbia la sfacciataggine di parlare o di pregare con colui che è stato sospeso dalla preghiera (comune), affinché non venga anche a lui attribuita la colpa.

Dalle Istituzioni Cenobitiche di Cassiano II 1516; Titolo da Istit. Cap. II16.

[XXXV] Non sia consentito entrare nell'oratorio per la preghiera diurna a chi non arriva prima della fine del primo salmo. Durante le ore della notte sia perdonabile un ritardo fino alla fine del secondo salmo.

Dalle Istituzioni Cenobitiche di Cassiano  III 7; Titolo da Istit. Cap. III 7.

[XXXVI] Quando sentono il battito (alla loro porta) non antepongano nulla all'accorrere in fretta e con entusiasmo.

Dalle Istituzioni Cenobitiche di Cassiano  IIII 12; Titolo da Istit. Cap. IIII12.

[XXXVII] Le diverse norme per la correzione e l'emendazione dei vizi.

Dalle Istituzioni Cenobitiche di Cassiano IIII 16; Titolo da Istit. Cap. IIII 16.

[XXXVIII] Quanto sia illecito il gustare del cibo o della bevanda al di fuori della mensa comune benedetta.

Dalle Istituzioni Cenobitiche di Cassiano IIII 18; Titolo da Istit. Cap. IIII 18.

[XXXVIIII] La scomunica per le colpe.

Dalla Regola del Maestro XII.

[XL] Come si debba trattare il fratello scomunicato.

Dalla Regola del Maestro XIII tit.1; 35; 859; 63—65; 68—75.

[XLI] E' opportuno che colui che si è allontanato dalla vita comunitaria, cioè dalla congregazione, stia appartato e da solo, oppure (è opportuno) che condivida la sua vita coi fratelli che non rivendicano nulla di proprio, ma che hanno tutto in comune?

Dalla Regola per i monaci di san Basilio, questione III.

[XLII] Inoltre dimostra che il monaco non deve vivere solitario per i molti mali che facilmente gli si avvicinano furivamente.

Dall'Episola di san Gerolamo CXXV 9.

 

 

[I] (Regola di Agostino)

1. Sopra ogni cosa, fratelli carissimi, si ami Dio, quindi il prossimo, poiché questi sono i precetti che principalmente ci sono dati.

2. Descriviamo ora in che modo si debba pregare e cantare i salmi. Nel mattutino si dicano tre salmi: il sessantaduesimo, il quinto e l’ottantanovesimo. Nell’ora terza, si dica per prima cosa un salmo con responsorio, quindi due antifone, una lettura, ed una preghiera conclusiva; in modo simile all’ora sesta e nona; all’accensione delle lucerne (Vespro) un salmo responsorio, quattro antifone, di nuovo un salmo responsorio, quindi una lettura e una preghiera conclusiva. Al tempo opportuno dopo le preghiere della sera, mentre tutti sono seduti, si leggano le letture; quindi si leggano i salmi consueti prima del sonno. Siano le orazioni notturne nel mese di novembre, dicembre, gennaio e febbraio, dodici antifone, sei salmi, tre letture; in marzo, aprile, settembre ed ottobre, dieci antifone, cinque salmi, tre letture; in maggio, giugno, luglio e agosto, otto antifone, quattro salmi, due letture.

3. I fratelli lavorino dal mattino fino all’ora sesta, e da sesta a nona siano liberi dalle letture; all’ora nona restituiscano i libri, e dopo la refezione lavorino nell’orto, o dovunque sia necessario, fino all’ora delle lucerne.

4. Nessuno rivendichi alcunché come proprio, sia negli abiti, sia in qualunque altra cosa; desideriamo infatti vivere la vita degli Apostoli.

5. Nessuno faccia alcunché mormorando, affinché non perisca del giudizio che tocca a chi mormora.

6. Obbediscano con fedeltà, onorino il loro Padre subito dopo Dio, e onorino il loro superiore come è giusto che facciano i santi.

7. Seduti a tavola tacciano, mentre ascoltano la lettura. Se però c’è bisogno di qualcosa, il loro superiore se ne occupi subito. Il sabato e la domenica, secondo quanto stabilito, quelli che lo desiderano prendano del vino.

8. Se per qualche necessità del monastero c’è bisogno di uscire, vadano in due. Nessuno mangi o beva fuori dal monastero se non per ordine espresso, poiché questo è in contrasto con la disciplina del monastero. Se per necessità del monastero dei fratelli saranno incaricati di vendere qualcosa, stiano bene attenti a non fare nulla contro l’incarico ricevuto, sapendo che altrimenti offendono Dio nei suoi servitori; allo stesso modo, se compreranno qualcosa per le necessità del monastero, lo facciano con scrupolo e sollecitudine, da servitori di Dio.

9. Non ci sia fra loro parola oziosa. Fin dal mattino attendano al loro lavoro. Dopo le preghiere dell’ora terza tornino al lavoro. Non stiano a far discorsi fra di loro, se non per cosa che torni utile alla loro anima. Durante il lavoro tacciano, a meno che non intervenga qualche necessità di parlare per l’opera a cui attendono.

10. Se qualcuno non si impegnerà a rispettare con tutte le sue forze e con l’aiuto della misericordia divina questi comandi, ma al contrario li disprezzerà con animo ribelle, e se, dopo essere stato ammonito una volta ed una seconda, non si emenderà, dovrà essere sottoposto alla disciplina del monastero. Qualora l’età lo permetta, sia anche battuto.

11. Osservando tutte queste cose fedelmente e piamente in nome di Cristo voi progredirete e noi avremo grande gioia per la vostra salvezza. Amen.

1. 1. Questi sono i precetti che comandiamo, affinché voi che siete stabiliti nel monastero li osserviate.

1. 2. Per primo, poiché siete riuniti in un solo corpo, comandiamo che abitiate concordi nella casa e abbiate una sola anima ed un solo cuore rivolto a Dio.

1. 3. E non dite di alcuna cosa: è mio, ma tutte le cose siano fra di voi comuni, e cibo e abiti siano distribuiti a ciascuno di voi dal vostro superiore; ma non in modo uguale fra tutti, poiché non ugualmente siete in salute, piuttosto a ciascuno secondo il suo bisogno. Così infatti leggete negli Atti degli Apostoli: Tutte le cose erano fra di loro comuni, ed a ciascuno era dato secondo il suo bisogno.

1. 4. Quelli che nella vita del mondo avevano qualcosa, dal momento in cui sono entrati nel monastero, lo diano spontaneamente alla comunità.

1. 5. Quelli invece che non avevano nulla, non chiedano nel monastero quello che non potevano avere neppure fuori. Purtuttavia si dia ciò che è necessario a sostenere la loro infermità, anche se la loro povertà, quando erano fuori, non poteva trovare neppure l’indispensabile. Soltanto, non ritengano di essere felici per aver trovato quel cibo e quell’abito che fuori non trovavano.

1. 6. Né montino in superbia perché ora sono uniti a coloro ai quali fuori non osavano avvicinarsi, ma stiano di buon animo, e non chiedano vani beni terreni, altrimenti i monasteri cominceranno a diventare utili ai ricchi, ma non ai poveri, se i ricchi si umilierannno, mentre i poveri si daranno arie.

1. 7. Ma d’altra parte anche quelli che credevano d’essere qualcuno nel mondo non guardino con fastidio i loro fratelli, che giunsero a quella santa società dalla miseria. Anzi si sforzino d’essere orgogliosi non della gloria di genitori ricchi, ma della società con fratelli poveri. Non si esaltino, se hanno contribuito con qualcosa delle loro ricchezze alla vita comune, né si insuperbiscano per aver distribuito le loro ricchezze nel monastero più di quanto farebbero se le avessero godute nel mondo. Infatti ogni altro vizio fa sì che si compiano nuove cattive azioni, ma la superbia corrompe anche le buone azioni fino a farle perire; e a che giova spogliarsi dei beni e darli ai poveri e diventare poveri, se la misera anima diventa più superba nel disprezzare le richezze di quanto lo era nel possederle?

1. 8. Vivete dunque tutti unanimi e concordi, ed onorate in voi reciprocamente Dio di cui siete fatti tempio.

2. 1. Dedicatevi alle preghiere nelle ore e nei tempi stabiliti.

2. 2. Nell’oratorio nessuno faccia alcunché se non ciò per cui esso è fatto e da cui trae il nome; affinché se alcuni, non avendo altra occupazione, volessero pregare anche al di fuori delle ore stabilite, non vi sia loro impedimento da parte di chi avrà ritenuto di farvi altre cose.

2. 3. Quando pregate Dio con salmi e inni, si mediti nel cuore ciò che si dice con la voce.

2. 4. E non cantate se non ciò che è prescritto che si canti; ciò che non è espressamente destinato al canto, non si canti.

3. 1. Domate la vostra carne con i digiuni e l’astinenza dal cibo e dalle bevande per quanto la vostra salute lo permetta. Ma se qualcuno non può digiunare, non prenda ugualmente cibo al di fuori dell’ora del pranzo, a meno che non sia malato.

3. 2. Da quando vi accostate alla mensa, fin quando vi alzate, ascoltate senza rumore e confusione ciò che vi si legge secondo la consuetudine; affinché voi non solo con la bocca siate nutriti, ma anche le orecchie siano affamate della parola di Dio.

3. 3. Se alcuni hanno un trattamento speciale nel vitto, poiché sono più deboli a causa del precedente tenore di vita, ciò non deve dare fastidio o sembrare ingiusto a coloro che per diversa abitudine sono più forti. Questi non dovranno considerare più felici quegli altri, che ricevono più di ciò che hanno loro, ma piuttosto si rallegrino di godere di maggiore vigore.

3. 4. E se a coloro che sono arrivati al monastero da condizioni più raffinate si danno alimenti, abiti, letti e coperte che non si danno agli altri, che sono più rudi, e proprio per questo più felici, coloro che non ricevono queste cose devono pensare quanto quegli altri siano scesi dalle condizioni di vita secolare, pur senza aver potuto eguagliare la frugalità di coloro che sono più forti di costituzione. Né devono tutti volere quelle cose che pochi ricevono, non perché sono onorati, ma perché sono tollerati, affinché non si verifichi nel monastero quella perversione per cui i ricchi diventano quanto più possono laboriosi, e i poveri al contrario s’infiacchiscono.

3. 5. D’altra parte poiché gli ammalati devono mangiare meno per non aggravarsi, dopo la malattia devono essere trattati in modo tale da riprendersi al più presto, anche se venivano da condizioni di estrema povertà; si trovano quindi nella stessa condizione di debolezza di coloro che erano abituati ad una vita più agiata. Ma appena abbiano ripreso le loro forze, tornino alle loro più felici abitudini, che è tanto più adatta ai servitori di Dio quanto meno hanno pretese. Una volta tornati in forze, non rimangano per motivo di piacere in quelle condizioni in cui si trovavano per causa della malattia. Si considerino più ricchi quelli che saranno più forti nel sopportare le strettezze; è meglio avere meno bisogni che maggiori ricchezze.

4. 1. Il vostro abito non sia appariscente, e non cercate di piacere per gli abiti, ma per il comportamento.

4. 2. Quando uscite, rimanete insieme; quando tornate alla vostra dimora, state da soli.

4. 3. Nel vostro modo di camminare, nella postura, in ogni vostro movimento non ci sia nulla che possa offendere lo sguardo altrui, ma tutto sia conforme alla vostra santità.

4. 4. I vostri occhi, anche se cadono su qualche donna, non si fissino su nessuna. Infatti quando vi trovate fuori dal convento non vi è proibito vedere donne, ma è un delitto desiderarle, o voler essere desiderati da loro. Non solo attraverso il tatto e l’affezione ma anche attraverso lo sguardo la concupiscenza delle donne desidera e si fa desiderare. E non dite di avere l’animo pudico se avete l’occhio impudico, poiché l’occhio impudico è segno di un cuore impudico. E quando due cuori si rivelano l’un l’altro impudichi con sguardo complice, anche se la lingua tace, e si dilettano di passione reciproca secondo la concupiscenza della carne, anche se i corpi rimangono intatti dall’immondo peccato, la castità sfugge ugualmente dai loro comportamenti.

4. 5. E chi fissa gli occhi in una donna e ama esser fissato da lei, non deve pensare di non essere visto da altri, mentre lo fa; è sicuramente visto, anche da quelli da cui non pensa di essere visto. Ma anche se riuscisse a nascondersi, e a non farsi vedere da nessuno, come se la caverà con quell’Osservatore dall’alto, a cui nulla resta nascosto? Dovremo credere che non veda, solo perché è tanto più paziente nel vedere, quanto più è sapiente? A Lui dunque l’uomo santo abbia timore di dispiacere, così che non gli venga voglia di piacere peccaminosamente ad una donna; e pensi che Lui vede tutto, così da non aver desiderio di vedere pecca¬mino-sa¬mente una donna. Anche in questo si raccomanda il timore verso di Lui, là dov’è scritto: L’uomo che fissa lo sguardo è in abominio del Signore.

4. 6. Quando dunque siete insieme in chiesa ed in qualunque altro luogo dove vi sono donne, custodite l’un l’altro la vostra pudicizia; Dio che abita in mezzo a voi anche in questo modo vi custodirà da voi stessi.

4. 7. E se notate in qualcuno di voi questa petulanza degli occhi di cui parlo, subito ammonitelo, affinché il male una volta iniziato non si aggravi ma sia corretto subito.

4. 8. Se invece anche dopo l’ammonizione subito dopo, o in altro giorno, lo vedrete fare lo stesso, subito chiunque se ne accorga lo soccorra come un ferito da curare; per prima cosa lo mostri ad un altro o anche a un terzo, affinché possa essere convinto dalle parole di due o tre e sia corretto con adeguata severità. e non pensate di essere malevoli, quando denunciate una cosa simile. Anzi, non sareste innocenti se lasciaste perire col silenzio i vostri fratelli, che avreste potuto correggere denunziando. Se infatti il tuo fratello avesse una ferita nel corpo, che volesse nascondere, per paura della cura, non sarebbe da parte tua crudele tacere e misericordioso parlare? Quanto più doveroso quindi è per te parlare, affinché non imputridisca più rovinosamente nel cuore?

4. 9. Ma se colui negherà, se dopo l’ammonizione non avrà voluto emendarsi, prima di denunziarlo ad altri, dai quali dovrebbe essere convinto, deve essere indicato al superiore, affinché in seguito ad una correzione più segreta possa non essere palesato ad altri. Ma se anche allora negherà, allora si dovranno richiamare anche gli altri di fronte al renitente, affinché di fronte a tutti possa essere accusato non da uno, ma da due o tre; una volta che l’accusa sia provata, dovrà subire il castigo secondo la decisione del superiore, o anche del presbitero, a cui compete la riparazione. E se dovesse rifiutare il castigo, anche se non vorrà andarsene spontaneamente, dovrà essere cacciato dalla vostra comunità. Questa non è crudeltà, ma misericordia, per evitare che mandi altri in perdizione col suo pestifero contagio.

4. 10. E ciò che ho detto dell’impudicizia degli occhi, si dovrà osservare in modo diligente e fedele nel ricercare, proibire, denunciare, condannare e punire tutti gli altri peccati, sempre con amore verso gli uomini e odio verso i vizi.

4. 11. Chiunque poi fosse giunto ad un punto tale nel suo peccato da ricevere da qualche donna lettere o doni, per quanto piccoli, se lo confesserà spontaneamente, sia perdonato, e si preghi per lui; ma se sarà colto sul fatto, e sarà provata la sua colpa, sia punito più severamente secondo il giudizio del presbitero o del superiore.

5. 1. Conservate i vostri abiti nello stesso luogo, sotto la custodia di uno o due o quanti saranno necessari a questo compito, perché non siano rosi dalle tarme; e come avete il cibo da una stessa dispensa, così prendete gli abiti da un unico guardaroba. E se è possibile non fate caso a quali abiti vi vengono dati a seconda delle circostanze, né se riceverete quello che già avevate indossato o qualcosa di indossato da altri; purché a tutti sia dato ciò di cui ha bisogno. Se invece dovessero nascere tra di voi attriti e mormorazioni a questo proposito, poiché qualcuno si lamenta di aver ricevuto un abito più scadente di quello che aveva prima, e trovasse non degno di per lui un abito che prima era stato indossato un fratello, questo vi deve dimostrare quanto siate in difetto nel sacro abito del cuore, se litigate per l’abito del corpo. Tuttavia se la vostra infermità richiede che riceviate ciò che avevate deposto, tenete ugualmente in uno stesso luogo, sotto la custodia comune, gli abiti che deponete.

5. 2. Così nessuno lavori per sé stesso, ma tutte le vostre attività siano in comune, con maggior diligenza e più fervida alacrità che se ognuno si occupasse solo del suo. La carità, di cui è scritto che nessuno ricerchi ciò che è suo, s’intende nel senso che si antepone l’interesse comune al proprio, non il proprio interesse a quello comune. E dunque quanto più curerete il bene comune a preferenza del vostro, tanto più vi renderete conto di aver tratto vantaggio; affinché su tutte le cose che dipendono da una necessità passeggera, prevalga la carità, che è eterna.

5. 3. Di conseguenza se qualcuno porterà qualcosa ai suoi figli o ad altri congiunti stabiliti in monastero, o una veste, o qualunque altra cosa utile, ciò non venga ricevuto di nascosto, ma sia messo a disposizione del superiore, affinché, posto fra i beni comuni, sia dato a chi ne avrà bisogno.

5. 4. I vostri indumenti siano lavati secondo le disposizioni del superiore, o da voi stessi, o da lavandai, in modo che l’anima vostra non si insozzi per troppo amore di abiti puliti.

5. 5. Anche la pulizia del corpo, quando sia resa necessaria dalla malattia, non si deve negare, ma si faccia senza mormorazioni su prescrizione medica, cosicché ognuno anche se non vuole faccia ciò che giova alla salute, secondo l’ordine del superiore. Ma se qualcuno la desidera senza necessità, non ceda alla tentazione del piacere. Talvolta si pensa che giovi ciò che piace, anche se in realtà fa male.

5. 6. Se poi la sofferenza fisica è nascosta, si creda fiduciosamente al servo di Dio, che lamenta un’indisposizione; tuttavia si consulti il medico, se non è certo che gli sia di giovamento ciò che può procurargli un piacere.

5. 7. Non si vada ai bagni, o in qualunque altro luogo sarà necessario andare, se non in due o tre almeno. E chi ha necessità di andare da qualche parte, non ci vada con chi vuole, ma con chi avrà deciso il superiore.

