Le origini del monachesimo

Estratto da “Il monachesimo” di Gregorio Penco O.S.B. – Ed. Mondadori 2000

Indice:

- Gli inizi

- Le fonti letterarie

- Dal mondo al deserto

- Le origini del monachesimo femminile

- La vita degli antichi monaci

- Spiritualità della preghiera


Gli inizi

 

Tra la fine del III e gli inizi del IV secolo si viene profilando nel mondo cristiano il singolare fenomeno religioso, molto vasto e ramificato, del monachesimo. il periodo è quello della fine del mondo antico, della complessa crisi dell’impero romano diviso ormai tra impero d’occidente e impero d’Oriente, dell’urbanesimo, dello spopolamento delle campagne, della crescente pressione delle genti germaniche ai confini dell’impero. In questo periodo la Chiesa possedeva già un’organizzazione abbastanza solida, una gerarchia sufficientemente diffusa, un culto, una disciplina, una letteratura, dei patrimoni e, a partire dall’editto di Milano del 313, la libertà religiosa concessale da Costantino. Si calcola che su 50 milioni di sudditi dell’impero romano i cristiani fossero circa 7 milioni. Col monachesimo avrà origine una forma di vita consacrata interamente alla preghiera e alla penitenza, in un isolamento dal mondo che ammetterà un minimo e un massimo, ma vorrà esprimere e attuare il desiderio di un’esistenza dedicata completamente alla ricerca di Dio.

All’indomani della pace costantiniana un campo immenso si presentava a chi avesse voluto impegnarsi nell’evangelizzazione di popoli non ancora raggiunti dal messaggio cristiano. Eppure, proprio in quei decenni, prese sempre più piede un fenomeno orientato in direzione opposta. Alcuni cristiani, specialmente in Egitto, iniziarono a ritirarsi nel deserto, volendo riaffermare con ciò che «il regno di Dio non è di questo mondo», e rivendicare i più alti valori dello spirito insieme a una più o meno esplicita protesta contro i pericoli della mondanità, ora che la professione della fede non era più causa di persecuzioni ma poteva, al contrario, procurare onori e assicurare carriere.

Quanto all’etimologia del termine «monaco» già nell’antichità vennero proposte diverse interpretazioni: «solitario» (san Girolamo), persona «unificata» interiormente (i padri orientali), persona mirante all’«unanimità» coi fratelli (sant’Agostino), mentre nel mondo siriaco si era affermata l’idea che il monaco fosse un imitatore dell'«unigenito», cioè di Cristo.
Quanto alle origini storiche e ideologiche del monachesimo, tra la fine dell’ottocento e gli inizi del Novecento sono state avanzate diverse interpretazioni, oggi superate, analogamente a quanto si è verificato per le origini dello stesso cristianesimo. Si era supposto che il monachesimo cristiano fosse sorto in derivazione da isolate forme di ascetismo pagano o da alcuni presupposti spiritualistici della filosofia greca, specie neoplatonica; o, ancora, ed era la tesi del famoso teologo protestante Adolf von Harnack, da qualche corrente ereticale rigoristica ed estremistica, come per esempio il montanismo; o, infine, da forme sincretistiche pagano-cristiane in rapporti più o meno diretti con le «religioni dei misteri» del mondo ellenistico.

Oggi, invece, come accade per le stesse origini cristiane, le radici del movimento monastico appaiono sempre più profondamente situate nel mondo biblico. Quanto all’Antico Testamento è fondamentale, nelle vite dei santi monaci, il richiamo alla figura di Abramo e al suo abbandono della patria. D’importanza straordinaria è, poi, il tema del deserto quale luogo della prova, della tentazione, dell’abbandono in Dio, della lotta con i demoni, della precarietà e transitorietà di ogni cosa. Né vanno dimenticati quei «luoghi santi», come il Sinai e il Carmelo, a cui la tradizione cristiana si rifarà per alcune peculiari esperienze monastiche. Se erano rare, nell’Antico Testamento, le pratiche ascetiche vere e proprie (come il nazireato), va tenuto presente l’ideale del martirio (tipico dell’epoca dei Maccabei), come pure l’accentuarsi, sulle soglie dell’era cristiana, del movimento monastico degli Esseni, oggi praticamente identificato con la comunità di Qumran presso il Mar Morto, caratterizzata da tendenze accentuatamente dualistiche ed escatologiche. Manca invece nell’Antico Testamento l’ideale della verginità a causa dell’attesa e della speranza di annoverare tra la propria prole il Messia, ideale che invece si affermerà in maniera decisa nella nuova economia religiosa instaurata dal Nuovo Testamento. Fondamentale, qui, l’invito dì Cristo a seguirlo in una vita più perfetta, mentre il tema del deserto ricompare nell’episodio delle tentazioni. Anche le esortazioni di san Paolo dovevano essere ricche di conseguenze quanto alla pratica della verginità, com’è dimostrato da una prassi risalente ai primi tempi della Chiesa e documentata, tra l’altro, dai vari scritti De virginitate.

