PATRES SYRIACI

Breve introduzione ai Padri della Chiesa Siriaca

di Vito Sibilio

 Estratto da " La Navata della Sapienza: I Padri, I Dottori e gli altri grandi teologi cattolici dalle origini ai giorni nostri"

Edizioni Sant'Antonio 2019

  

Per Padri Siriaci intendiamo quei Padri che scrissero in siriano e pensarono più con categorie mentali aramaiche e semitiche che greco-latine. Tecnicamente, gli scrittori antiochieni sono Padri Siriaci anche se scrivono in greco, ma Teodoreto, Teodoro, Iba, Eustazio, Diodoro pensano secondo schemi greci o greco-siriani. Così prima di loro Origene e ancora prima Taziano e tutti coloro che, da Ignazio, avevano scritto dopo essere nati o vissuti in Siria. I Padri della Scuola di Antiochia, debitamente interpretati, influenzarono enormemente la Chiesa Siriana, specie quella calcedonese, visto che per ironia della sorte una parte significativa della Comunità di quel Paese divenne monofisita. Analogamente i Padri della Scuola di Alessandria influenzarono moltissimo la Chiesa Copta, pur scrivendo in greco; anzi essi hanno esteso la loro egemonia teologica sia sugli ortodossi calcedonesi che sui monofisiti, questi ultimi ovunque diffusi, entro e fuori i confini dell’Impero Romano.

Per Padri Siriaci tuttavia qui intendiamo quei Padri che, appunto, scrivendo in siriano e pensando semiticamente, mantennero una loro inconfondibile peculiarità e influirono specialmente sulla Chiesa Siriana dell’Est, o Assira. Sono diversi e tra essi spiccano Afraate ed Efrem, sebbene specie da quest’ultimo sia sgorgata addirittura una corrente letteraria. L’espressione simbolica della fede, l’immagine come strumento di riflessione teologica, gli sviluppi dei contenuti avvenuti autonomamente dalla Grande Chiesa o la loro custodia in forme arcaiche, l’interesse per l’ascetismo e l’escatologia sono le peculiarità di questa letteratura patristica nella terza grande lingua dell’antichità.

 

SANT’AFRAATE

 

E’ il primo Padre di lingua esclusivamente siriana, detto “Saggio persiano” perché suddito dei Sasanidi. Visse nel IV sec. ma di lui nulla sappiamo, se non che fu capo di una comunità di “Figli del Patto”, ossia di cristiani votati al celibato sin dal catecumenato.

Scrisse ventitrè omelie tra il 337 e il 345, delle quali ventidue iniziavano ciascuna con una diversa e conseguente lettera dell’alfabeto siriano. Esse sono chiamate anche Dimostrazioni.

Egli sviluppa una teologia positiva esclusivamente biblica e scevra da qualunque contenuto filosofico e quindi greco-romano. Egli prosegue risolutamente l’antigiudaismo paolino contestando le accuse degli Ebrei ai Cristiani e confutando le usanze della Sinagoga. Afraate dimostra, a partire dalla mera Scrittura, che Gesù è Figlio di Dio e Dio Egli stesso. Confessa la consostanzialità del Verbo col Padre e la Sua Generazione Eterna. Adopera un linguaggio semitizzante e la teologia dei Padri Apostolici. Ignora o finge di ignorare la terminologia di Nicea, anche perché nessun Vescovo persiano si recò a quel Concilio. La sua pneumatologia è conseguenzialmente poco sviluppata. Afraate sviluppa una teologia narrativa, non speculativa, ricca di immagini simboliche molte delle quali relative al Targum trasmesso dai Giudeo-Cristiani. In morale, Afraate chiede una rigida imitazione di Cristo, mediante il digiuno corporale e spirituale. Egli afferma che la morale si basa verso la carità e che essa dev’essere rivolta alle Persone Divine, progredendo di pari passo con l’inabitazione dello Spirito Santo in noi; a complemento, tale carità va rivolta al prossimo. L’edificio ascetico si fonda sulla fede e si costruisce con umiltà.

 

SANT’EFREM

 

Nato a Nisibi in Mesopotamia nel 306 da madre cristiana e da padre pagano, sacerdote, che lo cacciò di casa quando seppe che si era convertito alla fede, fu istruito dal vescovo della sua città, Giacomo. Studiò teologia e filosofia, ma quest’ultima in modo distratto, tanto che difettò sempre di una terminologia appropriata. Diacono della sua città, predicò insegnò e scrisse contro le eresie, specie l’ariana, in quanto probabilmente accompagnò il suo vescovo a Nicea per il I Concilio Ecumenico. Eletto vescovo di Nisibi, si finse pazzo per non accettare. Si ritirò ad Edessa quando Nisibi cadde in mano persiana nel 363 e divenne scolarca di quella città. Continuò a vivere asceticamente fino al 372. Sommo poeta, stimato dai contemporanei e persino da San Girolamo, venerato dai Siriaci, poi dai Greci e infine dai Latini, fu nel 1920 Benedetto XV (1914-1922) proclamato Dottore della Chiesa.