5. 8. La cura degli ammalati o dei convalescenti, o di coloro che soffrono di qualche infermità, anche senza febbre, sia compito di uno solo, il quale dovrà ritirare dalla dispensa ciò che avrà giudicato necessario a ciascuno.

5. 9. Chi ha ricevuto l’incarico della dispensa, del guardaroba, della biblioteca, serva i suoi fratelli senza brontolare.

5. 10. I libri si prendano all’ora stabilita giorno per giorno; se qualcuno li chiede fuori ora, non li riceva.

5. 11. Invece abiti e calzature siano dati senza indugio da chi li ha in custodia quando siano richiesti per bisogno.

6. 1. Non ci siano fra di voi liti, o se ci sono, cessino al più presto, affinché l’ira non si trasformi in odio, e non faccia d’ogni paglia una trave, e non renda l’animo omicida. Così infatti trovate scritto: Chi odia il proprio fratello, è un omicida.

6. 2. Chiunque abbia offeso un altro con invettive, maledizioni, o anche col rinfacciare colpe, si ricordi di riparare al più presto ciò che fece, e colui che è stato offeso, sia pronto a perdonare senza discutere. Se invece si offesero vicendevolmente, dovranno perdonarsi l’un l’altro, per le vostre preghiere, che quanto più saranno frequenti tanto più dovranno essere assennate. È migliore colui che, pur essendo spesso tentato dall’ira, tuttavia si affretta a chiedere scusa a chi riconosce di aver offeso, di quello che più lentamente va in collera, ma più difficilmente si piega a chiedere perdono. Se poi uno non chiede mai perdono, o non lo chiede con animo sincero, è inutile che stia nel monastero, anche se non ne viene cacciato. Perciò astenetevi dalle parole offensive; ma una volta che vi siano uscite di bocca, non abbiate vergogna a proferire il rimedio dalla vostra stessa bocca da cui è uscita l’offesa.

6. 3. Quando però il dovere della disciplina vi spinge a usare parole dure nel correggere i sottoposti, se anche vi è parso di aver ecceduto nei loro confronti, non vi si impone di chiedere loro perdono, per evitare che un eccesso di umiltà vi porti ad incrinare l’autorità necessaria per governare su quelli che devono essere sottoposti. Però si deve chiedere perdono al Signore di tutti, il quale sa con quanta benevolenza amate anche quelli che forse avete ripreso più del giusto. L’amore fra di voi deve tuttavia essere spirituale, non carnale.

7. 1. Si obbedisca dunque al superiore come a un padre, prestandogli il dovuto onore, per non offendere Dio in lui; e ancor di più si ubbidisca al presbitero che ha cura di tutti voi.

7. 2. Sarà principalmente compito del superiore vegliare affinché tutte queste cose siano osservate, e se qualcosa non verrà osservato, non si trascuri con negligenza, ma si provveda affinché vi sia posto rimedio; e che riferisca al presbitero, che ha su di voi maggiore autorità, ciò che va al di là delle sue competenze o delle sue forze.

7. 3. Il vostro superiore non si consideri felice perché comanda con autorità, ma perché serve con carità. Di fronte a voi sia innalzato su di voi nell’onore; di fronte a Dio sia prostrato ai vostri piedi nel timore. Si offra a tutti come esempio di buone cose, corregga gli inquieti, conforti i deboli, sostenga gli inferni, sia paziente con tutti. Osservi lietamente la disciplina, e imponga rispetto. E seppure entrambe le cose siano necessarie, tuttavia preferisca essere da voi amato che temuto, sempre pensando che dovrà rendere conto di voi a Dio.

7. 4. Perciò, se sarete più ubbidienti, mostrerete di avere misericordia non solo verso voi stessi, ma soprattutto di lui, poiché quanto più è elevata la sua condizione, tanto più grande è il pericolo per lui.

8. 1. Il Signore vi conceda di osservare tutte queste cose con amore, così da essere amanti della bellezza spirituale, e emananti il buon profumo di Cristo grazie alla vostra buona convivenza, non come servi soggetti alla legge, ma come uomini liberi posti sotto la grazia.

8. 2. Affinché possiate specchiarvi in questo libretto, e non si trascuri nulla per dimenticanza, esso vi sia letto una volta alla settimana. E se troverete che state facendo le cose che vi sono scritte, ringraziate il Signore che vi ha elargito tutti questi doni. Se invece qualcuno di voi vedrà in sé qualche mancanza, si dolga per il passato, si premunisca per il futuro, preghi che gli siano rimessi i debiti e che non sia indotto in tentazione.

FINISCE LA REGOLA DI SANT'AGOSTINO, VESCOVO

 

[II] Quale debba essere il cellerario

24. Deve essere eletto uno che sia tale da poter dominare in tutto le suggestioni della gola 25. e che tema la parola di condanna rivolta a Giuda, che dall’inizio è stato ladro. 26. Colui che viene incaricato di tale compito deve fare in modo da poter udire [su di sé]: 27. “Colui che avrà servito bene acquisisce per sé un buon posto”.

28. Devono anche sapere, i fratelli, che tutto ciò che in monastero passa per le loro mani, sia riguardo al vasellame, sia riguardo agli attrezzi e a tutte le altre cose, è santo. 29. Se qualcuno tratta con negligenza qualcosa, 30. sappia che si trova nella stessa condizione di quel re che insieme con le sue concubine beveva nei vasi santi della casa di Dio, e sappia quale castigo si è meritato.

31. Questi precetti sono da custodirsi e da richiamare ogni giorno alle orecchie dei fratelli».

 

11 II cellerario del monastero dunque non è altro che un dispensatore di beni divini; 12 tanto divini che il Signore stesso nel vangelo li promette ai suoi servi fedeli dicendo: «Non datevi pensiero di quel che avrete da mangiare o da bere, o di che vestirvi». 13 E insieme ammonisce che nessuno sia preoccupato del domani, 14 ma ci dà questo avvertimento: «Cercate il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto ciò vi sarà fornito.

 

25 Dunque se ci preoccupiamo soltanto del nostro servizio «nel cercare il suo regno e la sua giustizia» (Mt. 6,33-34), 26 stiamo certi che il Signore ci fornirà di tutto; dato che già di sua iniziativa egli promette di procurarci ogni cosa necessaria.

27 Orbene, se i viveri del monastero che il Signore elargisce ai suoi operai a titolo di cibo, 28 vengono distribuiti senza criterio e con imbrogli dal cellerario e vanno perduti, 29 sappia il suddetto cellerario che nel giorno del giudizio egli sarà esaminato sui conti che deve rendere a Dio, davanti al suo tribunale, 30 avendo visto il Signore sprecato per negligenza il cibo dei suoi servi. 31 I beni infatti che il Signore giustamente concede a chi se li merita, non ammette che siano immeritatamente sprecati da dissipatori.

32 Questo cellerario niente deve fornire né elargire né prelevare senza ordine dell’abate 33, quando questi è presente, non offra nulla a un malato senza la sua autorizzazione. 34 II cellerario, presente l’abate, faccia l’elemosina su suo ordine. 35 Quando invece l’abate è assente, sia lecito a lui di offrire l’elemosina, se un povero la chiede, 36 conforme al precetto del Signore che dice: «Da’ a ognuno che ti chiede» (Lc. 6,30); 37 e anche: «Da’, perché non ti capiti che quegli a cui non hai dato, sia il Cristo in persona» (cf. Mt. 25,35-3 6).

 

[III] Quale cura degli utensili di ferro con cui operano devono avere gli operai, o coloro che presiedono ai lavori?

2. Prima di tutto li devono usare come oggetti di Dio, o come quelli che sono già stati consacrati a Dio. 3. E poi li devono trattare come mezzi, senza dei quali non possono acquistare meriti per il loro sacrificio e per il loro zelo.

1. Come ci si comporterà nel caso che qualche pezzo di quelli va perduto per negligenza, o si rovini per il disprezzo usato?

2. Chi disprezza è da giudicare come sacrilego, e così anche chi manda in rovina le cose incorre nella stessa colpa, 3. per il fatto che tutto ciò che è destinato all’uso dei servi di Dio senza dubbio è consacrato a Dio.

1. Che fare con chi rifiutasse qualche utensile o un ferro al superiore in caso di necessità?

2. Chi ha consegnato se stesso e le sue stesse membra nelle mani di altri per comando di Dio, come potrà rifiutare degli utensili, soprattutto a chi ha l’incarico dei lavori del monastero?


1 Gli arnesi del monastero siano tenuti in un unico locale 2 e l’abate affidi la cura di conservarli a un solo fratello del quale conosca la diligenza. 3 Egli li consegni ogni giorno ai fratelli per fare il loro lavoro, contandoli; 4 parimenti quando smettono, li riceva di ritorno puliti e li riponga. 5 L’abate abbia di tutti un inventario. 6 II fratello che riporta dal campo uno strumento non ripulito dalla terra, 7 accusato a refettorio dal depositario degli arnesi, 8 riceva al pasto una fetta di meno della sua razione di pane a titolo di castigo, fino a riparazione compiuta e a promessa di emendarsi.

 

[IIII]. Se qualcuno non è contento che ogni giorno gli venga ordinato qualche cosa che rientra nei comandamenti di Dio, ma vuole imparare qualche arte, di quale vizio pecca? e si deve dargli ragione?

Risposta.

2. Questo tale è presuntuoso, troppo desideroso di compiacere se stesso, e infedele, in quanto non teme la sentenza del Signore che dice: Siate preparati; perché all’ora che non pensate verrà il Figlio dell'uomo {Lue. 12, 40). Se uno è veramente nella quotidiana attesa del Signore, è sollecito e premuroso di non trascorrere oziosamente la vita presente e non si preoccupa d’altro. Se poi gli viene comandato di imparare qualche arte, si contenti di avere una ricompensa per la sua ubbidienza, e in questo piaccia a Dio, ma non si contenti di essere giudicato in ciò che a lui piace.

 

[V]. Chi si mostra molto attivo e pronto nell’osservare i comandi, ma poi agisce secondo il suo volere e non secondo quanto gli viene ordinato, quale ricompensa avrà?

Risposta.

2. La sua ricompensa sarà proprio quella di piacere a se stesso; poiché l’Apostolo dice: Ciascuno si renda gradito al prossimo per edificarlo (Rm 15, 2). 3. E per maggiormente piegare e vincolare gli ascoltatori aggiunge: Lo stesso Cristo non piacque a se stesso; 4. e perciò ciascuno deve conoscere che il suo pericolo è proprio nel fatto di voler piacere a se stesso; e così nello stesso tempo dimostra di essere disubbidiente.

 

[VI] Che dire di chi, comandato di fare un’azione, avrà fatto delle contraddizioni, ma poi avrà compito l’ubbidienza di sua volontà?

Risposta.

2. Per il fatto che ha contraddetto, è da giudicare come un disubbidiente e come chi induce gli altri a un medesimo male. 3. E perciò sappia che incorre in quella sentenza che dice: Ogni persona cattiva provoca sempre contese, ma il Signore manderà contro di lui Vangelo vendicatore (Pr 17, 11). 4. Se è certo che ubbidisce non all'uomo, ma al Signore che afferma: Chi ascolta voi, ascolta me, e chi disprezza voi, disprezza me (Lc 10,16); 5. E se è pentito al ricordo di questo comandamento, prima faccia la soddisfazione, e così, se gli viene permesso, compia quanto gli è stato comandato.

 

[VII] Con quale sentimento dell'animo si devono accettare il vestito e le calzature, qualunque sia la loro specie?

2. Se per caso fossero troppo piccoli o troppo grandi, si dovrebbero giudicare in base alla misura della propria statura, ma con ogni umiltà e mansuetudine. 3. Ma se ci si turba per la loro rozzezza o bassezza, o perché non sono nuovi, sarà bene ricordare il comando del Signore: È degno della sua ricompensa l'operaio, ma non chiunque (Lc 10, 7). 4. Ciascuno esamini bene se stesso, se ha compiuto degnamente le opere di Dio, ed ha osservato tutte le cose che gli sono state comandate; 5. e allora non pretenderà altro, ma sarà premuroso di quello che gli viene, come se ricevesse più di quanto merita. 6. Del resto quanto si è detto del cibo, si può osservare nella stessa forma di ogni cosa che riguarda i bisogni del corpo.

 

[VIII] È lecito a ciascuno di cedere la propria tunica vecchia o le calzature a chi vorrà, a causa della misericordia per osservare il comandamento della carità?

Risposta.

2. Offrire qualche cosa per il detto comandamento non è compito di tutti, ma di quelli che hanno ricevuto quest'incarico. 3. Così dunque chi ha il compito della distribuzione dia lui stesso il vestito, nuovo o vecchio, a chi deve essere dato, e lo riceva da chi deve essere ricevuto.

 

 

[VIIII] I pellegrini devono entrare fino ai luoghi in cui i fratelli lavorano, o anche altri dello stesso monastero, abbandonati i loro posti, possono entrare in altri luoghi?

Risposta.

2. Eccetto colui che deve andare alla ricerca di coloro che lavorano, cioè quello che è incaricato del lavoro e dell'ordinamento, 3. se qualche altro sarà trovato a fare simili azioni, sia trattato come perturbatore della disciplina e dell'ordine dei fratelli, venga escluso dalla comunità conventuale, e gli siano vietati anche i movimenti leciti. 4. Seduto in determinato luogo, stabilito dal superiore e adatto alla correzione e alla punizione, non gli sia mai permesso di allontanarsene, 5. ma sia stimolato al lavoro molto più del consueto, e sorvegliato strettamente ogni giorno, finché impari a compiere quanto dice l'Apostolo: Ognuno rimanga nell'incarico che gli è stato affidato (1 Cor. 7, 20).

 

[X] E' lecito a chi conosce le arti ricevere un lavoro da qualcuno senza che lo sappia o lo permetta colui che presiede e ha la cura delle varie opere?

Risposta.

2. Chi agisse in questo modo sarebbe reo di furto, o assimilato a quelli che cooperano coi ladri

 

[XI] Si deve tacere con i fratelli che peccano e non occuparsene?

2. Che non si deve è ben chiaro dai precetti del Signore, coi quali dice nell'Antico Testamento: Rimprovera il tuo prossimo e non ti caricherai del suo peccato (Lv 19, 17). 3. Nel Vangelo poi dice: Se un tuo fratello avrà peccato contro di te, va e riprendilo fra te e lui solo. 4. Se ti ascolterà avrai guadagnato un tuo fratello. 5. Se invece non ti ascolterà, prendi ancora con te un altro o due, affinché per bocca di due o tre testimoni si stabilisca ogni cosa. 6. Se poi non ascolterà nemmeno loro, dillo all'assemblea. 7. Se poi non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano (Mt 18, 15-17).

8. La gravità di questo peccato si conosce prima di tutto dalla sentenza del Signore, che dice: Chi non crederà nel Figlio non avrà la vita eterna, ma su di lui rimarrà l'ira di Dio (Gv 3, 36). 9. E poi anche nelle storie narrate nell'Antico e nel Nuovo Testamento. 10. Infatti Acan, quel tale che aveva rubato il regolo d'oro, fece ricadere l'ira di Dio su tutto il popolo (Gs 7,1-26). 11. Eppure il popolo non conosceva il peccato che quello aveva commesso fino a che non fu rivelato, e dovette sopportare con tutta la sua casa quel tremendo e notissimo flagello. 12. E così si può affermare anche del sacerdote Eli, che, dopo aver taciuto di fronte ai figli peccatori, che erano figli di perdizione, 13. in seguito li ammonì spesso e li castigò, dicendo: Non fate ciò, figlioli; non sento dire cose buone di voi (1 Sam (Vulg. 1 Re) 2, 24), ecc.; 14. egli, nonostante che rimproverasse il peccato e ammonisse del giudizio di Dio, tuttavia, poiché non represse il male e non si adirò contro di loro con uno zelo degno di Dio, 15. provocò tanto l'ira di Dio, che anche tutto il popolo fu distrutto insieme ai suoi figli, l'arca dell'alleanza fu rapita dai nemici, 16. e in fine, dopo la rovina di tutti, anche lui fu colpito da una morte degna di compassione.

17. Se dunque tanto sdegno di Dio si accese contro il popolo ignorante del peccato di una sola persona, e contro il padre che aveva rimproverato i figli per il loro peccato, 18. che cosa c'è da sperare per coloro che conoscono i delitti degli altri e li tacciono, e non rivolgono nessuna correzione? 19. A questi converrebbe osservare quello che dice l'Apostolo ai Corinti: Perché non avete piuttosto messo il lutto, finché non fosse tolto di mezzo a voi chi ha commesso un tale peccato? (1 Cor 5, 2) ecc. 20. O anche quanto segue: Ecco dunque la vostra tristezza secondo Dio quanta premura ha prodotto in voi, anzi quanta difesa, quanta indignazione, quanto timore, quanto zelo, quanta emulazione, quanta severità? (2 Cor 7, 11). 21. E da ciò deriva che devono molto temere, per non avere a subire la stessa morte degli antichi, quelli che agiscono allo stesso modo; 22. anzi tanto più fortemente quanto più dannoso è il disprezzare la legge di Cristo di quella di Mosè. 23. Anche a questi tali si può applicare quanto sta scritto: Caino è stato vendicato sette volte, e Lamec settanta volte sette (Gen 4, 24).

 

[XII] Come comportarci verso chi non si pente della sua colpa?

Risposta.

2. Come prescrive il Signore: Consideralo come un pagano e un pubblicano (Mt 18, 17). 3. E come insegna l'Apostolo: Tenetevi lontani da ogni fratello che agisce in maniera irrequieta, e non secondo le norme che vi abbiamo trasmesse (2 Ts 3, 6). 

 

[XIII] È conveniente che chi convive con i fratelli possieda qualche cosa di proprio?

Risposta.

2. A ciò è contraria la testimonianza degli Atti degli Apostoli dove si parla di quelli che abbracciarono la fede nei primi tempi. 3. Ivi è detto così: Nessuno affermava come proprio qualche parte dei suoi beni, ma tutto era comune fra loro (At 4, 32). 4. Se quindi qualcuno afferma come proprio qualche cosa, senza dubbio si esclude dal numero dei chiamati da Dio e dall'amore del Signore, che con la parola insegnò e con le azioni portò a termine il suo insegnamento, e diede la sua vita per quelli che amava. 5. Se dunque Egli offrì la sua vita per i suoi amici, come potremo noi rivendicare come di nostra proprietà ciò che non appartiene alla vita?

 

[XIIII] Chi dice male di un fratello o ascolta un maldicente, e lascia correre, di che cosa è degno?