I monaci cristiani quindi — anche perché erano per lo più persone semplici, aliene da speculazioni filosofiche — non hanno elaborato un ideale di perfezione per conto proprio ma si sono rifatti sostanzialmente all’insegnamento della Sacra Scrittura come era vissuto dalla Chiesa del tempo. A questo riguardo bisogna ancora aggiungere la pratica della vita comune in vigore nella Chiesa primitiva, secondo la testimonianza degli Atti degli Apostoli: per secoli «vita apostolica» significherà non già vita di apostolato, ma, appunto, «vita comune», a imitazione degli apostoli che avevano lasciato tutto per seguire il Signore. Nella Chiesa dei primi secoli, poi, l’ideale del perfetto cristiano sarà costituito dal martire di cui, col venir meno delle persecuzioni, i monaci si considereranno eredi e continuatori. Anche la prassi penitenziale della Chiesa antica, così rigorosa, influirà sui successivi sviluppi del movimento monastico per il fatto che, cessata la penitenza pubblica, molti cristiani si sottoporranno spontaneamente a forme di disciplina penitenziale, anticipando quindi il concetto del monaco quale penitente volontario.

Assai varie quanto a provenienza, genere letterario, attendibilità storica, le fonti relative al monachesimo delle origini — e molte sono ancora inedite, come quelle in lingue orientali — presentano diversi problemi di carattere storico-letterario tuttora discussi. È certo, per esempio, che alcune fonti, specialmente le agiografie, seguono determinati schemi, per influsso sia della tradizione biblica (l’immagine del vir Dei), sia del romanzo ellenistico (fughe, nascondimenti, travestimenti, ritrovamenti), sia delle tradizioni popolari (apparizioni favolose sotto forma di animali). In ogni caso, alcuni di questi testi conobbero fortuna immensa e divennero un fenomeno culturale dì grande rilevanza.

Il monachesimo antico presenta una grande varietà di forme quanto al genere di vita, all’estrazione sociale, alle condizioni ambientali, all’ascesi, al lavoro, ai rapporti con la gerarchia ecclesiastica, Per lo più i monaci sono semplici laici, qualche volta ancora catecumeni, per la convinzione che lo stato monastico sia un equivalente del battesimo (donde la concezione della professione monastica come secondo battesimo). La patria del monachesimo è l’Egitto, dove alla metà del IV secolo i monaci erano centinaia di migliaia, e la Palestina, In tali ambienti s’incontrano non solo degli ideali ma anche degli esemplari di altissima virtù e contemplazione e, a poco a poco, anche una vera e propria dottrina elaborata dalla corrente monastica dotta di cui è precipuo esponente Evagrio Pontico. Le stesse fonti non idealizzano però eccessivamente il livello spirituale dei primi monaci, presentandone anche forme degenerate a causa di abusi, disordini morali, scandali, errori teologici, forme di fanatismo, insufficiente senso ecclesiale. Anche in ciò il monachesimo ha dovuto compiere un lungo percorso e rettificare alcune posizioni. Secondo uno schema letterario destinato a una notevole fortuna, esistevano diverse categorie di monaci (dai migliori ai peggiori) e talora, dopo anni, un monaco veniva a sapere per rivelazione celeste che un artigiano dei dintorni era molto più perfetto di lui. Le stesse fonti ci presentano non di rado la figura del monaco pigro, goloso e scroccone. Il fatto, però, che i padri del monachesimo siano stati, in gran parte, anche i maggiori padri della Chiesa, contribuì a salvaguardarne lo spirito e l’ortodossia e a conferire a tale movimento ulteriore autorevolezza e prestigio.