Efrem scrisse in prosa e poesia. Nella prima i Commenti scritturistici sulla Genesi, sul Vangelo, gli Atti e le Lettere di Paolo; nella seconda i Carmina Nisibena, gli Hymni contra Julianum, contra haereses, de Nativitate, de Crucifixione, de Resurrectione, de Paradiso, de Virginitate, de Eccleisa. Scritti in siriaco, furono subito tradotti in greco. Efrem fu senz’altro il più grande innografo dell’antichità e fu chiamato “Cetra dello Spirito Santo”, anche per l’enorme quantità di suoi versi.

Pensatore isolato che visse in un contesto culturale diverso da quello fino ad ora considerato, non partecipò alle grandi controversie trinitarie e cristologiche e costruì una teologia semitica basata sulla mera Scrittura, in polemica con gli gnostici i marcioniti i manichei e gli ariani, in continuità con le tradizioni giudeo-cristiane e senza l’apporto della cultura greca, della quale non conosceva neppure la lingua. Il suo linguaggio è figurato, ricco di simboli e di allegorie, sia in poesia che in prosa. La sua cristologia ebbe largo influsso anche nel mondo greco romano e fu più corretta di quella di Afraate, distinguendo tra le proprietà della Natura divina del Verbo e quelle della Sua Persona rivelata, pur mantenendo una cronica insufficienza terminologica in ordine a quelle questioni che riguardano la consostanzialità e le relazioni tra le Persone divine, nonché le Nature e la Ipostasi nel Verbo stesso. Così Efrem potè piacere agli ortodossi ma anche ai monofisiti e ai nestoriani. Nella teologia trinitaria Efrem afferma che la Natura è unica ma le Persone tre, e per indicarne la sussistenza adduce l’argomento della distinzione dei Nomi (Padre Figlio Spirito Santo), perché nel mondo semitico il Nome indica la Persona. In mariologia Efrem non solo iniziò l’innografia mariana, ma attestò la Perpetua Verginità della Madre di Dio e la sua Assunzione. In escatologia insegnò che le anime dei giusti dopo la morte non vedono subito tutta l’Essenza divina, se non dopo la Resurrezione dei Corpi.

 

ALTRI TEOLOGI SIRIANI

 

Contemporaneo di Efrem fu Sant’Isacco di Antiochia, vissuto tra IV e V sec., sacerdote. Autore di molti discorsi poetici (nēmrē) in settenarî, di un gruppo di lodi e di sedici madrāshē.

Il primo nome celebre è senz’altro il già menzionato San Rabbūlā di Edessa, rinomato scrittore siriaco. Una biografia sua, una delle più belle scritte in lingua siriaca, c'informa sulle vicende della sua vita. Scrisse tanto in siriaco quanto in greco e fece parecchie traduzioni da quest'ultima lingua. Nacque a Qenneshrīn da padre pagano, che era un sacerdote, e da madre cristiana. Egli percorse la carriera burocratica fino a diventare prefetto. Poi si convertì al cristianesimo e donò tutti i suoi beni ai poveri, ritirandosi in un convento. Prese parte vivacemente alle controversie teologiche di quei tempi e fu un rigido seguace di San Cirillo di Alessandria. Al suo interessamento per le dispute cristologiche dobbiamo le sue versioni dal greco della lettera di Cirillo Sulla retta fede all'imperatore Teodosio e di alcune altre opere del patriarca alessandrino. In lingua siriaca sono stati redatti da lui alcuni canoni ecclesiastici, varie regole per la vita dei monaci, alcuni canti liturgici. Morì nell'anno 435.

Il Cristianesimo siriano alimentò anche il talento scrittorio di San Xenaia di Mabbug († ca. 523), fiorito prima ancora della controversia tricapitolina, vero e proprio classico della sua letteratura, teologo, polemista, omileta ed esegeta, nemico giurato del Calcedonese e della Scuola Antiochiena classica. Il Cristianesimo diede inoltre linfa all’ispirazione di San Giacomo di Sarug († 521), suo contemporaneo, padre dell’omiletica metrica, che influenzò pure la letteratura mediogreca e ispirò la scrittura di Giovanni di Edessa († ca. 586), storico della Chiesa siriana e dei Santi d’Oriente, la cui silloge agiografica è in un certo qual modo una cartina di tornasole per l’autocomprensione della comunità monofisita.