2. Si deve scomunicare. 3. È detto infatti: Perseguitavo chi diceva male del suo prossimo in segreto (Sal 101 (100), 5). 4. E altrove è detto: Non ascoltare volentieri il maldicente, affinché tu non venga sterminato (Pr 20,13; LXX).

 

[XV] Come sarà da trattare colui che avrà detto male del superiore?

Risposta.

2. Anche in questo caso non è forse ben chiaro il giudizio dell'ira di Dio, che cadde su Maria, quando disse male di Mosè, e nemmeno la preghiera di Mosè valse a ottenere da Dio che quel peccato restasse senza punizione? (Nm 12,1-15)

 

[XVI] Non è proprio lecito ridere?

Risposta.

2. Poiché il Signore condanna quelli che ridono in questo mondo, è chiaro che non vi è mai tempo per un'anima fedele; 3. e questo tanto più che sono moltissimi coloro che con la trasgressione della legge non onorano Dio, e muoiono nei loro peccati, e per loro ci si deve rattristare e addolorare costantemente.

 

[XVII] Quale è la materia e la causa dei nostri mali, che deve essere bruciata nella fornace del timore di Dio? E quale è la ruggine e la sporcizia dei nostri vizi, da cui ci deve purificare la lima della giustizia?

Il Signore ha risposto:

1 Ecco i vizi da cui dobbiamo guardarci: 2 in primo luogo la superbia, poi la disobbedienza, la loquacità, 3 la falsità, l’avarizia, la cupidigia, 4 la gelosia, l’invidia, l’iniquità, 6 l’odio, l’inimicizia, l’ira, la rissa, la contesa, 6 la lussuria, l’ubriachezza, l’ingordigia, 7 la mormorazione, l’empietà, l’ingiustizia, la pigrizia, il furto, 8 la maldicenza, la buffoneria, la leggerezza, l’ impurità, le parole vane, 9 il riso molesto ed eccessivo, la derisione, 10 la cupidigia, la frode, l’ ambizione, l’ instabilità.11 Tutto ciò non viene da Dio, ma è opera del diavolo e demerito davanti a Dio, che riceverà nel giorno del giudizio: la gehenna del fuoco eterno.

 

[XVIII] L'obbedienza dei discepoli: come deve essere.

Il Signore ha risposto:

1 Il primo grado dell’umiltà è l'obbedienza senza indugio. 2 Ma questa forma conviene al piccolo numero dei perfetti; a quelli cioè che, ritenendo di non avere nulla più di caro di Cristo, 8 a motivo del servizio santo a cui si sono consacrati, o a causa del timore dell’inferno e delle ricchezze della vita eterna, 4 non appena intendono un comando di un superiore non possano sopportare nessun indugio nell'eseguirlo. 5 E’ di loro che il Signore dice: “All’udirmi, subito mi obbedivano „ (Sal 18 (17),45) 6 e dice ancora ai dottori: “Chi ascolta voi, ascolta me„ (Lc 10,16). 7 Quindi questi monaci, che si distaccano subito dalle loro preferenze e rinunciano alla propria volontà, si liberano all'istante dalle loro occupazioni, lasciandole a mezzo, e si precipitano ad obbedire, in modo che alla parola del superiore seguano immediatamente i fatti. Quasi allo stesso istante, il comando del maestro e la perfetta esecuzione del discepolo si compiono di comune accordo con quella velocità che è frutto del timor di Dio.

10 Ma questa forma d'obbedienza del piccolo numero dei perfetti non deve troppo stupire e scoraggiare gli spiriti deboli e pigri, ma incitarli piuttosto all'imitazione. 11 Considerando infatti che si trovano fra di noi diversi vasi fragili, poiché una natura meno generosa ha destinato in diversi individui molta pigrizia. 12 Infatti, ve ne sono alcuni il cui udito è indebolito da una insensibilità che li assorda, se ne vedono anche altri il cui animo si smarrisce nella foresta dei loro pensieri che si diffondono improvvisamente. 13 Per questo motivo ammorbidiamo e mitighiamo il rigore dell'obbedienza da parte dei responsabili affinché, ripetendo il suo ordine ai discepoli, al maestro non rincrescerà di dovere anche ripetere un suo ordine, 14 secondo questa testimonianza del Signore che, chiamando Abramo, ripeté il suo nome una seconda volta e disse: «Abramo, Abramo!» (Gn 22,11) 15 Questa ripetizione ci fa dunque vedere che il Signore ha mostrato che una sola chiamata non può bastare per essere ascoltato.

20 Senza dubbio nei comandi l'ordine del maestro viene ripetuto perché, per quanto lenti e negligenti siano gli ascoltatori, quando ciò che è stato detto una volta è ripetuto loro una seconda, sia cosa del tutto giusta che l’attuazione dell'obbedienza venga a interrompere il secondo indugio. 21 Se poi nei discepoli vi sarà un terzo indugio ad obbedire, — Dio non voglia che succeda ciò! — sia considerato come colpa con l'imputazione di contumacia.

22 Tuttavia, occorre anche qui sviluppare il tema delle due vie, poiché capita a proposito ed in modo adatto: cioè la via larga che conduce alla perdizione e la via stretta che conduce alla vita. 23 Su queste due vie procede l'obbedienza delle diverse persone: 24 sulla via larga, l’obbedienza dei secolari e dei monaci sarabaiti e girovaghi 25 che, vivendo soli, a due o a tre senza superiore, su di un piano di uguaglianza e procedendo a modo loro, 26 alternandosi al comando per imporre l’uno all’altro ciò che sembra loro bene, e rivendicando la proprietà di ciò che vogliono: 27 e poiché nessuno vuole cedere sui suoi punti di vista, non mancano mai le liti tra di loro. 28 Poi, dopo un appassionato litigio, essendo gente riunita in malo modo si separano e 29 se ne vanno come un gregge errante senza pastore, disperso in diverse direzioni, irrimediabilmente destinato a cadere nelle fauci del lupo. 30 Non è Dio che procura ancora loro delle nuove celle, ma la loro volontà e, poiché si conferiscono da soli, in base alla loro sola autorità, il nome di abate, si vedono monasteri in più grande numero dei monaci!

31 Si vede bene che costoro vanno nella via larga poiché, sotto il nome di monaci, vivono nello stesso modo dei laici, da cui li separa soltanto la tonsura che portano, e prestano obbedienza ai loro desideri piuttosto che a Dio. 32 Secondo il loro giudizio, pensano che sia loro permesso ciò che è male: 33 tutto ciò che vogliono lo chiamano santo e tutto ciò che non vogliono pensano che non sia permesso. 34 Si immaginano che Dio gradisca che si occupino loro stessi del loro corpo, provvedendo alle sue necessità piuttosto che a quelle dell’anima: 35 e cioè cibo, abito, scarpe, di cui pensano di potersene meglio occupare essi stessi di quanto non lo farebbe un altro. 36 Nella loro negligenza si sentono sicuri di quanto la loro anima dovrà rendere conto, così come, militando sotto il loro giudizio e senza essere provati da superiori, si immaginano di compiere nella loro cella tutta la legge e la giustizia di Dio. 37 Se per caso alcuni anziani vengono a passare da lì, danno loro alcuni consigli per correggersi e insegnano loro che questo modo di vivere solitario non vale nulla, immediatamente il consiglio è considerato sgradito, così come la persona stessa del precettore; 38 e subito, anziché promettere di correggersi dandogli il loro consenso ed obbedendo a lui, rispondono soltanto che devono vivere da soli. 39 Essi ignorano ciò che ha detto il profeta: «Si sono corrotti e si sono resi abominevoli seguendo le loro volontà» (Sal 13,1 Vulg.), 40 e questo testo di Salomone che dice: «C’è una via che sembra diritta per l’uomo, ma alla fine conduce su sentieri di morte» (Pr 14,12)

41 Questi tali camminano nella via larga poiché, dove li conduce il piede del loro desiderio, immediatamente lo seguono con il loro consenso: 42 tutto ciò a cui ambisce la loro cupidigia, l'azione è subito prontissima al servizio della medesima. 43 Aprendosi dei nuovi sentieri per la loro opportunità ed il loro libero arbitro senza maestro, dilettano la via della loro vita con diversi ed illeciti piaceri 44 e, dovunque portino le loro attrazioni, si permettono di andarvi senza freni e con comodità. 45 Non vogliono mai capire che «per la creatura umana, la morte è messa alla soglia del piacere». 46 Quanto a ciò che è stato detto per loro: «Non seguire le tuo cupidigie e ditogliti dalle tue volontà» (Sir 18,30), passano oltre con l'orecchio sordo.

47 Ma, al contrario, coloro che sono spinti dal desiderio di andare alla vita eterna, per questo motivo intraprendono la via stretta: 48 non vivendo a modo loro e non obbedendo ai loro desideri ed ai loro piaceri, ma camminando al giudizio ed al comando di un altro, 49 non soltanto si trattengono da questi sopraddetti desideri e piaceri e rifiutano di agire a modo loro, quando possono, 50 ma si sottopongono all'ordine altrui e, rimanendo nei cenobi, desiderano avere un abate come superiore. 51 Questi tali, certamente, imitano la massima del Signore che dice: «Non sono venuto a fare la mia volontà, ma quella di colui che mi ha inviato» (Gv 6,38). 52 Non agendo a modo loro, rinunciando ad essi stessi per Cristo, seguono Dio ovunque li conduce l'ordine dell'abate.

53 Grazie all’attenzione dell’abate nei loro confronti, non soltanto non devono preoccuparsi delle loro necessità temporali, cioè del cibo, dell'abito e delle calzature, ma non devono neppure preoccuparsi del futuro rendiconto della loro anima. 64 Basta che prestino obbedienza in tutto al loro precettore, per essere al sicuro riguardo a tutti i loro altri interessi, sia del corpo che dell’anima, 85 poiché, sia in bene, sia in male, è al pastore che incombe la responsabilità di ciò che si attua nelle pecore; 86 ed al momento del giudizio è colui che ha dato gli ordini che dovrà fornire una spiegazione, non colui che ha eseguito questi ordini, buoni o cattivi che fossero.

87 Si ritiene vero che costoro camminino nella via stretta, poiché i loro desideri non trovano compimento in se stessi; non fanno ciò che vogliono 68 ma, sotto il giogo del giudizio altrui, si rifiutano di andare dove vorrebbero per seguire il loro piacere ed il maestro nega loro di fare o compiere ciò che vogliono. 59 La loro volontà subisce amarezze ogni giorno nel monastero, a causa del Signore, e tutto ciò che viene loro comandato per metterli alla prova, lo sopportano con pazienza, come dei martiri. 60 Certamente nel monastero diranno ciò al Signore, assieme al profeta: «Per te ogni giorno siamo messi a morte, stimati come pecore da macello (Sal 44 (43),23) » 61 e più tardi, al giudizio, diranno ancora al Signore: «O Dio, tu ci hai messi alla prova; ci hai purificati come si purifica l’argento.62 Ci hai fatto cadere in un agguato, hai stretto i nostri fianchi in una morsa. 68 Hai fatto cavalcare uomini sopra le nostre teste» (Sal 66 (65), 10-12). 64 Poiché diranno: «Hai fatto cavalcare uomini sopra le nostre teste», si capisce che devono avere sopra di loro un superiore stabilito per rappresentare Dio e che loro temono nel monastero. 65 E proseguendo questo testo, diranno ancora al Signore, molto a proposito, quando saranno già nel secolo futuro: «Siamo passati per il fuoco e per l'acqua, e ci hai fatto entrare nel riposo», (Sal 66 (65), 12: Vulg.)  66 in altri termini: «Siamo passati attraverso le amarezze imposte alle nostre volontà e, servendo nell'obbedienza, siamo giunti al riposo offerto dalla tua bontà».

67 Ma questa obbedienza sarà accetta a Dio e gradevole agli uomini, se il comando ricevuto verrà eseguito senza tiepidezza o lentezza e tantomeno con mormorazioni o proteste. 68 Perché l'obbedienza che si presta agli uomini è resa a Dio. Come dice il Signore ai dottori: «Chi ascolta voi, ascolta me». (Lc 10,16) 69 E dice altrove: «All’udirmi, subito mi obbedivano» (Sal 18 (17),45). 70 Dunque, i discepoli devono prestare obbedienza con slancio e generosità, poiché «Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7). 71 Infatti il discepolo obbedisce malvolentieri, non tanto se si lamenta con noi a parole ma anche solo se si lamenta nel suo cuore con Dio di ciò che fa di malanimo. 72 E nonostante egli adempia ciò che gli è stato comandato, non compie un atto gradito a Dio, il quale scorge 1a mormorazione nell'intimo della sua coscienza. 73 E nonostante egli faccia ciò che gli viene ordinato, tuttavia, siccome lo fa controvoglia, 74 il Signore non gli concederà alcuna ricompensa per la sua azione perché Dio, che subito esplora il suo cuore, avrà trovato in lui una disposizione triste nel compiere questa azione.

 

[XVIIII] Quando viene l'ora dell'ufficio divino i fratelli devono affrettarsi immediatamente verso l'oratorio.

Risposta.

1 Quando il colpo dato sul segnale nell’oratorio avrà avvertito che è venuta l’ora di Dio, chi sta lavorando si sbarazzi immediatamente del suo lavoro, gli artigiani depongano gli arnesi, i copisti non finiscano la lettera incominciata. 2 Ogni mano di fratello lasci quel che faceva. E subito con gravità si affretti il piede verso l’oratorio, la mente verso Dio, perché tutti si trovino immediatamente riuniti per la prima orazione. 3 E come api al miele, brulichi ronzando lo sciame dei fratelli che entrano nell’oratorio, 4 in modo che lo spazio del sacro oratorio che prima era silenzioso, ben presto si riempia del clamore dei salmi, e il silenzio del luogo santo passi alle officine e sui lavori abbandonati.

5 Ogni volta poi che all’oratorio si dà il colpo sul segnale, subito tutti all'udirlo, prima di accorrere, si facciano il segno di croce sulla fronte, rispondendo Deo gratias.

 

[XX] Quanti passi deve essere lontano il fratello, perché sia tenuto ad accorrere all'oratorio, lasciando il lavoro?

Risposta.

1 Quando suona il segnale percosso dall’abate, il fratello che sta lavorando, sia egli solo o siano in molti, subito, lasciato il suo arnese, calcoli rapidamente se debba affrettarsi verso l’oratorio o no, valutando la distanza a occhio. 2 E il criterio di scelta sia questo: che debba affrettarsi con gravità verso l’oratorio, quando si trovi a cinquanta passi lontano dalla soglia del monastero. 3 Se la lontananza del luogo supera questa misura, non ci vadano, 4 ma restando sul posto, abbandonato l’arnese che avevano in mano, dicano anch’essi per proprio conto a bassa voce l’opera di Dio, piegando il capo tutte le volte che si piegano le ginocchia nell’oratorio.

5 Oppure, nel caso che il fratello abbia da fare qualche lavoro urgente, dica per proprio conto i salmi unendone tre insieme, però con i loro Gloria, 6 perché quei Gloria che si dicono tra un salmo e l’altro tengono il posto delle orazioni; infatti tali Gloria devono sempre essere detti da chi salmodia a capo chino.

8 Finiti questi salmi con il versetto e l’orazione, concluda egli stesso privatamente, e riprenda subito il lavoro cui stava attendendo.

9 Abbiamo detto che, se il luogo è distante più di cinquanta passi, il fratello che sta lavorando non deve più avviarsi all’oratorio, 10 Bisogna infatti evitare che i fratelli, accorrendo da lontano con troppa fretta, lo facciano non con gravità, ma in modo scomposto, andando a gara nel correre rapidamente; 11 e poi, stanchi del lungo tragitto, entrati in ritardo nell’oratorio, con il petto ansimante per la strada fatta, non riescano ad aver voce per dire il salmo.

13 E allora, se è un vero spirituale, rimarrebbe senza più speranza e con un reale smacco da parte sua; e mortificato assai per non aver meritato di adempiere l’opera di Dio né nel campo né nell’oratorio: 14 la lontananza si risolverebbe per lui in perdita dell’ora regolamentare.

15 Coloro invece che sono occupati nell’interno del monastero per necessità urgenti di utilità comune, 16 quando cessa il salmo e la comunità si prostra per l’orazione, chiedano a voce alta, rivolti all’oratorio, che i fratelli si ricordino di loro. 17 Tuttavia sul posto stesso in cui sono occupati, assolvano a voce bassa per proprio conto l’opera di Dio, seguendo le parole dette nell’oratorio. 18 Inoltre ogni volta che finisce un salmo, nel luogo stesso dove si trovano in piedi o seduti, pieghino le ginocchia per le orazioni.

 

[XXI] Dei fratelli che arrivano in ritardo all'ufficio divino.

Risposta.

1 Quando nell’ufficio notturno e mattinale e al lucernario un fratello non arriva in tempo per la prima orazione o il salmo, nell’oratorio l’abate scuoterà la testa rivolto verso di lui, per incutergli timore e poi fuori, da solo a solo, gli farà un’ammonizione, perché si corregga, 2 Se non è arrivato in tempo per la seconda orazione e il salmo, sia rimproverato duramente alla fine del salmo, lì nell’oratorio, alla presenza della comunità. 3 Se poi entra dopo la terza orazione e il salmo, immediatamente egli e i suoi prepositi siano cacciati fuori dall’oratorio, scomunicati; 4 saranno riammessi e perdonati, solo dopo che tutti egualmente abbiano fatto umile riparazione, davanti alla soglia dell’oratorio. 5 Questo però s’intende, come abbiamo detto in un precedente capitolo, per le distanze inferiori ai cinquanta passi.

6 Per Prima, Terza, Sesta, Nona, chi dopo l’avviso dato percotendo il segnale, non arriverà in tempo per la prima orazione e il primo salmo, sia duramente rimproverato nell’oratorio alla presenza della comunità. 7 Chi invece arriverà dopo la seconda orazione e il secondo salmo, sia senz’altro scomunicato e vada fuori coi suoi prepositi.

8 Chi non si troverà presente al salmo antifonico e al versetto che precede il pasto, prenda in disparte il cibo e la bevanda su cui non si sia fatto segno di croce, e senza benedizione data e ricevuta; 9 non scambi parola con nessuno, fino a che si alzino da tavola.

10 Ed è giusto che faccia il suo pasto senza parola d’uomo, dal momento che prima del pasto non ha parlato con Dio. 11 Chi poi non si trova presente al versetto di fine mensa, per rendere grazie a Dio dopo il pasto, riceva al pasto seguente lo stesso castigo di segregazione dato a colui che prima del pasto non ha parlato con Dio.