Sul fondamento del contenuto spirituale insito nel messaggio cristiano venne a poco a poco elaborandosi un itinerario ascetico di cui si possono individuare le tappe essenziali. Va ricordato in particolare il tema della compunzione (pénthos), della rinuncia (apótaxis), dell’allontanamento nella solitudine (anachóresis), dell’ascesi (áskesis), del combattimento spirituale (agôn), del dominio di sé (apátheia), del discernimento degli spiriti (diákrisis), del riacquisto dello spirito colloquiale con Dio (parrhesía), della deificazione (theopoíesis). Il cammino spirituale era visto come contrassegnato dal progressivo acquisto della gioia e dal ripudio della tristezza, considerata come facente parte degli otto vizi capitali e di cui spesso ebbero a occuparsi i padri del monachesimo. Sotto questo punto di vista non c’è soluzione di continuità tra antichità e Medioevo, tra Oriente e Occidente. In base alle prime esperienze compiute dai padri del deserto e descritte nei Detti dei Padri, venne formandosi un patrimonio comune di dottrina e di idealità, via via attuato in forme sempre più differenziate dal punto di vista organizzativo e istituzionale, E infatti, dopo la prima fase dell’ascetismo domestico dei primi secoli testimoniato anche dai vari trattati De virginitate, si registra una larga affermazione dell’eremitismo, a volte nelle forme più drastiche e assolute con distacco deciso da parenti e amici, a volte mitigato mediante l’unione di vari eremiti in raggruppamenti o «laure». Non vi sono ancora regole né legami di tipo culturale con la scuola teologica alessandrina anche se a poco a poco pure i monaci verranno interessandosi alle dottrine del grande Origene e saranno coinvolti nelle relative dispute e condanne.

Nel corso del IV secolo il passaggio dall’eremitismo a una pratica di vita comune (cenobitismo) è riassumibile nell’itinerario che va da sant’Antonio a san Basilio. Antonio († 356), nato in una famiglia cristiana e considerato comunemente come il padre dei monaci, avendo udito in chiesa la chiamata a seguire il Signore, abbandonò tutto, affidò la sorella a una comunità di monache e si ritirò nel deserto. Il suo cammino spirituale è come scandito da!la ricerca di una solitudine sempre più completa, dalla scelta di località sempre più remote e inospitali, in cui il santo è esposto alle violente tentazioni dei demoni. Questa ricerca della solitudine non impedisce che attorno a lui si raccolgano dei discepoli, che il santo eremita si rechi talvolta ad Alessandria per affrontare gli eretici. Antonio godette di una fama sempre crescente e l’influsso da lui esercitato sulla spiritualità monastica fu enorme. La sua biografia fu composta da Atanasio a pochi anni dalla sua morte e, subito tradotta in latino, divenne un testo conosciutissimo in tutto il mondo cristiano, esercitando un’influenza decisiva su tutta la posteriore letteratura agiografica, sull’ascesi, sull’iconografia.

Una fase successiva decisamente Orientata verso il cenobitismo, è testimoniata dall’esperienza di Pacomio († 346). Originario di famiglia pagana, si ritirò anch'egli nella solitudine. Raccolse ben presto però numerosi discepoli nella Tebaide, a Tabennisi nell’Alto Egitto. Ebbero così inizio varie comunità caratterizzate da una notevole tendenza alla centralizzazione con cenobi formati da raggruppamenti di case, giungendo a costituire villaggi veri e propri. Pacomio compose una Regola in cui era minuziosamente fissato l’orario relativo al lavoro, alla preghiera, ai pasti, alla penitenza: è la prima Regola monastica a noi nota. In essa viene tra l’altro codificato il sistema decanale, ossia la distribuzione dei monaci in gruppi di dieci, criterio adottato anche dalla Regola di San Benedetto. Quanto alla sua biografia ci sono giunte diverse vite a opera di discepoli.

Basilio dì Cesarea († 379), il più importante dei padri cappadoci, ci riporta a tutt’altro ambiente, quello dell’Asia Minore. Proveniente da una famiglia di intensa spiritualità cristiana era dotato di una grande cultura arricchitasi anche mediante numerosi viaggi, preziose amicizie, soggiorni nelle metropoli culturali dell'Oriente cristiano (Atene, Costantinopoli). Basilio condusse il monachesimo antico all’affermazione del pieno cenobitismo con la costituzione di monasteri autonomi, uno per ogni singola località. Le sue comunità erano spesso doppie, composte cioè di monaci e di monache, e la vita che vi si conduceva era profondamente ispirata all’insegnamento evangelico, al punto che le sue Regole morali (l'unico scritto a cui egli attribuì il nome di «regola») non erano altro che un’antologia di testi del Nuovo Testamento. Accanto a esse vanno ricordate altre due raccolte ascetiche le cosiddette Regole diffuse e Regole brevi. L’ideale monastico basiliano è caratterizzato da un vivo spirito ecclesiale, dall’importanza assegnata all’obbedienza dall’attività in scuole e opere di assistenza, Nonostante Basilio abbia espresso scarsa stima per l’eremitismo, il santo è considerato il legislatore della tradizione monastica orientale nelle sue varie formulazioni successive mentre la corrente pacomiana fu un filone meno diffuso. Con tali testi e tali autori il monachesimo orientale presentò altissimi modelli di perfezione ascetica a tutto l’antico mondo cristiano.