Altro nome illustre è quello di Sant’Isacco di Ninive, scrittore ascetico siro del sec. VII. Originario di Bēth-Qaṭrāyē, fu ordinato vescovo di Ninive verso il 670, ma dopo cinque mesi lasciò tale ufficio per ritirarsi a far vita eremitica ai confini della Susiana, donde poi passò nel monastero di Rabban Shabor; ivi morì vecchissimo, dopo aver perso la vista per l'assidua lettura, intorno al 700. Fecondo scrittore, le sue opere formavano - secondo la testimonianza di ‛Abhdišo‛ (Ebedjesu) - sette volumi. Oggi sono superstiti circa ottanta scritti, che comprendono trattazioni ascetiche, lettere, dialoghi, carmi, ecc., insieme con i quali furono trasmessi scritti che probabilmente spettano ad altri scrittori omonimi. Se ne hanno anche versioni antiche in arabo, greco ed etiope.

Altri nomi importanti furono il continuatore della storia ecclesiastica di Giovanni di Edessa, Ciro di Batna; nel VII sec. Paolo di Tella, collaboratore dell’Esapla Siriana del Vecchio Testamento, e Tommaso di Harqel, che lavorò sul Nuovo Testamento. Giacomo di Edessa († 708), vescovo della città, frequentatore dei circoli culturali di Alessandria, esule dalla sua sede e poi monaco, fu il più grande genio della sua Chiesa nel suo periodo, e mostra ai posteri come essa continuasse a vivere della linfa della Grande Chiesa anche nei primi secoli del dominio islamico. Conoscitore della letteratura e della lingua greche, ma anche dell’ebraico, tradusse moltissimo della patristica bizantina in lingua siriana, della quale realizzò la prima grammatica; cercò la conciliazione del sapere religioso e profano con un Esameron purtroppo incompiuto e lasciò un modello di erudizione che continuò a vivere nelle sillogi di allocuzioni spirituali, nelle catene dogmatiche, nella poesia religiosa che prelusero alla nascita di una letteratura liturgica tipicamente siriana, che va affiancata alle altre liturgie cristiane nel venerando corpus della Tradizione.

 

LA SCUOLA DI NISIBI

 

Un’altra personalità importante fu lo scolarca di Edessa  Narses (410-503), insediato da Iba e deposto dal suo successore. Il ribelle trovò scampo a Nisibi, nell’Impero Sasanide, presso il vescovo Bar Sauma (470-496), anatematizzato dal Sinodo del Ladrocinio, e i due fondarono nella città una nuova Scuola, completamente fedele alla dottrina di Nestorio (471). Essa fu detta ovviamente “di Nisibi”, ma anche, antonomasticamente e significativamente, “dei Persiani”. La scelta di Narses era obbligata: da decenni ad Edessa studiavano chierici persiani, e soprattutto tra essi poteva trovare l’ultimo scampo l’ormai anatematizzata teologia antiochiena. Fu l’egira di Narses a fondare il Nestorianesimo come confessione cristiana autonoma dalla cattolica-ortodossa e dal monofisismo, mettendo le basi della Chiesa Apostolica d’Oriente così com’è ancor oggi. Nacque così la Chiesa nazionale persiana, indipendente teologicamente da quella dei “Romani”. La Scuola di Nisibi, con la ricchezza dei suoi mezzi e la poderosità delle sue strutture, fu la vera continuatrice di quella edessana, la cui linfa, confluita nell’alveo calcedonese, si era inaridita. Il suo prestigio fu universale: Cassiodoro (485-585) modellò il programma del suo Vivarium sulla base di quello che aveva sentito dire di Nisibi. Solo a Nisibi si continuò ad argomentare basandosi esclusivamente sulla Bibbia, senza impantanarsi nell’uso della prova patristica, e questo suscitò grande impressione nel mondo. Fu grazie alla Scuola che il clero persiano ebbe un suo centro di gravità, che le impedì di sfuggire all’orbita del sistema stellare cristiano, nonostante ne fosse l’ultima propaggine verso l’Asia pagana. Dal 489 infatti ai Persiani fu preclusa la frequentazione ai corsi teologici di Edessa. In conseguenza di ciò, le traduzioni dal greco al siriano, specie di Aristotele e Galeno, oltre che di tutto il corpus di Teodoro di Mopsuestia, crebbero enormemente. Contemporaneamente alle grandi accademie ebraiche, che in quei decenni produssero il Talmud babilonese benevolmente protetti dai Sasanidi, la Scuola di Nisibi, con un metodo mnemonico simile, tramandava Antico e Nuovo Testamento ai suoi discepoli, giovani celibi, con abiti quasi monastici, alloggiati in celle ricavate in un ex-caravanserraglio. Alimentandosi della geryana, la lettura delle Scritture – fondamentale nella religiosità semitica, e quindi non solo in quella aramea, ma anche in quella ebraica e, di lì a poco, in quella islamica – della loro esegesi di tipo midrashico, accompagnata da una sapiente gestualità, la Chiesa Assira, proprio in Nisibi e cominciando con Narses, autore di più di trecento Odi, creò una innografia liturgica di rara bellezza, melodiosa nei suoni, tipica espressione delle liturgie antiochiene. Essa si irradiò ovunque arrivò la Chiesa Apostolica d’Oriente.