12 Questi rimproveri e scomuniche sono però stabiliti soltanto per coloro che sono in ritardo per negligenza volontaria e non perché trattenuti da faccende riguardanti l’interesse del monastero. 13 E anche se gridano di propria voce, verso l’oratorio, che ci si deve ricordare di loro nelle orazioni in quanto assenti, i fratelli li tralascino, 14 e quelli si sappiano estranei alla comunità, per il fatto che non l’interesse del monastero, ma la propria negligenza li ha tenuti lontani. 15 Coloro invece che sono occupati per l’interesse del monastero meritano nella loro assenza di essere ricordati dai presenti nell’oratorio: 16 essi che pur così trattenuti, dicono tuttavia egualmente l’opera di Dio per proprio conto sul posto.

17 Inoltre il fratello che è stato rimproverato nell’oratorio anche se non ha avuto l’ordine di uscirne, non intoni tuttavia salmo né responsorio né lezione né versetto, 18 fino a che entro l’oratorio stesso non abbia fatto riparazione per la sua colpa, curvandosi fino all’altezza delle ginocchia, e non abbia chiesto con voce umile di pregare per lui.

19 II fratello che è occupato per l’interesse del monastero, durante la sua assenza sia ricordato nell’oratorio, 20 Quelli che sono trattenuti fuori per colpa della loro negligenza o lentezza, siano tralasciati, perché è anzi una colpa che si guadagnano, non volendo essi stessi ricordarsi di Dio nelle orazioni.

 

[XXII] Nessuno deve parlare dopo compieta.

Risposta.

8 L’abate allora dica a tutti: «Orsù, fratelli, fate presto, in modo che, finito tutto, non ci sia più occasione che ci costringa a parlare. 9 Infatti è ormai l’ora di raccomandarci al Signore io e, terminata tutta l’ufficiatura del giorno, inoltrandoci nella notte, chiudere tanto la bocca per dar tregua al parlare, quanto gli occhi per un profondo sonno». 11 Compiute dunque tutte le ultime cose, mentre ancora è concessa facoltà di parlare e d’impartire qualche ordine, 12 si celebri Compieta e per ultimo dicano questo versetto: «Poni, Signore, una custodia alla mia bocca e una porta sorvegliata alle mie labbra» (Sal. 140,3). 13 Immediatamente entrino nel silenzio e si corichino nei loro letti. E si attengano a un silenzio tale che fino all’ufficio notturno si possa credere che non c’è in quel luogo fratello alcuno.

14 Dopo Compieta dobbiamo tacere perché nell’ufficio notturno si possa poi dire con ragione al Signore per prima cosa: «Signore, tu aprirai le mie labbra e la mia bocca proclamerà la tua lode» (Sai. 50,17), 15 vale a dire si possa chiedere al Signore di aprire ai notturni le nostre labbra che egli a Compieta ha chiuse sotto la sua custodia. 16 Vedi bene, tutto ciò che viene aperto, si capisce che prima debba essere stato chiuso.

17 Nel caso che, quando è tempo di silenzio, qualche bisogno ben giustificato spinga con urgenza un fratello a parlare e un fratello voglia dire qualcosa a un altro, 18 se c’è la luce del piccolo lume o di una lucerna, lo faccia con un segno della mano o un cenno del capo o un cenno degli occhi, 19 e se manca la luce, il fratello si avvicini al fratello di cui ha bisogno e dica ciò che gli occorre, però all’orecchio e a voce bassa, in modo che un terzo non lo senta, 20 Inoltre, se un fratello è costretto per una necessità a dire qualcosa dopo il sonno, prima che incominci l’ufficio notturno, 21 innanzi tutto reciti per conto suo a bassa voce il versetto regolamentare del notturno: «Signore, tu aprirai le mie labbra e la mia bocca proclamerà la tua lode», 22 e poi parli di ciò che occorre.

23 Non concediamo assolutamente a nessun fratello il permesso di mangiare qualcosa dopo Compieta o di bere anche solo dell’acqua.

24 Se dei fratelli forestieri arriveranno al monastero dopo la fine di Compieta, i fratelli della casa diano loro un po’ di ristoro, servendoli però in silenzio. 25 Le risposte siano loro date a bassa voce, perché così prescrive la regola, 26 e lavati loro i piedi, fatta poi la conclusione per conto proprio a bassa voce, li mandino anch’essi a dormire nei letti degli ospiti. 27 I portinai chiudano subito le porte e stendendosi essi pure sui loro giacigli, nel silenzio di quelle ore, cerchino di trovare ancora il sonno della notte.

28 Se un fratello sia stato sorpreso a mangiare o a bere anche semplicemente dell’acqua dopo Compieta, subisca il castigo della scomunica, in questi termini: 29 accusato il giorno seguente, stia completamente a digiuno e prenda il pasto solo al terzo giorno, dato che si è permesso cose illecite. 30 Questo castigo di scomunica resti in vigore fino a che non abbia chiesto perdono all’abate, se è presente, o ai suoi prepositi, facendo umile riparazione e promettendo di emendarsi.

 

[XXIII] Il libero arbitrio dei fratelli deve essere tenuto a freno.

Risposta.

1 II fratello che si sia proposto di fare un digiuno o di prolungarlo per l’intera giornata o di praticare un’astinenza al di sopra delle misure regolamentari, 2 e che senza ordine dell’abate voglia fare qualcosa ad arbitrio della sua volontà, 3 non ne abbia, anzi, il permesso, perché anche attraverso il bene si insinua in lui il demonio, per indurre il fratello a fare la volontà propria, 4 mentre in monastero non è lecito a un fratello di fare quel che vuole, seguendo la sua volontà.

 

[XXIIII] L’atteggiamento nella recita dei salmi.

Risposta.

1 La gravità reverente e il contegno composto nel recitare i salmi devono essere così profondi che riesca ancor più gradito al Signore di ascoltarli che non a noi di dirli, 2 secondo ciò che afferma la Scrittura: «Ti compiacerai all’apparire del mattino e della sera». 3 E anche: «Salmodiate bene in suo onore, nel giubilo, perché santa è la parola del Signore»; e ancora: 4 «Esultate davanti a lui con tremore»; 5 e: «Dite salmi al Signore con saggezza» (Sal 65 (64),9; 33 (32),3-4; 2,11; 47 (46),8). 6 Se dunque la Scrittura ordina che si salmeggi saggiamente e con rispetto, bisogna che chi salmeggia stia in piedi, con la persona immobile e il capo chino e canti lodi al Signore in atteggiamento modesto, 7 come colui che compie il suo servizio in presenza della divinità, 8 secondo l’insegnamento del profeta che dice: «Dirò salmi a te, in presenza degli angeli» (Sal 138 (137),1).

9 Inoltre chi recita i salmi deve sempre stare attento che la sua mente non vaghi altrove, 10 perché se la nostra mente se ne va via in altri pensieri, il Signore non abbia a dire di noi: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me» (Mt 15,8); 11 e a nostro riguardo pure si affermi: «Con la bocca benedicevano, ma con il cuore maledicevano» (Sal 61,5). 12 Né avvenga che, lodando Dio con la sola lingua, Dio, lo accogliamo soltanto sulla porta della nostra bocca, e dentro, nella casa del cuore, introduciamo e stabiliamo il diavolo. 13 Chi entra dentro è infatti considerato da chi lo introduce più importante di chi aspetta fuori. 14 Per tale e tanto servizio il cuore dunque deve accordarsi con la lingua nel rendere a Dio con reverenza il debito quotidiano. 15 E chi salmodia imprima in cuor suo ad una ad una tutte le parole che dice, perché ciascun versetto, se resta impresso, giova all’anima per la sua salvezza; 16 in essi si trova tutto ciò che si cerca, «perché il salmo parla di tutto quanto serve all’edificazione (1 Cor 14,3.26), 17 conforme a ciò che dice il profeta: «Salmodierò e agirò con sapienza su una via che sarà senza macchia, quando verrai a me» (Sal 101 (100),1-2). 18 Colui il cui nome risuona nella voce, si trovi pure nel pensiero di chi salmodia. 19 Salmodiamo dunque con la voce e insieme con la mente, poiché l’apostolo dice: «Salmodierò con lo spirito, salmodierò pure con l’intelligenza» (1 Cor 14,15). 10 Bisogna gridare a Dio non solo con la voce, ma anche col cuore.

21 Inoltre, quando si dicono i salmi, occorre evitare i colpi di tosse frequenti, gli sbadigli ripetuti e prolungati, il continuo sputar saliva; 22 o che vanga tolto il muco dalle narici.

Quando il diavolo somministrerà tutti questi ostacoli ai fratelli che salmeggiano, senza indugio chi salmeggia si segni la bocca col sigillo della croce

 

[XXV] Quale deve essere l'abate?

Risposta.

1 L’abate che è degno di governare il monastero, deve sempre ricordarsi di come viene chiamato ed adempiere con le sue opere alla funzione di superiore. 2 Si crede infatti che egli è il rappresentante di Cristo nel monastero, poiché lo si chiama con lo stesso nome, 3 secondo la parola dell'Apostolo: «Ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo» al Signore: «Abbà! Padre!» (Rm 8,15). 4 Così un tale abate non deve insegnare, istituire o comandare nulla che sia al di fuori del precetto del Signore, 5 affinché il suo ordine, il suo avvertimento o il suo insegnamento si inseriscano nello spirito dei discepoli come un lievito di giustizia divina. 6 L'abate si ricordi sempre che il suo insegnamento e l'obbedienza dei discepoli, tutte e due le cose, saranno oggetto di un esame nel tremendo giudizio di Dio. 7 Sappia l'abate che il pastore porterà la responsabilità di qualsiasi insuccesso che il padre di famiglia constaterà nelle sue pecore. 8 In compenso, se il pastore ha messo tutto il suo zelo al servizio di un gregge turbolento e disobbediente, se ha posto tutte le sue attenzioni alle loro azioni malsane, 9 il loro pastore sarà assolto nel giudizio del Signore e si accontenterà di dire al Signore con il Profeta: «Non ho nascosto la tua giustizia dentro il mio cuore, la tua verità e la tua salvezza ho proclamato, ma essi si sono ribellati contro di me». (Sal 40 (39),11; Is 1,2) 10 Ed allora, le pecore che avranno disubbidito alle sue attenzioni avranno infine per punizione il trionfo della loro stessa malattia mortale.

 

23 Nel suo insegnamento l'abate deve proprio sempre osservare quella norma dell’Apostolo che dice così: «Ammonisci, rimprovera, esorta» (2 Tm 4,2), 24 e cioè che, assumendo successivamente atteggiamenti diversi, mescolando le cortesie alle minacce, si mostrerà severo come un maestro e tenero come un padre. 25 Ciò vuol dire che deve riprendere gli indisciplinati ed i turbolenti ed incoraggiare gli obbedienti, i mansueti ed i più pazienti a fare progressi; quanto ai negligenti ed agli arroganti, lo esortiamo a rimproverarli.

32 L'abate deve sempre ricordarsi che cosa il suo nome caratterizza. Poiché «a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più» (Lc 12,48); 33 e sappia che, quando ci si incarica di dirigere delle anime, ci si deve preparare a renderne conto. 34 E quanti sono i fratelli che sa di avere affidati alle sue cure, tanto esattamente, ne sia certo, egli dovrà renderne conto al Signore per tutte queste anime nel giorno del giudizio, senza parlare dei suoi conti personali, naturalmente.

37 Anche il maestro deve sempre stare in guardia, 38 affinché in tutti i suoi ordini, in tutti i suoi insegnamenti, in tutte le sue correzioni, egli faccia vedere che siano precetti di Dio, come la giustizia lo esige, di modo che egli non sia condannato nel giudizio futuro. 39 Egli temerà incessantemente la futura valutazione che il pastore subirà riguardo alle pecore che gli sono state affidate. Poiché, mentre si preoccupa del rendiconto altrui, si faccia più attento al proprio 40 e, procurando agli altri la correzione con i suoi avvertimenti, lui stesso si corregga dai suoi vizi.

51 L'abate sarà dunque l'artigiano della santa arte di cui diremo. Non è a sé stesso che attribuirà il ministero di questa arte, ma al Signore, la cui grazia realizza in noi ogni opera da noi santamente compiuta:

 

[XXVI] Quale deve essere il preposito.

Risposta.

7 Non sia doppio. 5 Domini la sua carne secondo la misura dei santi (cf. Rm 8, 13). 8 Non segua i pensieri del suo cuore, ma la legge di Dio. 9    Non resista con animo superbo alle autorità superiori (cf. Rm 13,1). 10    Non vada in collera con i fratelli più semplici. 14    Non si lasci vincere dalla passione della carne (cf. Gal 5,19). 15    Non si comporti con negligenza. 16    Non si affretti a dire una parola inutile (cf. Mt 12,36). 17    Non metta inciampi davanti ai piedi del cieco (cf. Lv 19,14). 18 Non insegni la concupiscenza alla sua anima. 19    Non si abbandoni al riso degli sciocchi e alle facezie (cf. Pr 10,23). 20    Il suo cuore non si lasci allettare da chi proferisce parole sciocche e adulatrici (cf. Rm 16,18). 21    Non si faccia comprare con doni (cf. Es 23,8). 22    Non si lasci sedurre dalle parole dei bambini. 23    Non si affligga nella prova (cf. 2 Cor 4,8). 24    Non tema la morte (cf. Mt 10,28), ma Dio. 25 Non trasgredisca la legge per timore di un pericolo incombente. 26    Non abbandoni la vera luce per un po’ di cibo. 27    Non sia né esitante, né instabile nelle sue azioni. 28    Non muti parere, ma sia fermo e saldo nei suoi giudizi; sia giusto, esamini ogni cosa e giudichi secondo verità senza brama di gloria, sia sincero con Dio e con gli uomini rifuggendo qualsiasi inganno. 29    Non ignori la vita dei santi.  30    Non faccia il male ad alcuno per orgoglio. 31    Non segua la concupiscenza dei suoi occhi (cf. 1Gv 2,16). 32    Non lo dominino le attrattive dei vizi (cf. Sir 5,2). 33    Non tralasci mai la verità. 34    Abbia in odio l’ingiustizia. 35    Non giudichi mai con parzialità in cambio di doni (cf. Is 5,23). 36    Non condanni un innocente per orgoglio. 37    Non rida tra i ragazzi. 38    Non abbandoni la verità vinto da timore. 40    Non desideri la terra altrui. 42    Non disprezzi chi ha bisogno di misericordia (cf. Sal 9,13; Pr 11,12). 43    Non dica falsa testimonianza sedotto da un guadagno (cf. Es 20,16; Ger 5,2). 45    Non combatta la verità per la superbia del suo cuore. 47    Non lasci che la sua anima si perda per rispetto umano (cf. Sir 20,24). Non desideri vestiti eleganti. Esamini sempre le sue riflessioni. 52    Quando giudica, segua i precetti degli anziani e la legge di Dio predicata nel mondo intero.

Non parli male di nessuno. Non odii nessuno. Non mormori. Nel (fare il) bene sia un modello per i fratelli. Si esamini sempre e non smetta di pregare. Non renda male per male a nessuno.

 

[XXVII] Le specie di monaci: sia il loro ordinamento che il loro modo di agire e vivere nei cenobi.

Risposta.

 1 E’ chiaro che esistono quattro specie di monaci. 2 La prima è quella dei cenobiti, quelli cioè che vivono nei monasteri; essi militano sotto una regola ed un abate.

3 In seguito la seconda specie è quella degli anacoreti, cioè degli eremiti. Non è nel recente fervore della conversione ma nella prova prolungata in un monastero 4 che hanno appreso a combattere il diavolo, ormai istruiti grazie all'aiuto di molti, 5 e ben formati nelle linee di combattimento dei loro fratelli alla solitaria sfida del deserto. Essi sono ormai capaci di sostenere con sicurezza il combattimento contro i vizi della carne e dei pensieri, senza l'aiuto di altri, con la loro sola mano ed il loro solo braccio, con Dio ed il loro spirito.

6 La terza e ripugnante specie di monaci è quella dei sarabaiti. Farei meglio a chiamarli ancora laici, se la tonsura dello stato religioso (che portano) non me lo impedisse! Costoro non sono stati messi alla prova da nessuna regola, così come si prova l'oro nel crogiuolo, né da questo maestro che è l'esperienza, ma sono diventati molli come piombo. 7 Con i loro atti, restano ancora fedeli al secolo, e li vediamo mentire a Dio con la loro tonsura. 8 A due o tre, oppure soli, senza pastore, chiusi non negli ovili del Signore, ma nei loro, hanno per legge la volontà dei loro desideri. 9 Tutto ciò che pensano e decidono, lo dichiarano santo: ciò che non vogliono, pensano che sia vietato. 10 E quando cercano di avere a loro disposizione personale cellette, cofanetti e misere cosette, ignorano che così perdono le loro povere piccole anime.

11 A costoro aggiungete i convertiti di fresca data, dallo sfrenato fervore. Essi pensano che il deserto sia un luogo di riposo 12 e, senza pensare che il diavolo li spii e voglia far loro del male, tanto sicuri quanto inesperti, impegnano con lui un combattimento singolare. Senza nessun dubbio cadranno nelle fauci dell’esperto lupo.

13 La quarta specie di monaci, — non si dovrebbe neppure nominarla ed io farei meglio a passarla sotto silenzio piuttosto che parlare di gente simile, — 14 la si chiama la specie dei girovaghi. Tutta la loro vita, vagando nelle varie province, si fanno accogliere tre o quattro giorni nelle celle e nei monasteri dei vari monaci. 15 Così, pur volendo essere ricevuti ogni giorno di nuovo da gente diversa, come si addice all'arrivo di un ospite,

72 Ogni giorno entrano nuovamente in celle diverse, come umili ospiti che però inclinano soltanto la testa e che, in seguito, con superbia e come degli ingrati, scapperanno dopo due giorni. 73 Come gente a cui non piace il modo di vivere ed agire di questi vari ospiti e la disciplina di tutti i monasteri (in cui vengono accolti), preferiscono vagabondare piuttosto che fissarsi in un posto. 74 Errando incessantemente in vari luoghi, ignorano dove affrontare le loro malattie e, per colmo, non sanno dove verrà stabilita la loro sepoltura.

75 Dunque, poiché teniamo nel massimo conto la prima specie, quella dei cenobiti, il cui servizio e la cui conferma è la volontà di Dio, ora ritorniamo alla loro regola.

