PAOLO Diacono

di Raffaello Morghen - Enciclopedia Italiana (1935)

 

PAOLO Diacono. - Paolo Varnefrido, detto anche e più generalmente P. Diacono, fu tra i maggiori storici del Medioevo. Nato tra il 720 e il 724 da Warnefrit, di nobile famiglia longobarda, e da Teodolinda, fu educato nello studio delle lettere dal grammatico Flaviano, forse a Pavia nella corte di re Rachi.

La Storia Naturale di Plinio, il commento di Servio a Virgilio, la cronaca e le Etimologie di Isidoro di Siviglia, Frontino, Paolo Orosio, Aurelio Vittore formarono, insieme con le lettere e con i Dialoghi di Gregorio Magno, i testi agiografici, la cronaca di Beda, i Gesta Pontificum Romanorum, i principali autori della sua biblioteca. Sì che, poeta latino non privo di eleganza nell'imitare gli antichi, non indotto del greco, pervaso di profondo spirito religioso, egli divenne ben presto uno dei più alti rappresentanti della cultura romano-cristiana dell'età carolingia, che ebbe nei grandi monasteri del sec. VIII e del IX i suoi centri maggiori, e unì alle tradizioni letterarie degli ultimi grammatici del basso impero il sentimento nuovo della romanità cristiana quale emana dall'austera semplicità della regola di S. Benedetto o dalle lettere di Gregorio Magno.

Caro alla casa reale longobarda, egli entrò monaco nel monastero di Montecassino, forse quando vi si ritirò il re Rachi, travolto nella lotta per il regno. Certo nel 763 compose la sua prima opera, un carme sulle sei età del mondo, per compiacere ad Adelperga, figlia del re Desiderio e moglie di Arichi, duca di Benevento. E per impulso di Adelperga compose anche, forse prima del 774, la Historia Romana, rifacimento e continuazione dell'opera di Eutropio. La caduta del regno longobardo, se lo addolorò, specialmente per i legami che egli aveva con la famiglia reale di Desiderio, non dovette commuovere eccessivamente il suo sentimento nazionale: il suo abito mentale di uomo di studio, nutrito della cultura universale di Roma, e la profonda esperienza cristiana del chiostro tolsero quanto vi poteva essere di particolare e di esclusivo al naturale attaccamento per la sua razza. Così, quando, nel 776, suo fratello Arichi, coinvolto in una rivolta di Longobardi contro i Franchi, ebbe confiscate le sue sostanze e fu condotto prigioniero in Francia, P. non esitò a rivolgersi a Carlomagno, "summus rex", con gli accenti della più umile implorazione, chiedendo, in un'epistola metrica, la liberazione e il perdono del fratello. E, recatosi in Francia, dovette quasi certamente ottenere ascolto alla sua preghiera, se Carlomagno lo trattenne a lungo presso di sé onorandolo come uno dei maggiori uomini della sua età, "poetarum vatumque doctissimum". In Francia visitò quasi tutti i maggiori monasteri del tempo, e, cedendo alla domanda di Angilramo, vescovo di Metz, compose quei Gesta Episcoporum Metensium, che furono poi il primo modello di gran parte delle cronache vescovili posteriori. Nel monastero di Corvey, per amore dell'abate Adalardo, al quale si strinse poi di tenerissima amicizia, emendò con la cura scrupolosa d'un umanista un codice delle lettere di Gregorio Magno, rivelandoci così un altro degli atteggiamenti della sua cultura.

Ma forse nel 786 egli era tornato di nuovo, dopo tanto vagare, nella solenne pace del monastero cassinese, che egli aveva desiderata negli anni della sua lontananza con gli accenti della più accorata nostalgia. Quivi, intorno al 787, incominciò a lavorare alla sua opera maggiore, la Historia Langobardorum, che l'occupò sino alla morte, avvenuta, secondo un necrologio cassinese, il 13 aprile, forse del 799, certo prima della coronazione di Carlomagno.

Nella Historia Langobardorum egli volle continuare la storia romana di Eutropio che aveva già rifatta e ampliata, e insieme affidare alla scrittura le tradizioni della sua gente, fino allora tramandate oralmente. Così, vicino ai primitivi racconti della rozza mitologia germanica, trovano posto diffuse narrazioni di miracoli e leggende agiografiche; e, miste alle imprese dei re longobardi, raccontate con ingenua e romanzesca vivacità, vengono riferite notizie di papi e d'imperatori bizantini. Il racconto si arresta alla morte di Liutprando, sia perché interrotto dalla morte dell'autore, sia che volutamente P. abbia evitato di parlare della caduta del regno longobardo.

La sua concezione della storia non differisce naturalmente da quella che è comune a tutti gli altri storici del Medioevo, da Gregorio di Tours a Ottone di Frisinga, ma P. si differenzia dagli altri per la freschezza del suo racconto, sempre vivo e commosso da un profondo senso di partecipazione dell'autore alle cose che narra, sia che riferisca antiche tradizioni o ingenue leggende, senza nulla alterare del loro contenuto originale, sia che orni la narrazione con i colori di un'immaginazione in cui si presente già lo spirito epico-cavalleresco dei secoli posteriori. Inoltre la Historia Langobardorum è la prima e l'unica storia dei Longobardi scritta da un longobardo colto, con l'uso di fonti preziose - quale la Historia di Secondo, vescovo di Trento nel sec. VI - poi andate perdute; ed è la maggiore opera storica che ci conservi il ricordo di una delle più oscure epoche del Medioevo. Anche da ciò deriva la sua importanza e la sua fortuna.

Oltre alle opere già citate, P. compose anche un'Ars Donati, ancora inedita, e un estratto del De verborum significatione di Festo Pompeo, serbandoci così in parte quel prezioso documento dell'antica cultura che nel suo testo originale è andato perduto. La Historia Lang. fu pubblicata da G. Waitz e da L. Bethmann nei MonGermhist., Scriptrergermet ital. (Berlino 1878); A. Crivellucci attese per lunghi anni alla preparazione d'una nuova edizione per conto dell'Istituto storico italiano, ma la morte lo colse prima che potesse compierla. R. Morghen pubblicò, sugli appunti del Crivellucci, l'edizione dei primi tre libri sempre per conto dell'Istituto st. it. (Roma 1918). Il Crivellucci poté invece condurre a termine l'edizione della Historia romana (Fonti per la storia d'Italia, Roma 1914). Il Duemmler pubblicò le poesie di P. nei MonGermhist., Poetae aevi carolini.

Bibl.: G. Waitz nella pref. all'edizione cit.; A. Vogeler, P. D. und die Origo gentis Langobardorum, Berlino 1887; P. Del Giudice, Lo storico dei Longobardi e la critica moderna, Milano 1880; G. Monod, Études critiques sur les sources de l'histoire carolingienne, Parigi 1898; U. Balzani, Le cronache italiane nel Medioevo, Milano 1900; Amelli, Ars Donati quam P. D. composuit, Montecassino 1899; id., P. D.Carlo Magno e Paolino d'Aquileia, Montecassino 1899; R. Morghen, Il palinsesto assisiense della Hist. Langob. di P. D., in Bull. Ist. st. it., Roma 1918, n. 38.


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15 ottobre 2017                a cura di Alberto "da Cormano"               alberto@ora-et-labora.net