Abramo di Bet-Rabban (449-529), autore di commentarî a libri biblici, di scritti teologici e inni liturgici, fu direttore della scuola filosofica di Nisibi.

Cosroe II (590-628) vietò l’elezione di un Patriarca tra il 608 e il 628, e in questo interregno il potere fu esercitato di fatto da Babai il Grande, teologo assai fine, che era una sorta di etcheghè dei monasteri persiani settentrionali. Come locum tenens, Babai fronteggiò bene l’offensiva missionaria monofisita, scatenatasi in seguito all’effimera incorporazione nell’Impero Persiano dell’Egitto e della Siria, e riuscì a salvaguardare la sua Chiesa dalla minaccia più grande, l’occupazione della cattedra del Patriarca da parte di un monofisita. Nonostante si fosse costituita una comunità monofisita persino in Seleucia, i vescovi persiani, su sua indicazione, rinunciando ad eleggere il nuovo capo della Chiesa, evitarono il peggio. Proprio per sigillare la sua identità, il Sinodo del 612 formulò la cristologia ufficiale della Chiesa Assira, sulla base di una definizione dello stesso Babai. Egli, portando a compimento lo sviluppo della teologia di Teodoro di Mopsuestia, così com’era stata integrata da Nestorio, affermò che Gesù Cristo ha due fyseis e hypostaseis, in un solo prosopon. Ovviamente i termini greci sono la traduzione di quelli siriani e pahlavici corrispondenti. Solo da questa data si può affermare che la Chiesa Assira abbia rigettato la cristologia della Grande Chiesa. La formula di Babai può essere tuttavia intesa in più modi. Il senso nestoriano stretto implica due nature con due persone o sussistenze correlate, unite da un nesso piuttosto eslege e leggero, la concreta modalità storica con cui la Persona divina assume e conserva l’umana. Così s’intende il prosopon etimologicamente, come “ciò che si mostra alla visione”, una sorta di fenomeno complessivo cristologico. In tale prospettiva, il dogma assiro è radicalmente diverso da quello calcedonese. Ma se intendiamo i termini natura e sussistenza come sinonimi, o almeno come la medesima sostanza considerata in senso ora potenziale – l’id quod est – ora attuale – l’id quo est- allora la differenza si attutisce e il prosopon si avvicina molto persino alla Persona unica del Calcedonese. Su questo distinguo si giocò il futuro della conservazione nella Grande Chiesa del Patriarcato di Seleucia.

 

 

I PADRI ARMENI

 

L’Armenia ebbe una sua lingua e letteratura, ma subì l’influsso degli autori siriani d’Occidente, come del resto di quelli greci e copti. In questo contesto è opportuno dare qualche delucidazione in merito. La letteratura scritta cristiana cominciò a svilupparsi dal 406, quando San Mesrope Mashtots  (361-440), monaco teologo e linguista, creò l'alfabeto armeno con lo scopo di tradurre i testi biblici. Egli, insieme al catholicos Sant'Isacco di Armenia (†438), fu un risoluto avversario del nestorianesimo e fondò un'Accademia denominata Scuola dei Traduttori. Gli allievi furono inviati a Edessa, Atene, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, Cesarea in Cappadocia e altrove, per procurare codici in siriaco e in greco e tradurli. Gli allievi più famosi della Accademia furono Giovanni di Egheghiatz, Giuseppe Balnese, Yeznik di Koghb (387-450), Koryun (380-450), San Mosè di Corene (410-450) e San Giovanni Mandakuni (†498). Yeznik di Koghb scrisse la Confutazione delle sette, Koryun la Storia della vita di San Mesrope, ed Eliseo l'Armeno (410-475) la Storia di Vardan e della guerra armena. Essi, tutti discepoli di Mesrop, concludono quella che può essere definita l'Età dell'oro della letteratura armena, che consistette principalmente di commentari ed esegesi delle tradizioni letterarie ebraica e cristiana, e di storia della Chiesa apostolica armena. In questi primi anni del V secolo furono composte anche alcune delle opere, forse apocrife, come i Discorsi di San Gregorio l’Illuminatore (257-332), il grande restauratore della Chiesa Armena. Come in tutta la letteratura cristiana antica vennero scritti un buon numero di apocrifi biblici, come il Vangelo armeno dell'infanzia.

 


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28 novembre 2018                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net