76 Fratelli, il Signore ci grida ogni giorno: «Tornate a me ed io tornerò a voi (Zc 1,3) ». 77 Il nostro volgersi verso Dio, fratelli, non è dunque altro che distoglierci dal male, poiché dice la Scrittura: «Sta’ lontano dal male e fa’ il bene (Sal 34 (33), 15) ». 78 Quando ci allontaniamo da questi mali noi guardiamo al Signore 79 e subito, illuminandoci col suo viso e dandoci il suo aiuto, egli accorda immediatamente la sua grazia a chi la chiede, mostra a chi cerca, apre a chi bussa. 80 Questi tre doni sono concessi insieme dal Signore a coloro che vogliono fare la volontà di Dio, non lo loro, poiché altro è ciò che il Signore ci comanda nello spirito, altro è ciò che la carne ci costringe nell’anima, 81 e «L’uomo infatti è schiavo di ciò che lo domina (2 Pt 2,19) ».

82 Ma il Signore ha stabilito nella sua Chiesa, conformemente alla Trinità, tre gradi d'insegnamento: al primo i profeti, gli apostoli al secondo, i dottori al terzo, 83 per disciplinare con il loro ordine ed il loro insegnamento le Chiese e le scuole di Cristo. 84 Così, come pastori, chiudono ed educano le divine pecore nei santi ovili, poiché dice il Signore da parte del profeta Isaia: «Vi darò pastori secondo il mio cuore, che vi guideranno con scienza e intelligenza (Ger 3,15) » 85 ed il Signore dice egli stesso a Pietro: « Simone, figlio di Giovanni, pasci le mie pecore (Gv 21,17), 86 insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt 28,20)».

87 Pertanto, tutti coloro che hanno ancora per madre l’insipienza hanno interesse ad essere sotto l'autorità di un superiore, al fine di camminare in arbitrio di un dottore e di apprendere ad ignorare la strada della loro propria volontà. 88 Tramite il dottore, infatti, è il Signore che ci comanda, poiché, come ha detto prima, egli è con i questi medici in per sempre, «tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt 28,20)», 89 non avendo ovviamente altro scopo che di edificarli con la loro mediazione, come il Signore stesso ha detto ai suoi discepoli, che sono i nostri dottori: «Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me (Lc 10,16)». 90 Di conseguenza, se facciamo ciò che sentiamo dire da parte dei questi dottori, non compiamo più ciò che vogliamo. 91 In modo che nel giorno del giudizio il diavolo non abbia nulla in noi da poter rivendicare per prenderlo con sé nella gehenna, 92 poiché il Signore ha sempre realizzato in noi azioni che aveva giudicate degne di gloria.

40 Dobbiamo dunque disporre cuore e  corpo a militare sotto l'obbedienza santa ai precetti. 41 E per ciò che  manca alle possibilità della nostra natura, preghiamo il Signore che ci faccia portar soccorso dalla sua grazia. 42 Se, fuggendo il castigo dell’inferno  vogliamo giungere alla vita eterna, 43 fintanto che c’è ancora tempo e viviamo nei corpo e c’è agio di compiere tutte queste cose durante questa vita di  luce, 44 dobbiamo correre, e operare adesso quel che possa giovarci in eterno  45 Abbiamo dunque da istituire una scuola del servizio del Signore, 46 affinché non dipartendoci mai dal suo insegnamento e perseverando  in monastero nella sua dottrina fino alla morte, meritiamo di aver parte, attraverso le sofferenze sopportate, alla passione di Cristo, sì che anche del  suo regno ci faccia eredi con lui il Signore. Amen.

 

[XXVIII] Sulla formazione dei discepoli, la grazia dell'umiltà ed il progresso verso Dio: con quali mezzi la si acquisisce e come, una volta acquisita, la si conserva.

Risposta.

1 La divina Scrittura, fratelli, ci lancia questo grido: «chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 14,11). 2 Parlando così, ci mostra che ogni innalzamento è una forma di superbia. 8 Il profeta rivela che se ne guarda quando dice: «Signore, non si esalta il mio cuore né i miei occhi guardano in alto» (Sal 131 (130),1). E di nuovo riprende: «Non vado cercando cose grandi né meraviglie più alte di me». 4 Ma perché? «Se io ho esaltato la mia anima e i miei sentimenti non sono stati umili come quelli di un bambino svezzato verso sua madre, in ugual misura sarà la ricompensa della mia anima» (Sal 131 (130),3-4: Volg.).

5 Dunque, fratelli, se vogliamo raggiungere il vertice della somma umiltà e se vogliamo pervenire rapidamente a quell’elevazione celeste, alla quale si sale con l'umiltà della vita presente, 6 ci occorre, con le nostre azioni di progresso spirituale, innalzare questa scala che apparve in sogno a Giacobbe, elevata verso il cielo e sulla quale egli vedeva gli angeli scendere e salire. 7 Questa discesa e questa salita indubbiamente non hanno un altro significato, secondo noi, che di mostrare che con la superbia si scende e con l'umiltà si sale. 8 Quanto alla scala elevata, è la nostra vita nel mondo; quando essa ha umiliato il suo cuore e la sua testa nel tempo presente, allora erigerà fino al cielo il suo termine esaltato dal Signore, la morte. 9 D'altra parte, i lati di questa scala, lo crediamo molto fermamente, sono il nostro corpo e la nostra anima. In questi lati la divina chiamata ha inserito vari gradini d'umiltà e di regole di vita da ascendere.

10 Il discepolo sale dunque il primo gradino d'umiltà sulla scala del cielo se, mettendo sempre davanti ai suoi occhi il timore di Dio, fugge la dimenticanza in ogni momento 11 e si ricorda sempre di tutto ciò che Dio ha prescritto, rievocando sempre nel suo animo come la gehenna bruci coloro che disprezzano il Signore a causa dei loro peccati e ciò che la vita eterna riserva a coloro che temono Dio. 12 Stando in guardia ad ogni ora dai peccati e dai vizi, cioè quelli dei pensieri, della lingua, delle mani, dei piedi e della volontà propria, come pure dai desideri della carne, 13 il discepolo consideri che Dio lo osserva sempre dalla cima dei cieli ad ogni istante, che lo sguardo della divinità vede le sue azioni ovunque e che gli angeli le riferiscono tutte ogni giorno.

14 E’ ciò che il profeta ci dimostra, quando rivela che Dio in questo modo è sempre presente ai nostri pensieri, dicendo: “Dio scruta i cuori e le reni„ (Sal 7,10: Volg.).

16 E dice ancora: “Tu intendi da lontano i miei pensieri„ (Sal 139 (138),2).

18 e “il cuore del re è nella mano di Dio„ (Pr 21,1). 19 D'altra parte, per essere sollecito nel combattere i pensieri perversi del suo cuore, il fratello virtuoso dica sempre nel suo cuore: “Sarò senza macchia davanti a lui soltanto se mi guarderò dalla mia iniquità„ (Sal 18 (17),24: Volg.).

20 Riguardo alle parole della lingua, constatiamo che Dio ci è sempre presente, quando la voce del Signore dice tramite il profeta: “Chi dice menzogne non starà alla mia presenza„ (Sal 101 (100),7) 21 e l'Apostolo dice ancora: “Di ogni parola vana, ne dovranno rendere conto„ (Mt 12,36), 22 poiché “Morte e vita sono in potere della lingua„ (Pr 18,21).

23 Nel lavoro delle nostre mani constatiamo che Dio è presente quando il profeta dice: «I tuoi occhi hanno visto la mia opera incompiuta» (Sal 139 (138),16: Volg.).

24 Persino nell’andatura dei nostri piedi constatiamo che Dio è sempre presente, quando il profeta dice: «Senza iniquità, io ho corso ed andavo diritto. 28 Svegliati, vienimi incontro e guarda» (Sal 59 (58),5-6: Volg.) 26 e dice ancora: «Dove andare lontano dal tuo spirito? Dove fuggire dalla tua presenza? 27 Se salgo in cielo, là tu sei; se scendo negli inferi, eccoti. 28 Se prendo le ali dell’aurora per abitare all’estremità del mare, 29 anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra» (Sal 139 (138),7-10).

 30 Quanto alla volontà propria, ci viene proibito di farla in presenza del Signore, quando la Scrittura ci dice: “poni un freno ai tuoi desideri„ (Sir 18,30). 31 E noi chiediamo anche al Signore, nell’orazione domenicale, che la sua volontà sia fatta in noi. 32 Con ragione ci insegnano di non fare la nostra volontà, quando stiamo attenti a ciò che dice la santa Scrittura: “C’è una via che sembra diritta per l’uomo, ma alla fine conduce su sentieri di morte„ (Pr 14,12; 16,25). 33 Ed anche quando temiamo ciò che è stato detto dei negligenti: “Si sono corrotti e si sono resi abominevoli nelle loro volontà„ (Sal 14 (13),1; Volg.).

34 Persino nei desideri della carne noi crediamo che Dio ci sia sempre presente, quando il profeta dice: “Signore, è davanti a te ogni mio desiderio„ (Sal 38 (37),10). 35 D'altra parte, occorre guardarsi da ogni desiderio cattivo, poiché “la morte è posta sulla soglia del piacere„ (Passio Sebastiani 14). 36 Perciò la Scrittura ci ha dato questo precetto dicendo: “Non seguire le tue passioni„ (Sir 18,30).

37 Se dunque “gli occhi del Signore scrutano i buoni ed i malvagi„ (Pr 15,3), 38 se “Il Signore dal cielo si china sui figli dell’uomo per vedere se c’è un uomo saggio, uno che cerchi Dio„ (Sal 14 (13),2), 39 e se gli angeli a noi attribuiti riferiscono al Signore ogni giorno, giorno e notte, gli atti che compiamo, 40 dobbiamo dunque stare vigili ad ogni istante, fratelli, per paura che, come dice il profeta al salmo XIII, il Signore non ci veda in qualche momento “deviati verso il male e diventati inutili„ (Sal 14 (13),3; Volg.). 41 E dopo che ci ha salvati nel tempo presente, perché è buono e che attende che ci convertiamo ad una vita migliore, non ci dica nel giudizio futuro: “Hai fatto ciò ed io ho taciuto„ (Sal 50 (49),21; Volg.).

42 In seguito, il discepolo sale il secondo gradino dell'umiltà sulla scala celeste se, non amando la sua propria volontà, non si compiace nel compiere i suoi desideri, 43 ma imita nella sua condotta questa parola del Signore: “Non sono venuto a fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato„ (Gv 6,38). 44 E la Scrittura dice ancora: “La volontà propria procura la pena, mentre la sottomissione conquista il premio„ (Passio Anastasiae 17).

45 In seguito il discepolo sale il terzo gradino d'umiltà sulla scala del cielo se, non avendo in precedenza agito secondo il suo giudizio personale, in seguito non prende decisioni che non gli siano di giovamento, 46 secondo la parola della Scrittura: Ci sono vie che sembrano diritte per l’uomo, ma alla fine conducono su sentieri di morte (Pr 16,25). 47 E dice anche Davide: “Si sono corrotti e si sono resi abominevoli nelle loro volontà„ (Sal 14 (13),1: Volg.).48 Dice anche l'apostolo: “«Tutto mi è lecito! Sì, ma non tutto giova. Tutto mi è lecito!». Sì, ma non mi lascerò dominare da nulla„ (1 Cor 6,12). 49 Dunque, non soltanto il discepolo si guarderà da ciò, ma si sottoporrà inoltre al superiore in qualsiasi obbedienza, imitando il Signore, di cui dice l’apostolo: “Si è fatto obbediente fino alla morte„ (Fil 2,8). 50 A sua volta, la voce del Signore loda per questa obbedienza il popolo dei pagani, dicendo: “All’udirmi, subito mi obbedivano„ (Sal 18 (17),45). 51 Ed il Signore mostra che è a lui che obbediamo sotto gli ordini dell'abate, quando dice ai nostri dottori: “Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me (Lc 10,16).

52 In seguito, il discepolo sale il quarto gradino dell'umiltà sulla scala celeste, se, nell’esercizio stesso dell'obbedienza, quando gli impongono cose dure e contrarianti, o ingiustizie di qualsiasi tipo, egli abbraccia silenziosamente la tenacia della pazienza 53 e se, tenendo duro, non si scoraggia né arretra, secondo la parola della Scrittura: “Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato„ (Mt 10,22). 54 Ed il profeta ci esorta anche su questo punto dicendo: “Si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore„ (Sal 27 (26),14). 55 E volendo mostrare che il fedele deve anche sopportare per il Signore tutte le contrarietà, il profeta dice, tramite le persone che soffrono: “Per te ogni giorno siamo messi a morte, stimati come pecore da macello„ (Sal 44 (43),22). 56 E sicuri nella speranza della divina ricompensa, proseguono dicendo con gioia: “Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati„ (Rm 8,37). 57 Ed altrove, la Scrittura dice di nuovo, tramite questi stessi: “O Dio, tu ci hai messi alla prova; ci hai purificati come si purifica l’argento. Ci hai fatto cadere in un agguato, hai stretto i nostri fianchi in una morsa„ (Sal 66 (65),10-11). 58 E, per mostrare che dobbiamo stare sotto un superiore, prosegue in questi termini: “Hai fatto cavalcare uomini sopra le nostre teste„ (Sal 66 (65),12). 59 Inoltre, essi compiono il precetto del Signore con la pazienza nelle avversità e nelle ingiustizie: colpiti su una guancia, presentano l'altra; se si toglie loro la tunica, lasciano anche il mantello; costretti per una miglio, ne fanno due (Cfr. Mt 5,39-41); 60 con l'apostolo Paolo, sopportano i falsi fratelli, sopportano la persecuzione e, quando li maledicono, benedicono maggiormente (Cfr. 2 Cor 11,26; 1 Cor 4,12).

61 In seguito, il discepolo sale il quinto gradino dell'umiltà sulla scala del cielo se, con l’umile confessione della sua lingua, non nasconde al suo abate alcuno dei pensieri cattivi che si presentano al suo cuore e neanche le cattive azioni che egli ha commesso in segreto. 62 La Scrittura ci esorta di ciò dicendo: “Affida al Signore la tua via, confida in lui„ (Sal 37 (36),5) 63 e dice anche: “Rendete grazie al Signore, perché è buono, perché il suo amore è per sempre„ (Sal 106 (105),1) 64 ed il profeta dice anche al signore: “Ti ho fatto conoscere il mio peccato, non ho coperto la mia colpa. 65 Ho detto: «Confesserò al Signore le mie iniquità»” e subito “tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato„ (Sal 31 (31),5).

66 In seguito, il discepolo sale il sesto gradino dell'umiltà sulla scala del cielo, se si accontenta di ciò che è più misero e più abietto e se, come un cattivo operaio, si giudica anche indegno di tutto ciò che gli viene offerto, 67 dicendosi con il Profeta: “Mi sono annichilito senza sapere perché. Stavo davanti a te come una bestia, ma io ero sempre con te„ (Sal 73 (72),22-23: Volg.).

68 In seguito, il discepolo sale il settimo gradino dell’umiltà sulla scala del cielo se, non contento di dichiarare con la sua lingua di essere l'ultimo ed il più spregevole di tutti, lo crede inoltre nell’intimo sentimento del suo cuore, 69 umiliandosi e dicendo: «Ma io sono un verme e non un uomo, rifiuto degli uomini, disprezzato dalla gente» (Sal 22 (21),7). 70 «Sono stato esaltato, quindi umiliato e confuso» (Sal 88 (87),16: Volg.). 71 Ed il fratello così disposto dirà anche sempre al Signore: “Bene per me se sono stato umiliato, perché impari i tuoi decreti„ (Sal 119 (118),71).

72 In seguito, il discepolo sale l'ottavo gradino dell'umiltà sulla scala del cielo se non fa nulla che non sia consigliato dalla regola comune del monastero e dagli esempi dei superiori 73 dicendo con la Scrittura: Poiché la tua legge è oggetto della mia riflessione„ (Sal 119 (118),77: Volg.), 74 e “Interroga tuo padre e te lo racconterà, i tuoi vecchi e te lo diranno„ (Dt 32,7). Ovvero, l'abate con il suo insegnamento.

75 In seguito, il discepolo sale il nono gradino dell'umiltà sulla scala del cielo se proibisce alla sua lingua di parlare e se, conservando il silenzio, aspetta per parlare finché non lo si abbia interrogato. 78 Infatti, la Scrittura ci comunica che “Nel molto parlare non manca la colpa„ (Pr 10,19), 77 e che “l'uomo loquace non avrà prosperità sopra la terra„ (Sal 140 (139),12: Volg.).

78 In seguito, il discepolo sale il decimo gradino dell’umiltà sulla scala del cielo, se non è propenso e pronto a ridere, poiché sta scritto: “Lo stolto alza la sua voce quando ride„ (Sir 21,20), 79 E “quale il crepitio dei pruni sotto la pentola tale è il riso degli stolti„ (Qo 7,6).

80 In seguito, il discepolo sale l'undicesimo gradino dell’umiltà sulla scala del cielo se, quando parla, lo fa dolcemente e senza ridere, umilmente e con gravità, dicendo soltanto poche e sante parole e senza gridare con la voce. 81 Sta scritto: “Il saggio si riconosce dalla brevità del suo linguaggio„ (Sesto Sentenze 145)

82 In seguito, il discepolo sale il dodicesimo gradino dell'umiltà sulla scala del cielo se, non vivendola solo nel cuore, manifesta incessantemente la sua umiltà anche nello stesso corpo a coloro che lo vedono; 83 e cioè, se durante l'Opera di Dio, nell'oratorio, nel monastero, nell’orto, in viaggio, nei campi, ovunque, che sia seduto, in cammino o che sia in piedi, conserva sempre la testa inclinata e lo sguardo fisso a terra. 84 Pensando di essere ad ogni istante colpevole dei suoi peccati, egli crede già di comparire al terribile giudizio, 86 dicendosi incessantemente nel suo cuore questa parola che il pubblicano diceva, stando davanti al tempio con gli occhi fissi a terra: “Signore, non sono degno, io peccatore, di alzare gli occhi verso il cielo„ (Cfr. Lc 18,13). 86 Ed un discepolo che ha tali sentimenti dirà anche con il profeta: “Sono abbattuto ed umiliato fino all’estremo„ (Sal 38 (37),9; Sal 119 (118),107: Volg.).

87 Se dunque il discepolo è salito su tutti questi gradini dell'umiltà nel timore di Dio, egli ha serenamente percorso la scala di questa vita, 88 ed allora si arriva a questo amore del Signore che è perfetto e che manda via il timore. 89 Grazie ad esso, tutto ciò che si osservava prima non senza timore, si comincerà a custodirlo senza alcuno sforzo, come naturalmente, per abitudine, 90 non più per timore della gehenna, ma per l'amore di questa buona abitudine e per il gusto delle virtù. 91 Sono questi i frutti che, per opera dello Spirito Santo, il Signore si degnerà di rendere manifesti nel suo servo, purificato ormai dai vizi e dai peccati.

92 Non c’è dubbio che tale anima, una volta che avrà finito di scalare questi gradini, dopo la sua uscita dalla vita, entrerà in quella ricompensa del Signore che descrive l’apostolo, dicendo: “le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi„ (Rm 8,18). 93 Tali anime riceveranno quella vita eterna che rimane nell'esultanza di una gioia senza fine e che non conosce più fine. 84 Là vi sono «i fiori purpurei di rose che non appassiscono mai. 98 Là i boschetti in fiore in una perpetuità di verde primaverile. 96 Vi sono prati sempre freschi irrigati da ruscelli di miele, 97 erbe ai fiori di zafferano che profumano ed i campi esalano gli squisiti odori di cui sono riempiti. 98 Qui dei soffi portatori di vita eterna spirano nelle narici. 99 Qui la luce è senza ombra, il tempo sereno senza nuvola, e gli occhi fruiscono di un giorno perenne senza le oscurità della notte. 100 Qui nessun turbamento impedisce le gioie. 101 Assolutamente nessuna preoccupazione qui disturba la serenità. 102 Muggiti, urla, gemiti, lamentazioni e pianti non si sentono mai e neanche se ne parla. 103 Qui non si vede assolutamente nulla che sia brutto, deforme, spaventoso, nero, orribile o sporco. 104 La grazia regna nella serenità dei boschetti, lo splendore nella piacevole atmosfera; gli occhi incessantemente aperti si riempiono di bellezza e d'eleganza, 105 e le orecchie non ricevono assolutamente nulla che possa turbare lo spirito. 106 Infatti, in questo stesso posto risuonano costantemente gli strumenti che accompagnano gli inni, che gli angeli e gli arcangeli cantano a lode del Re. 107 Amarezza ed asprezza di fiele non hanno qui posto. 108 Qui non si sono mai uditi tuoni; fulmini e lampi non sono mai apparsi. 109 Questi rovi producono la cannella e gli arbusti scaturiscono il balsamo. 110 Il profumo dell'aria diffonde felicità in tutte le membra. 111 Gli alimenti non producono qui alcun escremento. 112 Allo stesso modo, infatti, che le orecchie si alimentano di buone notizie, le narici di buoni odori, gli occhi di buoni spettacoli, così il pasto stesso non può dar luogo alla digestione», 113 poiché il nutrimento dell'amore non consiste in cibo e bevanda, ma in vista, odorato ed udito, 114 «allo stesso modo qui, il pasto che entra nella bocca, dolce da gustare come miele, acquista nella bocca di ciascuno il sapore che gli è più piacevole. 115 Infine, non appena l’anima desidera qualcosa, un effetto immediato risponde al suo desiderio» (Passio Sebastiani 13-14). 116 In questi piaceri, per di più, ed in questa gioia, l'età non deve più temere la vecchiaia, né la vita il suo fine, né simili piaceri il presentimento della morte. 117 E neppure, in questa gioia di ricchezze immortali, chi le possiede scompare e nessun erede gli succede, poiché non conoscono più la morte coloro che, morendo una volta, hanno acquistato la vita eterna al prezzo di buone azioni.

118 Tale è la patria celeste dei santi. 119 Beati coloro che potranno alzarsi fino a questa regione immortale grazie alla scala dell’osservanza nel tempo presente, salendo i gradini dell'umiltà, 120 per rallegrarsi con Dio in questa esultanza perpetua, che Dio ha preparato per coloro che lo amano, 121 che osservano i suoi comandamenti 122 e che hanno il cuore puro.

 

[XXVIIII] Ancora sull'umiltà, sull'obbedienza e sulla superbia che deve essere calpestata.

(Si veda la pagina dedicata alle "Sentenze di Novato il cattolico)

Risposta. 

1 Nella Chiesa parliamo ai secolari in un modo, ma dobbiamo parlare a voi in un altro modo. 2 A quelli talvolta riferiamo ciò che fa rumore e non ha valore. 3 Poiché essi, come persone di nessun rilievo, si dilettano del rumore delle parole, non delle qualità di Dio 4 Al contrario voi, nel nome di Cristo, non vi rallegrate di ciò, ma desiderate ascoltare il verbo della salvezza 5 nel quale siete stati chiamati e, rivestiti nel mondo di lugubri vesti, aspettate quelle migliori (quando starete) con Dio. 6 L'avete già imparato e lo sapete. Ora qui avete molto tempo per lottare contro 7 l'avversario che non è fuori da voi, ma è dentro le vostre viscere: 8 noi abbiamo il nemico nelle nostre stesse membra. 9 In effetti, "La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; ... sicché voi non fate quello che vorreste" (Gal 5,17); 10 vedete che questo avversario è dentro.

11 Invece l'avversario è vinto solo con l'umiltà e la carità, 12 poiché anche lo stesso Signore Gesù Cristo non vinse il diavolo se non dopo che si fosse umiliato, 13 umiliato inoltre non per necessità, ma per carità. 14 Se infatti non ci avesse amato, non si sarebbe fatto umile. 15 Si è fatto umile per l'amore verso di noi. 16 Se, dunque, colui "che ha fatto il cielo e la terra, il mare e quanto contiene" (Sal 146 (145),6), Signore di tutti gli angeli, che creò tutte le cose, si è fatto umile per noi, 17 per quale motivo noi rifiutiamo l'umiltà a favore di noi stessi.

18 Pertanto, la prima via della salvezza è per noi l'umiltà. 19 Quando inizierai a cercare l'umiltà ed a sostenerla a causa di Dio e della stessa comunità …. e 20 benché siate uguali nella stessa comunità, ognuno deve considerare l'altro superiore a se stesso, quantunque non sia più importante: 21 e (riuscirà a) fare ciò solo chi possiede l'umiltà. 22 Ai servi di Dio non è necessario altro al di fuori dell'umiltà, 23 poiché l'umiltà, quando entra nell'uomo, lo rende obbediente; 24 in verità chi diventa obbediente, o chi desidera l'obbedienza, non obbedisce agli uomini ma a Dio. 25 Così infatti dice il Signore: "Chi ascolta voi ascolta me", e chi mi ascolta, ascolta "colui che mi ha mandato" (Lc 10,16).

26 L'abate è il Padre, i fratelli che seguono sono i patriarchi. 27 E chiunque è diverso tra di voi, chi forse ha una vita buona, una migliore continenza, delle veglie migliori, un migliore controllo del corpo, costui è padre per imitazione.

28 Perciò agite tra di voi innanzitutto conservando l'umiltà, non per essere visti umili dagli uomini, ma da Dio. 29 Questa è la vera umiltà che deve essere dimostrata a Dio, non agli uomini. 30 Infatti, l'umiltà che viene dimostrata agli uomini è un inganno, non umiltà, e deve essere del tutto estranea ai servi di Dio. 31 Certamente non giudico ciò perché vi sono tali servi tra di voi, ma (vi) esorto affinché questo morbo non vi conquisti con astuzia. 32 Poiché siamo uomini e parliamo a degli uomini. 33 Perciò innanzitutto dovete dimostrare umiltà ai vostri fratelli perché (la possano) imitare, affinché la stessa umiltà sia fondata nel cuore secondo Dio. 34 Quando, infatti, l'umiltà sarà fondata nel tuo cuore per Dio, allora Dio la donerà ad un tale, cioè a tuo fratello, affinché comprenda ed imiti la tua umiltà. 35 Infatti, se la (tua) umiltà non fosse fondata nel tuo cuore, Dio mostrerebbe al tuo fratello che la tua umiltà è falsa.

36 Pertanto la prima via della salvezza è questa: mantenere una sincera umiltà per Dio, non per l'uomo, 37 da ciò (consegue) di non essere graditi agli uomini, ma di essere graditi a Dio.

38 L'obbedienza segua l'umiltà – poiché non si può essere obbedienti se non si è umili – 39 e obbedirete a voi stessi come le membra si obbediscono tra di loro. 40 Forse che le membra si obbediscono con una decisione e non per naturale carità? 41 Se il piede si fa male, vi rimedia la mano, affinché tutto il corpo non soffra e cada, 42 come dice l'Apostolo: "Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme" (1 Cor 12,26). 43 Da dove viene ciò se non dalla carità? 44 Pertanto, se vi amerete a vicenda, nulla vi sconvolgerà. 45 Nessuno cadrà nel peccato: né per il cibo, né per le bevande, né per l'abito, né per le veglie, né per i lavori, né per la cucina, né per gli incarichi. 46 Allora, se vi amate a vicenda e se qualcuno farà ciò che non dovrebbe fare, quella stessa carità non permetterà che vi offendiate.

47 Perciò, fratelli, rivestitevi di umiltà ed obbedienza, a cui consegue la pace, affinché possiate essere figli della pace 48 "Perché la carità", come dice l'Apostolo, "è il vincolo della perfezione" (Col 3,14: Vulg.) 49 Quando ci si riveste di umiltà si imita Cristo che "umiliò se stesso" per noi 50 Quando ci si riveste di obbedienza si imita Cristo che "si fece obbediente fino alla morte " (Fil 2,8). 51. Quando ci si riveste di carità si imita Cristo, "perché Dio è amore" (1 Gv 4,8).

52 Ma prima cercate di vincere i vostri vizi dentro (voi stessi). 53 In primo luogo vi sia la pace dell'anima e del cuore, secondo il precetto di Dio, in modo che ci siano due vincitori contro il modo di vivere del corpo e la corruttibilità: il precetto di Dio ed il tuo consenso, 54 Poiché la circostanza è questa: il medico, l'ammalato, la malattia. 55 Se questo malato si arrende alla malattia il medico sarà sconfitto, si uniranno in due contro uno ed il medico sarà vinto. 56 Se invece il malato confida nel medico, la malattia sarà vinta. 57 Il medico è Cristo, i malati siamo noi, il morbo dell'infermità è la consuetudine del peccato. 58 Certamente, chi in parte ha rinunciato al mondo, sebbene viva nel mondo, è badi a ciò a cui dovrebbe restare unito: o alla malattia o al medico. 59 Se rimane unito al medico, come ho detto, sconfigge la malattia. Se rimane unito alla malattia, il medico ne soffre.

60 È per questa ragione che il Vangelo ci chiama nel mondo e dice: "Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui" (Mt 5,25). 61 Non ci insegna che dobbiamo corrispondere all'avversario diavolo, ma che dobbiamo corrispondere all'avversario precetto divino, 62 che contrasta i nostri mali e si oppone alle nostre abitudini, affrontando le nostre iniquità. 63 Allorché acconsentiamo al nostro avversario, cioè al precetto divino, la malattia è sconfitta. 64 Se acconsentiamo, ci facciamo concordi con il precetto di Dio e lo accettiamo quasi come giogo di Dio, 65 Per merito di ciò che dice il Signore: "Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo ...Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero" (Mt 11,28-30).

67 Ecco cos'è talmente leggero? 68, Inoltre, considera quanto temono di essere depredati coloro che hanno qualcosa in questo mondo. 69 Quanto temono di perdere ciò che hanno comprato. 70 In quanti modi sono afflitti, come se fossero affannati sotto un pesantissimo carico. 71 Voi invece non dovete preoccuparvi d'altro, se non di fare ciò che l'abate comanda. 72 Voi siete già sotto il giogo: non pensare di cosa vivrai, perché non ci devi proprio pensare. 73 C'è chi ti guida, c'è chi si preoccupa di te. 74 Non dovete assolutamente avere neanche il pensiero del cibo o dell'abito. 75 Ciò l'abate ti darà, consideralo come se l'abbia dato Dio: poiché questa è vera umiltà.

76 Se per caso uno ha di più e l'altro di meno, ritenete anche ciò come compiuto da Dio. 77 Se uno è seduto ad un tavolo e l'altro ad un altro tavolo, se l'abate ordina ed approva così, ritenete anche ciò come ordinato da Dio. 78 Di conseguenza non voglio che tu accusi (qualcuno) e dica: "Domani mi siederò qui". 79 Non voglio che tu prenda l'abitudine di farti dare qualcosa da Dio come fosse un bisogno urgente.

80 Nel caso che non ci sia niente da dare, oppure non si percepisce che sia stato dato, considera o che non c'è niente da dare o che è stato giudicato vantaggioso non darlo. 81 Se, fratelli, serberete ciò, avrete senz'altro la vita eterna.

82 Non permettetevi di discutere con parole malvage. 83 Nel caso che qualcuno soccombesse al vizio del parlare in modo perverso, impediteglielo subito e dite immediatamente: "Non farlo, fratello, (così) commetti peccato!" 84 Dovete comportarvi così perché state insieme ed avete un solo abate. Inoltre dovete essere abati l'uno dell'altro. 83 Perché, dunque, solo uno? L'abate ha due occhi e due orecchie. 86 Egli non può sentire tutti o vedere tutti.  Oppure, non ha bisogno di andare da qualche parte per provvedere a qualcosa? 87 Siete abati l'uno dell'altro e, così come temete l'abate se è presente, altrettanto quando è assente, perché Dio è (sempre) presente. 88 Senza dubbio temi ciò, abbi paura di ciò, perché Dio è sempre presente. 89 E se uno si prende cura di molti, tanto più voi tutti dovete prendervi cura (dei fratelli), 90 in modo che nessuno escogiti qualcosa di cui arrabbiarsi, di cui soffra, di cui si offenda, di cui si lamenti e che lo faccia pensare che il suo impegno di lunga durata sia andato perso.

91 Poiché allora tutte queste cose ci possono essere utili se avremo umiltà, obbedienza e carità. 92 Non c'è altra via per andare a Dio se non l'umiltà, l'obbedienza e la carità. 93 Questa è la via, la verità e la vita. 94 Perché mortificarsi, digiunare due, tre, quattro giorni e spesso settimane, diventa un'origine di orgoglio per i fratelli che pensano che ciò che essi fanno, altri non riescono a farlo. 95 Pensano che sia qualcosa di smisurato ciò che un altro non riesce a fare. 96 Altrimenti cammina a piedi nudi e ritiene che solo lui riesce a farlo: oppure forse non beve nemmeno l'acqua mista (col vino). 97 Questa prova è temporanea perché non può sempre fare ciò. 98, (Il fratello) piuttosto consideri di più l'umiltà, consideri (di più) la pietà, la carità, l'obbedienza. 99 Deve, dunque, applicarsi con ardore a queste cose quasi come un buon atleta per spezzare le forze del corpo, per domare il sangue e la carne, ma non se ne vanti, per non perdere ciò che fa.

101 (Consideriamo) per esempio quel fariseo che salì al tempio a pregare: erano forse poche le sue opere che elencava? 102 Erano immense: digiunare due volte alla settimana, dare ai poveri le decime di tutto ciò che possiede, non commettere frodi, non commettere adulterio: ciò è incalcolabile. 103 Ma poiché si vantava con superbia, tutto ciò che aveva fatto era (solo) superbia (Cfr. Lc 18,9-14). 104 Perciò Davide dice: "Non mi raggiunga il piede dei superbi e non mi scacci la mano dei malvagi. 105 Ecco, sono caduti i malfattori" (Sal 36 (35),12-13). 106, Dove sono caduti? Nell'errore della superbia. 107 Per questo motivo, infatti, cadde il diavolo: è caduto nell'errore a causa della superbia.

108 Pertanto, la superbia non sia assolutamente permessa ai servi di Dio. 109 Colui che vive già così in modo diverso, chi ha costruito meglio la propria vita, non sia come quel fariseo. 110 Al contrario, quel pubblicano umiliato non osa nemmeno alzare gli occhi al cielo 111 ed è lodato dalla sentenza del Signore, ritornando alla sua casa più giustificato di quel fariseo. 112 Certamente sappiamo per esperienza, sia dalle stesse Sacre Scritture che dai nostri fratelli, che chiunque osserva la via dell'umiltà progredisce e non perisce.

 

[XXX] Sul combattere la libidine e sui gradi della castità, ovvero in che modo si raggiunge la purezza della castità.

Risposta.

Ecco come l’Apostolo descrive le membra di questo corpo: « Mortificate le vostre membra terrene, cioè la fornicazione, l’impurità, la libidine, la prava concupiscenza e l’avarizia che è un’idolatria » (Col 3,5).

Ha messo al primo posto la fornicazione, che consiste in una unione carnale. Nomina come secondo membro del corpo di peccato l’impurità, che a volte, nello stato di sonno o di veglia, al di fuori di ogni unione sessuale, sorprende l’anima che non è vigilante. La legge condannava e proibiva l’impurità in quanto, oltre ad allontanare chi se n’e-ra macchiato dalla partecipazione ad ogni banchetto sacro, ordinava pure di segregarlo dall’accampamento in cui stava raccolto il popolo. Ecco la testimonianza della sacra Scrittura: « Chi, essendo immondo, avrà mangiato delle carni dell’ostia pacifica che è stata offerta al Signore, perirà davanti al Signore » (Lv 7,20 (LXX)); e «Tutto ciò che toccherà un immondo diventerà immondo » (Nm 19,22).

Nel Deuteronomio si legge: « Se ci sarà tra voi qualcuno che sia divenuto immondo la notte nel sonno, esca dagli alloggiamenti, e non vi ritorni prima di essersi lavato con acqua, la sera; tramontato il sole rientrerà nel campo »(Dt 23, 10-11).

 

[XXXI] Distinguerò in sei gradi le vette della castità, benché tra l'una e l'altra di queste vette la differenza d'altezza sia notevole.

Risposta.

Il primo grado di castità è che il monaco non soccomba, durante la veglia, agli assalti della carne.

Il secondo è che la sua mente non s’indugi sui pensieri impuri.

Il terzo, che la vista di una donna non gli risvegli nep-pur debolmente dei sentimenti di concupiscenza.

Il quarto, che mentre è sveglio non provi nella sua carne il movimento più leggero e innocente.

Il quinto, che quando il tema di una conferenza o l’argomento di una lettura fanno menzione della generazione umana, la mente non si lasci sfiorare dal più leggero assenso all’atto voluttuoso.

Il sesto grado è che il monaco non sia turbato da fantasmi che rappresentano donne, neppure durante il sonno. È vero che noi riteniamo immune da colpa questa illusione notturna, tuttavia è segno di una concupiscenza che si nasconde nelle profondità del nostro essere.

È poi certo che l’illusione di cui trattiamo si produce in diversi modi.

 

[XXXII] Chi desidera distruggere le suggestioni del nemico deve confessare tutto al suo superiore senza vergognarsi.

Risposta.

È una vita molto adatta per arrivare a ben distinguere se essi sono fondati sulle basi di una umiltà vera, oppure falsa e immaginaria. Ora, per giungere facilmente a un tale risultato, vengono naturalmente convinti a non tener nascosto in nessun modo, per falso pudore, alcun pensiero che s’annidi con lusinga nel loro cuore, e sono indotti invece a manifestarli immediatamente al loro superiore, non appena se li vedono sorgere. Vengono invitati a diffidare del loro proprio giudizio intorno a quei pensieri; e a ritenerli buoni o cattivi così come, dopo attento esame, li avrà ritenuti e giudicati lo stesso padre anziano. Ne risulta che l’astuzia del demonio non potrà in nessun modo assalire il giovane, approfittando della sua inesperienza e della sua ignoranza, e tanto meno potrà circuirlo con le sue frodi, vedendolo difeso dal discernimento del più anziano, e non chiuso nell’esperienza sua propria. Così il nemico non riuscirà a indurre il giovane a nascondere al padre anziano le sue suggestioni che, come frecce di fuoco, il demonio avrà cercato di lanciare in direzione del suo cuore. Il nemico, nonostante tutta la sua astuzia, non riuscirà a ingannare e far cadere il giovane in altro modo, se non col convincerlo a nascondere al padre anziano i suoi pensieri per orgoglio o per vergogna. I nostri padri indicano come un segno generale, evidente e dimostrativo della condotta diabolica, quando noi ci asteniamo per vergogna di manifestarla al padre anziano.

 

[XXXIII] Con quale ordine si riesce a raggiungere la perfezione, per la quale si ascende dal timore di Dio a cui segue giustamente la carità.

Risposta.

1.    «Il principio della nostra salvezza e la sua difesa è il timore di Dio (cf. Pr 9, 10). Grazie al timore di Dio coloro che s’avviano per il cammino della perfezione conquistano il principio della conversione, la purificazione dai vizi e il possesso sicuro delle virtù. E quando quel timore si è ben compenetrato nello spirito dell’uomo, produce il disprezzo di tutti i beni della terra, la dimenticanza dei parenti e la ripugnanza nei confronti del mondo stesso. Poi, da questo disprezzo e dalla rinuncia ad ogni propria facoltà nasce l’umiltà.

2.    L’umiltà viene comprovata da questi indizi: se essa mantiene mortificata ogni sua volontà; se essa non terrà celato, non solo alcuno dei suoi atti, ma nessuno dei suoi pensieri al proprio superiore; se nulla sarà riservato al proprio discernimento, ma tutto verrà rimesso al suo giudizio e verranno ascoltati avidamente e volentieri i suoi consigli; se in tutto egli sarà pronto ad obbedire e conserverà la costanza della pazienza; se non soltanto non sarà lui a recare ingiuria ad altri, ma non si lamenterà e non si rattristerà per quelle recate a lui da altri; se nulla egli farà che non sia suggerito dalla regola o dall’esempio dei padri anziani; se egli si accontenterà anche delle posizioni più umili e se considererà se stesso come un pessimo operaio, immeritevole di tutto quello che gli viene offerto; se considererà se stesso inferiore a tutti gli altri in modo da non ammetterlo soltanto a parole, a fior di labbro, ma nell’intimo del proprio cuore; se saprà dominare la propria lingua, senza mai alzare troppo la voce; se non sarà troppo facile e pronto ad abbandonarsi al riso.

3. A tali indizi e con segni simili a questi si può riconoscere la vera umiltà. E quando essa sarà da te realmente posseduta, ben presto essa ti farà risalire a un grado superiore, a quella carità cioè che esclude il timore (cf. 1 Gv 4, 18), e sarà per suo merito che tu comincerai a compiere spontaneamente e senza alcuna fatica quello che prima tu non adempivi senza pena e timore. Il tuo comportamento non sarà dettato dalla visione e dalla paura di una condanna, ma dall’amore del bene per se stesso e dalla gioia prodotta dalla virtù».

 

«E perché tu possa raggiungere questa meta nel tuo dover vivere in comunità, ti occorrerà prendere esempi da imitare, in vista di una vita perfetta, da parte di un numero molto ristretto, fosse pure di uno o di due, e non certo di molti.

 

1.    «E allora, perché tu possa giungere a questo fine preciso e perseverare fino in fondo nell’osservanza di queste norme spirituali dovrai necessariamente attenerti, entro il monastero, a queste tre condizioni: ecco anzitutto le parole del salmista: “Io, come un sordo, non prestavo ascolto e stavo come un muto senza aprire la mia bocca. Ed ero divenuto come un uomo incapace di udire, senza possibilità di rispondere” (Sal 37 [38], 14-15). Anche tu comportati come un sordo, un muto e un cieco. All’infuori di colui che ti sei proposto come un modello da imitare in vista della sua vita esemplare, procura, come fossi un cieco, di non vedere quanto ti si offre di meno edificante, in modo da evitare di essere indotto, per l’autorità e la condotta stessa di coloro che così si comportano, a compiere e fare quello che tu stesso prima avevi condannato.

2.    Se t’avverrà di sentir dire che qualcuno non è obbediente, è ribelle e maldicente, o comunque è tale da tenere una condotta diversa da quella che ti era stata insegnata, non lasciarti turbare, e tanto meno non indurti, per tali esempi, ad imitarlo. Come se tu fossi sordo, trascura tutti questi discorsi inutili, come se tu mai avessi dovuto ascoltarli. E se a te o a qualunque altro saranno rivolte ingiurie o fatte offese, conservati insensibile e ascolta gli insulti come si comporta il muto che non risponde per averne vendetta. Tieni presente nel tuo cuore, fino a ricantarne le parole, questo versetto del salmista: “Ho detto: Veglierò sulla mia condotta per non peccare con la mia lingua. Porrò un freno alla mia bocca, mentre l’empio sta dinanzi a me. Sono rimasto in silenzio, mi sono umiliato e mi sono perfino astenuto dal dire cose buone” (Sal 38 [39], 2-3).

3.    Ma, ancora più degli altri suggerimenti, procura di mettere in atto questo consiglio, destinato a coronare e a completare i tre precetti dettati in precedenza: cerca di comportarti da stolto in questo mondo, secondo il suggerimento dell’Apostolo (cf. 1 Cor 3, 18), proprio per essere sapiente. Perciò non metterti a disapprovare e a giudicare quello che ti verrà comandato, ma procura di praticare sempre l’obbedienza con semplicità e con fede, ritenendo santo, utile e saggio unicamente tutto quello che la legge di Dio o il criterio del superiore ti avrà comandato. Una volta posti i tuoi fondamenti su questo sistema di vita, tu riuscirai a perseverare per sempre in tale disciplina, e così nessuna tentazione del nemico e nessuna deviazione t’indurrà ad abbandonare il monastero».

«Non devi sperare che la tua pazienza derivi dalla virtù degli altri, nel senso che tu riesca a possederla soltanto quando non venga provato da altri. Infatti, impedire che questo avvenga non è affatto in tuo potere. Invece essa si formerà grazie alla tua umiltà e alla tua generosità, e perciò essa dipende dal tuo libero arbitrio».

«E perché tutti questi suggerimenti, disseminati fin qui in un discorso abbastanza ampio, restino fissati più facilmente nel tuo animo e aderiscano tenacemente nei tuoi sensi, io ne trarrò un breve riassunto affinché tu possa, proprio nella brevità e nel compendio di tutti questi precetti, mantenerne il ricordo nella loro complessità. Ascoltane dunque tutta la serie ordinatamente in modo che tu possa, senza troppe difficoltà, salire fino alla sommità della perfezione.

Il principio della nostra salvezza e della nostra saggezza è dunque il timore del Signore (cf. Pr 9, 10). Dal timore del Signore deriva una compunzione salutare. Dalla compunzione del cuore scaturisce la rinuncia, vale a dire, la privazione volontaria e il disprezzo di tutti i beni. Da questa privazione di tutto nasce l’umiltà. Dall’umiltà si genera la mortificazione di ogni volontà propria. Per effetto della mortificazione della volontà vengono estirpati tutti i vizi. Con l’eliminazione dei vizi sorgono, fruttificano e crescono le virtù. Con lo sbocciare delle virtù si acquista la purezza del cuore. Con la purezza del cuore si raggiunge il possesso della perfezione, tutta propria della carità apostolica».

 

[XXXIIII] L'osservanza e la disciplina della regola stabilita, e che nessuno abbia la sfacciataggine di parlare o di pregare con colui che è stato sospeso dalla preghiera (comune), affinché non venga anche a lui attribuita la colpa.

Risposta.

1. Una volta dunque posto fine alla recita dei Salmi, allorché, come in precedenza si è rilevato, è giunta al suo termine la riunione del giorno, ognuno dei monaci si guarderebbe bene dal trattenersi, fosse pure per poco, o mettersi a parlare con qualche altro; al contrario, nessuno, durante tutto il corso della giornata, presume di lasciare la propria cella o di abbandonare il lavoro, a cui è solito attendere, a meno che non sia chiamato per l’esigenza di qualche ufficio necessario. Una volta usciti dalla cella, essi eseguono quell’ufficio senza che tra loro si tenga una conversazione di qualsiasi genere; ognuno esegue il compito che gli è stato assegnato, e intanto, richiamando alla memoria qualche Salmo o qualche passo della Scrittura, esclude ogni via e tempo non soltanto per intese dannose o per consigli nocivi, ma anche per conversazioni inutili. In questa forma l’attività della bocca e del cuore resta continuamente impegnata nella riflessione dello spirito.

2.      Con grande rigore si cerca di evitare che qualcuno si trattenga, specialmente se giovani, assieme ad altri anche per poco tempo, o che si ritirino in disparte, o che siano sorpresi con le mani l’uno in quelle dell’altro. Se poi alcuni, contro le disposizioni di questo regolamento, vengono ritenuti colpevoli di qualche simile infrazione, una volta indicati come ribelli e responsabili di colpa non certo leggera, non potranno esimersi dal sospetto di intrighi e di intenzioni perverse. E per questa colpa, finché essi non l’avranno espiata con penitenza pubblica davanti a tutti i fratelli raccolti insieme, non sarà concesso a nessuno di unirsi alla preghiera della comunità.

Quando qualcuno, per aver commesso qualche colpa, è stato escluso dalla preghiera comune, nessuno ha il permesso di pregare insieme a lui prima che, dopo essersi prostrato fino a terra in segno di penitenza, gli sia stata concessa pubblicamente da parte dell’abate e in presenza di tutti i fratelli la riconciliazione e il perdono della colpa commessa. Del resto anche gli altri monaci, per l’istanza d’una tale disciplina, si guardano bene dall’accomunarsi alla preghiera del colpevole, poiché ritengono che colui, il quale viene privato della partecizione alla preghiera della comunità, sia dato, secondo l’indicazione dell’Apostolo (cf. 1 Cor 5, 5), in balia di Satana: così, chiunque, indotto da un senso di inconsiderata commiserazione, presumerà di comunicare con lui prima che egli sia stato riaccolto dal superiore, si renderà complice della stessa dannazione, e si sarà consegnato perciò egli stesso volontariamente a Satana, a cui era stato abbandonato queiraltro, perché si emendasse dalla sua colpa. Infatti, con tale comportamento, egli incorre in un reato più grave in quanto, trattenendosi a conversare con lui e mettendosi a pregare assieme a lui, suscita in quel tale maggiori incentivi di arroganza, e ingenera in lui peggiori motivi di ribellione. In effetti, procurandogli un tale dannoso conforto, farà in modo che s’indurisca sempre di più per il suo errore, e così gli impedirà di sentirsi umiliato per la sua segregazione dalla comunità. Per questo egli non terrà in nessun conto i rimproveri del superiore oppure penserà solo a dissimulare pentimento e perdono.

 

[XXXV] Non sia consentito entrare nell'oratorio per la preghiera diurna a chi non arriva prima della fine del primo salmo. Durante le ore della notte sia perdonabile un ritardo fino alla fine del secondo salmo.

Risposta.

1.      Colui che durante la recitazione dell’ora Terza, Sesta e Nona non giungerà alla preghiera prima che abbia termine il Salmo già iniziato, non oserà introdursi nell’oratorio e neppure associarsi a coloro che già stanno salmeggiando, ma, restando in piedi davanti alla porta dell’ingresso, attenderà la fine della celebrazione. Dopo l’uscita di tutti i fratelli, egli, inginocchiato fino a terra per penitenza, chiederà perdono per la sua negligenza e per il suo ritardo, persuaso di non poter in altra forma espiare la colpa della sua pigrizia e ben sapendo, per di più, che egli non potrà essere ammesso alla celebrazione seguente, dopo trascorse le altre ore, se non si affretterà immediatamente a dar soddisfazione, per la sua presente negligenza, con atto di vera umiltà.

2.      Invece, nelle riunioni della notte, viene concessa al ritardatario una dilazione fino alla recita del secondo Salmo, con questa riserva: prima che i fratelli, al termine del Salmo suddetto, si prostrino in ginocchio per l’orazione, egli potrà ancora affrettarsi per inserirsi nel gruppo e associarsi a tutti. Tuttavia, e fuori d’o-gni dubbio, egli dovrà subire lo stesso biasimo e la stessa penitenza, da noi descritta in precedenza, se egli sarà giunto con un ritardo superiore anche di poco al momento prima fissato.

 

[XXXVI] Quando sentono il battito (alla loro porta) non antepongano nulla all'accorrere in fretta e con entusiasmo.

Risposta.

Pertanto, quando essi stanno chiusi nello loro celle, interamente dediti al lavoro o alla meditazione, non appena odono il battito alla loro porta da parte dell’incaricato che con quel segnale, recato alle diverse celle, invita alla preghiera o all’esecuzione di qualche lavoro, ognuno d’essi, a gara, lascia il proprio posto al punto che uno, addetto all’esercizio di scrivano, non oserebbe condurre fino al termine la lettera appena iniziata: allorché giunge al suo orecchio il segnale di chi ha battuto alla porta, si alza con tutta rapidità senza interporre alcuna dilazione, neppure per quanta ne occorrerebbe per completare la figura di un’apice già cominciata; al contrario, lasciando incomplete le prime linee della lettera già iniziata, egli non si preoccupa tanto del compenso lucrativo del suo lavoro, quanto di eseguire a puntino gli ordini dell’obbedienza con tutta la prontezza dell’animo e col pensiero del buon esempio. E tale obbedienza essi l’apprezzano al di sopra del lavoro manuale, della lettura e dello stesso silenzio e quiete della cella, come pure di tutte le altre virtù, al punto di tutto posporre ad essa, contenti di tollerare qualunque danno pur di non sembrare d’avere trascurato, anche in minima parte, questo vantaggio.

 

[XXXVII] Le diverse norme per la correzione e l'emendazione dei vizi.

1. Se ad alcuno avverrà di rompere, in qualche caso, un vassoio di terracotta, quello che essi chiamano baucalide, egli non compenserà quella sua negligenza in altro modo, se non con una pubblica penitenza: allorché si saranno adunati tutti i fratelli per la sinassi, egli implorerà il perdono prostrato a terra per tutto il il tempo necessario per arrivare al termine dell’orazione, e soltanto allora egli otterrà il perdono, quando, per ordine dell’abate, gli sarà ordinato di rialzarsi in piedi.

Nello stesso modo dovrà dare soddisfazione chiunque, chiamato a compiere qualche lavoro o alla riunione consueta, arriverà con ritardo oppure, nel cantare un Salmo, commetterà qualche errore, fosse pur lieve.

2. Egualmente sarà soggetto a simile penitenza, se avrà dato risposte inutili oppure con durezza o anche con arroganza; se avrà compiuto con negligenza quanto gli era stato ordinato; se avrà mormorato, anche per poco; se, preferendo la lettura al lavoro e all’obbedienza, avrà compiuto gli uffici impostigli in modo trasandato; se, al termine della sinassi, non si sarà raccolto sollecitamente nella propria cella; se si sarà trattenuto, anche per poco, a parlare con qualche altro o si sarà ritirato in disparte con lui per qualche tempo; se avrà tenuto la sua mano in quelle dell’altro; se si sarà indugiato a parlare per qualche tempo con uno che non è il suo compagno di cella; se si sarà messo a pregare con chi è stato escluso dalla preghiera comunitaria; se avrà veduto o avrà tenuto qualche conversazione, in assenza del superiore, con qualche parente o con qualche amico secolare; se avrà tentato di ricevere una lettera o avrà cercato di rispondervi, senza il permesso dell’abate.

Per queste inadempienze e altre simili si procede a un’ammenda spirituale.

3. Vi sono poi altre mancanze che, presso di noi, non sono ammesse con nessuna diversità e che, anche da noi, sono considerate con maggiore riprensione. Si tratta delle colpe seguenti: insulti aperti; disprezzi manifesti; reazioni impulsive; comportamento libero e incontrollato; familiarità con donne; collera, risse, rivalità e litigi; pretese di un lavoro particolare; segni d’avarizia; attaccamento e possesso di cose superflue, non possedute da altri fratelli; nutrirsi fuori tempo e di nascosto di qualche cibo; altre colpe simili.

Tali mancanze non sono punite con un’ammenda di natura spirituale, come quelle accennate in precedenza, ma sono sottoposte alla pena della battiture oppure alla decisione dell’espulsione dal monastero.

 

[XXXVIII] Quanto sia illecito il gustare del cibo o della bevanda al di fuori della mensa comune benedetta.

Risposta.

Prima e dopo la refezione regolare e comune si osserva con cura straordinaria che nessuno, fuori della mensa, osi concedere qualche cibo alle proprie labbra. Se essi camminano per i giardini e per i frutteti, allorché i frutti pendono dolcemente dai rami degli alberi qua e là, e non solo si offrono spontaneamente al desiderio di chi vi passa vicino, ma talvolta, caduti per terra, restano come tra i piedi, pronti, anche solo a vederli, per essere raccolti e così accontentare la voglia del desiderio, ebbene, anche allora, quando l’opportunità e l’abbondanza suggerirebbero di soddisfare la gola perfino ai più osservanti e ai più astinenti, essi ritengono di commettere un sacrilegio, non soltanto nell’assaggiare qualcuno di quei frutti, ma perfino nel toccarlo con la mano, salvo il caso in cui lo si porti per la refezione comune e venga offerto pubblicamente, con il permesso dell’economo, come un servizio reso ai fratelli.

 

[XXXVIIII] La scomunica per le colpe.

Il Signore ha risposto:

1 Se un fratello si mostra frequentemente ribelle o superbo o mormoratore o disobbediente ai suoi prepositi circa tutto ciò che abbiamo più sopra esposto 2 e se avvertito e rimproverato per qualsiasi colpa una, due o tre volte, conforme al precetto del Signore (cf. Mt 18,15-16), non si sarà corretto, 3 la cosa sia riferita all’abate dai prepositi. 4 Chi è a capo valuti attentamente il caso secondo il genere e il grado della colpa 5 e condanni il fratello a una scomunica tale da fargli capire che disprezza Iddio, 6 come merita di essere giudicato per il disprezzo mostrato al suo superiore, dato che il Signore stesso dice ai nostri dottori: «Chi ascolta voi, ascolta me, chi disprezza voi, disprezza me» (Lc 10,16). 7 Questa scomunica comporti siffatto tenore.

 

[XL] Come si debba trattare il fratello scomunicato.

Il Signore ha risposto:

1       Quando i prepositi abbiano riferito all’abate il comportamento del fratello disobbediente - 2 ormai non lo si deve più chiamare fratello, ma eretico [di fronte alla legge], 3 non lo si deve più chiamare figlio di Dio, ma operaio del demonio; 4 egli che, scostandosi dall’agire dei santi, è diventato una specie di scabbia, scoppiata in seno al gregge - 5 l’abate lo convochi, alla presenza dei suoi prepositi e con tutto il resto della comunità intorno riunita. 6 E sia chiesto dall’abate ai suoi prepositi qual è il suo peccato e quante volte sia stato ammonito di tale colpa senza emendarsi. 7 Essi devono rispondere manifestando il fatto di cui l’accusano. 8 Udita la colpa, egli ascolterà la voce dell’abate dire così contro di lui:

9 «O misera anima, quale risposta darai a Dio che ogni giorno vai irritando con la tua disobbedienza, quando ti avvicinerai, per prostrarti davanti a lui? 10 Perché tu che hai per signore Iddio, servi invece Marnmna? (Mt. 6,24). 11 Perché menti a Cristo come un secondo Giuda? 12 Quel primo Giuda vendette la Giustizia stessa per il denaro di una iniquità (Atti 1,18) e tu con le tue malefatte laceri il nome cristiano. 13 Quel Giuda con un falso bacio di pace scatenò la violenza contro il Signore, e tu, sotto l’apparenza di un servizio santo, ti drizzi al contrario come un ribelle davanti a Dio. 14 Quel Giuda, discepolo, ma falso, tradì il maestro; tu sotto un nome santo, mentre ti dici cristiano, segui in realtà il diavolo.

15 «Sì, nel giudizio, si leverà di fronte a te il nostro ammonimento e anche il tuo spirito, a cui hai resistito, mettendoti dalla parte della carne mediante la tua volontà propria. E davanti al tribunale di quel giudizio tremendo dirà: 16 ‘Signore, non ha voluto capire e agir bene. 17 Ha tramato l’iniquità, si è messo in ogni via non buona, non ha odiato il male, 18 anzi se ne è gloriato. Fu un prepotente nella sua malizia’» (Sai. 35,4^5; 51,3).

19 «Dopo essere stato accusato così in giudizio, ti toccherà udire, dopo la nostra, anche la voce del giudice tremendo che ti dirà lui stesso: 2.0 ‘Ecco chi ha avuto in orrore la disciplina e ha gettato dietro le spalle le mie parole. zi Se vedevi un ladro correvi con lui, e ti mettevi con gli adulteri, zz La tua bocca fu piena di malizia e la tua lingua ordiva inganni. 23 Ti sedevi e parlavi male del tuo fratello e gli creavi inciampo. 24 Tutto il giorno la tua lingua ha tramato l’ingiustizia. Come un rasoio affilato hai architettato l’inganno. 25 Hai amato il male più del bene, il parlare iniquo a preferenze del giusto. 26 Hai amato tutte le parole di rovina che possono essere su una lingua ingannatrice. 27 Tutto questo hai fatto e io ho taciuto. 28 Hai pensato una cosa ingiusta: che io fossi come te. Ti confonderò e te la getterò in faccia, questa tua ingiustizia, 29 sì che Dio ti distruggerà per sempre, ti strapperà e ti caccerà dalla tua tenda, e spianterà la tua radice dalla terra dei viventi’» (Sai. 49,17-21; 51,4-7).

30 «Allora anche tutti i giusti dalla loro gloria ti vedranno così condannato in giudizio, 31 quando te ne starai relegato lontano da loro, a sinistra, in mezzo ai capri (cf. Mt. 25-33); 32 e anch’essi rideranno di te, dicendoti: 33 'Ecco l’uomo che non ha posto in Dio il suo aiuto, ma ha contato troppo sulle sue vane forze. 34 E non ci fu timor di Dio davanti al suoi occhi, poiché ha agito con inganno in presenza di lui 33 e ha detto come lo stolto nel suo cuore: 36 Dio non chiederà conto, 37 volta la sua faccia per non vedere mai e poi mai. 38 E non ha capito che per i nemici che mentiscono a Dio, tempo verrà di una pena eterna’ (Sai 51,8-9; 35,1-3; 52.,1; 9,34 e 32; 80,16).

39 Davanti a queste parole che cosa potrai dire tu a Dio? 40 Che scusa avrai da portargli, o infelice, per i tuoi peccati, quando le tue malefatte per prime ti assaliranno accusandoti e ti aspetterà l’inferno per bruciarti?».

41 Dopo questo discorso di rimprovero dell’abate alla presenza della comunità, subito sia dato ordine di farlo uscire dall’oratorio, 42 sia considerato estraneo alla mensa comune 43 e poiché ha il marchio di nemico di Dio, da quel momento non deve essere più un amico per i fratelli. 44 Perciò da questo momento della scomunica, messolo in disparte e riservato per lui qualche lavoro, il suo preposito glielo assegni, perché non stia in ozio. 45 In tale lavoro nessun fratello gli si unisca per aiuto e non sia confortato da alcuno che gli rivolga la parola. 46 Tutti gli passino accanto guardandolo in silenzio. Quando dice Benedicite, nessuno gli risponda «Dio». 47 Su tutto ciò che gli si porge, nessuno tracci il segno di croce. 48 Qualunque cosa faccia, oltre il lavoro a lui assegnato, per proprio conto e di sua volontà, sia fatto a pezzi o buttato via. 49 Resti solo dappertutto e la sua colpa soltanto gli sia compagna.

50 Se poi, considerata la (relativa) lievità della colpa, l’abate non intenda imporgli un completo digiuno, 51 se i fratelli mangiano a sesta, a lui per misericordia venga dato a nona dal suo preposito un solo piatto, e un pezzo di pane molto grossolano e dell’acqua. 52 Se i fratelli che non hanno colpe da espiare mangiano a nona, per lui il pasto sopra descritto sia protratto fino a sera, 53 in modo che senta quali mali gli ha procurato la sua colpa e che beni ha perduto per la sua negligenza.

54 Se qualche fratello gli avrà parlato o si sarà accompagnato a lui apertamente o di nascosto, subisca subito uguale castigo di scomunica, 55 ed egli stesso sia considerato come colpevole a tutti gli effetti. Anche egli sia messo dal suo preposito a fare un lavoro diverso, in disparte; 56 separato lui pure tanto da qual primo colpevole come da tutti, isolato ed escluso anch’egli immediatamente dal parlare con tutti gli altri. 57 Inoltre neppure lui potrà aspirare al perdono del superiore, se non venga fatta da ambedue del pari una eguale riparazione penitenziale: 58 dall’uno perché si mostrò disobbediente ostinandosi nel suo difetto e nella sua colpa, 59 dall’altro perché offrì all’artefice di un male la mercede della sua consolazione.

60 II fratello che sia colpevole di una colpa leggera e dopo una prima, una seconda, una terza ammonizione non si sia corretto di un difetto qualsiasi, sia scomunicato dalla mensa, ma non dall’oratorio. 61 Questa sco-munica resti in vigore fino a che il reo, facendo umile riparazione col capo abbassato fino alle ginocchia, non abbia promesso di correggersi per l’avvenire.

62 II fratello invece che abbia commesso una colpa grave, sia scomunicato da ambedue, cioè dall’oratorio e dalla mensa 63 e neppure lui giunga al perdono del superiore fino a che prostrato alla soglia dell’oratorio, con voce di pianto, nell’intervallo fra un salmo e l’altro delle ore canoniche, offra riparazione a Dio e a tutti, promettendo di emendarsi. 64 Questo però a condizione che l’abate, visto l’enorme peso che egli sente della sua colpa, voglia consentire più rapidamente al perdono. 65 La pagina seguente esporrà tutto il rito, conforme a quanto vorrà dettarci il Signore.

66 Quel fratello poi che sia stato scomunicato dalla mensa, ma non dall’oratorio, non intoni antifona né versetto né dica lezione, 67 fino a che non abbia dato riparazione di tale colpa con promessa di emendarsi, curvandosi alle ginocchia o dell’abate lì presente o dei suoi prepositi.

68 I fratelli scomunicati, qualora si dimostrino così superbi che ostinandosi nell’orgoglio del loro cuore, al terzo giorno, all’ora nona, non abbiano ancora voluto dar riparazione all’abate, 69 messi in prigione siano battuti a vergate fino al sangue, 70 e se parrà bene all’abate siano espulsi dal monastero; 71 perché una vita come la nostra, non ha bisogno di presenze puramente fisiche, né la comunità dei fratelli, di coloro che già la morte possiede nella loro anima superba. 72 È giusto dunque che questi tali debbano essere presi a vergate ed espulsi, perché non meritano di stare col Cristo, Signore di umiltà; 73 ma siano esclusi dalle eterne promesse di Dio, insieme al diavolo, loro istigatore, che fu gettato giù dal regno dei cieli per la sua superbia.

74 Ed ora proseguiamo il tema di scomuniche e riparazione, come avevamo iniziato più sopra. 75 Crediamo dunque che a Dio e all’abate possa riuscire accetto il seguente modo di fare atto di pentimento e dare riparazione.

 

[XLI] E' opportuno che colui che si è allontanato dalla vita comunitaria, cioè dalla congregazione, stia appartato e da solo, oppure (è opportuno) che condivida la sua vita coi fratelli che non rivendicano nulla di proprio, ma che hanno tutto in comune?

Risposta.

3. In molti casi credo che è utile condurre una vita in comune con quelli che hanno la stessa volontà e il medesimo proposito.

4. Prima di tutto perché anche per le stesse necessità materiali e per il servizio del cibo, ognuno di noi non basta a se stesso da solo; 5. e veramente dunque, per quanto è necessario al funzionamento della nostra vita, abbiamo bisogno del nostro reciproco aiuto. 6. Come infatti il piede dell'uomo in una cosa si serve delle proprie forze, in un'altra ha bisogno di quelle estrinseche, e senza aiuto delle altre membra non può né adempiere al suo compito, né bastare con le sue forze, 7. così anche la vita solitaria mi sembra essere vittima del fatto che non possa essere utile quanto in essa si trova, né che si possa ricevere da qualcuno quanto le manca. 8. Oltre a ciò neppure l'ordine della carità permette che ognuno ricerchi ciò che gli è comodo, poiché l'Apostolo dice: la carità non ricerca il proprio interesse (1 Cor 13, 5).

9. Poi, neanche le proprie colpe e i propri vizi ciascuno può riconoscere facilmente, poiché manca chi li faccia notare; 10. e facilmente avviene a chi si trova in queste condizioni quanto è scritto: Guai a chi è solo, poiché se cadrà, non vi sarà nessun altro che lo rialzi (Eccl 4, 10).

11. Ma anche i comandamenti possono essere osservati con maggiore facilità da più persone; se uno invece da solo crede di osservarne uno, non ha la possibilità di metterne in pratica un altro. 12. Per esempio, come un solitario potrà visitare un infermo?, 13. o come accoglierà un pellegrino? 14. Ma se tutti siamo un solo corpo in Cristo, e ognuno membro dell'altro, ci dobbiamo adattare con armonia ed essere insieme ben uniti come nell'organismo di un solo corpo. 15. Che se ognuno di noi scegliesse la vita solitaria, e cioè non per una determinata causa e ragione che sia gradita a Dio, o che comprenda tutti in una vera e comune generosità, 16. ma sia di soddisfazione ai propri voleri e alle proprie passioni, come potremmo, così separati e divisi, compiere e donare a tutti i membri una perfetta e reciproca concordia? 17. Chi si comporta in tal modo non gode con quelli che godono né piange con quelli che piangono, poiché, lontano e diviso da tutti gli altri, non potrà nemmeno conoscere i bisogni del prossimo.

18. E in fine uno non può bastare da solo a ricevere tutti i doni dello Spirito Santo, perché la distribuzione dei doni spirituali si compie secondo il grado di fede di ciascuno. 19. Cosicché ciò che è distribuito ad ognuno in porzioni, di nuovo si riunisca e cooperi come le varie membra alla formazione di un unico corpo. 20. A uno infatti è concessa la parola della sapienza, a un altro quella della scienza, a un altro la fede, a un altro la profezia, a un altro il carisma delle guarigioni (1 Cor. 12, 8-9), ecc.; tutti doni che ognuno riceve dallo Spirito Santo non tanto per sé quanto per gli altri. 21. È quindi necessario che la grazia di ciascuno, ricevuta dallo Spirito Divino, sia di giovamento a tutta la comunità. 22. Accade dunque che chi vive lontano e segregato, riceverà pure qualche grazia, ma la renderà inutile, poiché non compirà nulla per mezzo di essa; la seppellisce infatti in se stesso. 23. Di quanto pericolo sia tutto ciò, lo sapete tutti voi che leggete il Vangelo. 24. Se invece comunica la grazia a tutti gli altri, lui stesso gode precisamente di quella ricevuta, che anzi si moltiplica in lui mentre viene trasmessa agli altri, e lui stesso trae beneficio dalla grazia degli altri.

25. Ancora altri numerosi vantaggi presenta questa vita comune di persone venerabili, che non è possibile enumerare completamente ora. 26. Come già detto dunque, per conservare i doni dello Spirito Santo è più adatta la convivenza di molti, più che la vita trascorsa nella solitudine. 27. Ed anche contro le insidie del demonio, che vengono dall'esterno, è più sicura e più utile la compagnia di molti, in modo che più facilmente si svegli dal sonno chi per caso avesse ad addormentarsi in quel sonno che porta alla morte. 28. Anche a chi cade apparirà più chiaro il suo delitto, poiché viene accusato e notato da più persone, conforme a quanto dice l'Apostolo: Per chi ha un tale carattere basta la correzione fatta da più persone (2 Cor 2, 6).

29. Inoltre anche nell'orazione non poco profitto proviene da più individui che pregano nella concordia e nell'umanità, cosicché si rendano grazie a Dio da molte persone, in virtù della grazia che è in noi. 30. Ma qualche volta la vita solitaria è esposta a pericolo prossimo. Prima di tutto uno è soggetto al pericolo, certamente gravissimo, di trovare compiacenza in se stesso, e non avendo nessun grado di giudicare il suo operato, gli sembrerà di aver raggiunto la massima perfezione. 31. Allora vivendo senza alcun esercizio non può accorgersi in quale difetto cada di più né in che cosa manchi alla virtù. 32. Non potrà nemmeno possedere un equo giudizio del valore delle sue opere per il fatto stesso che gli viene meno ogni occasione di operare. 33. E come metterà alla prova la sua umiltà non avendo nessuno col quale si debba mostrare umile? 34. Come dimostrerà la sua misericordia dal momento che è estraneo ad ogni compagnia e convivenza? 35. Come si eserciterà alla pazienza se non vi è nessuno che sembri ostacolare i suoi voleri?

36. Se poi qualcuno dicesse che gli basta la dottrina della Scrittura e i precetti degli Apostoli per la correzione dei suoi costumi e per la formazione spirituale della sua vita, mi sembra che faccia qualche cosa di simile a quelli che imparano in continuazione un mestiere artigianale, e tuttavia non costruiscono alcun oggetto; 37. o a quelli che costantemente vengono istruiti nell'architettura, ma non si applicheranno mai a costruire una casa. 38. Ecco, anche il Signore non ritenne bene che gli bastasse solo la dottrina della parola, ma volle darci esempi di umiltà anche con le opere, quando, cintosi di un grembiale, lavò i piedi ai suoi discepoli. 39. Tu dunque a chi laverai i piedi? a chi presterai le tue cure? 40. Di chi sarai suddito e come potrai essere l'ultimo se vivi solo? 41. Ma anche quello che è scritto: È cosa buona e gioconda convivere da fratelli insieme (Salmo 132, 1), che lo Spirito Santo paragonò all'unguento del pontefice che scende dalla testa alla barba, come lo si potrà compiere in una vita solitaria?

42. Vi è certamente uno stadio, secondo il precetto apostolico, per correggere i difetti e formarsi una vita, in cui si progredisce con l'esercizio della virtù, e in esso sempre più brilla e risplende la meditazione dei comandamenti di Dio, ed è proprio questa dimora in comune dei fratelli unanimi fra loro; 43. essa possiede in sé esattamente il modello e l'esempio, che sono riferiti dalla Sacra Scrittura negli Atti degli Apostoli riguardo a quegli uomini di santa vita: Tutti i credenti vivevano insieme, e avevano tutto in comune (Atti 4, 32).

 

[XLII] Inoltre dimostra che il monaco non deve vivere solitario per i molti mali che facilmente gli si avvicinano furivamente.

Risposta.

9 . Primo punto da trattare: devi vivere da solo, oppure con altri in un monastero?

 Preferirei che tu fossi in una comunità di santi, per non far da maestro a te stesso e non intraprendere senza guida una strada mai fatta, col rischio di imboccare subito una direzione sbagliata e di camminare di più o di meno di quanto occorra, stancandoti eccessivamente se corri troppo, e finendo coll’addormentarti se rallenti.

Nel deserto s'insinua facilmente la superbia: per poco che il solitario abbia digiunato, se non ha visto persona viva, si crede un grand'uomo, dimentica chi è in realtà, la sua origine e il posto che è  venuto a cercare; poi, comincia a divagarsi interiormente con i sentimenti e a esteriorizzarsi con le chiacchiere. Comincia a giudica, contro il precetto dell’Apostolo (Cfr. Rm 11,44) – i servi degli altri; le mani finiscono col mettergli davanti tutto quella che la sua golosità reclama; dorme quanto vuole, fa quel che gli piace, non ha vergogna di nessuno, stima tutti da meno di sé, vive più spesso nelle città che nella sua cella, e finge di essere timido in mezzo ai fratelli, lui che non teme gli urtoni della folla sulle pubbliche piazze.


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30 novembre 2018                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net