 

Le fonti letterarie

Se le fonti del primo monachesimo sono state precedute dagli scritti ascetici dell'antica letteratura cristiana, esse presentano pure caratteristiche proprie, la cui considerazione contribuisce a cogliere alcuni degli aspetti salienti del monachesimo stesso.

La prima caratteristica dell'antica letteratura monastica è la sua abbondanza e la sua ramificazione in un numero imprecisato di generi letterari. Mentre le letterature di ispirazione classica vanno esaurendosi, quella promossa dal movimento monastico si presenta come un filone vigoroso, destinato a grande fortuna. Essa riflette alcune delle istanze più profonde degli ambienti da cui proviene e per i quali è stata composta, in primo luogo il tema della fuga mundi e del contemptus saeculi, tema che la contrappone nettamente agli ideali di urbanitas della civiltà antica. Il disprezzo verso le vanità e le ricercatezze del costume mondano legato all'urbanitas si riflette anche nella noncuranza delle raffinatezze stilistiche così apprezzate dalla retorica antica ma ormai prive di senso in ambienti il cui unico fine è la ricerca e il servizio di Dio. Anche chi è stato formato nelle scuole e nei centri della vecchia civiltà, quando scrive di persone o istituzioni relative al mondo monastico è portato spontaneamente ad assumere un atteggiamento di reazione verso la urbanitas profana e la venustas classica, per ribadire invece, anche nello stile, la rusticitas degli asceti e dei solitari e il loro ideale di semplicità e distacco.

Ciò contribuisce alla nascita di una letteratura diversa da quella fino ad allora conosciuta. Il fenomeno, d'altra parte, rappresenta solo un aspetto di un più vasto movimento da cui ha avuto origine la stessa letteratura cristiana, in intimo rapporto con lo stile della Sacra Scrittura e le sue più antiche versioni. Anche coloro che, come Girolamo, avevano ricevuto un'accurata formazione classica, si adeguano ai nuovi criteri letterari di tutto un orientamento spirituale. Così Girolamo, il cui carteggio è un vero e proprio capolavoro della letteratura latina, scrivendo le sue vite degli eremiti, componendo i Sermones ad monachos o traducendo gli scritti di san Pacomio, adotta una lingua semplice e sobria, quasi priva di ornamenti stilistici. Un vocabolo in particolare, simplicitas, esprime un simile atteggiamento, la dote di chi, in quanto monaco, si sforza di unificare tutta la propria esistenza in Dio e si dichiara incapace di affrontare argomenti elevati. A questo proposito un significato emblematico assume l'episodio in cui san Girolamo e san Cesario vengono rimproverati, in sogno, di essere «ciceroniani» e non cristiani: e l'episodio avrà una sua fortuna anche presso il monachesimo medievale.

Sono gli aspetti spirituali quelli che più interessano gli asceti che divengono scrittori, meno interessati invece, anche se hanno compiuto lunghi viaggi, a descrivere usi e costumi di popoli lontani. Ciò che attira i nostri autori quando raccontano di altri popoli è la vita monastica che vi si conduce, come avviene nella Historia monachorum per l'Egitto, nella Historia religiosa di Teodoreto di Cirro per la Siria, nella Historia lausiaca (così chiamata perché dedicata al funzionario imperiale Lauso) di Palladio per le varie regioni dell'Oriente e dell'Occidente.

La letteratura nata negli ambienti monastici si indirizza pressoché esclusivamente a tali ambiti: di qui la sua particolare terminologia, il suo tecnicismo lessicale e stilistico, la sua completa aderenza agli aspetti più umili e concreti della prassi quotidiana. Di qui, anche, l'importanza attribuita alla tradizione - biblica, evangelica, apostolica, ascetica - nel più vasto quadro dell'importanza annessa alla tradizione da parte di tutta la Chiesa. Il patrimonio trasmesso da tale tradizione è visto come un bene a disposizione di tutti, di cui si compilano esposizioni più brevi o più amplificate con scarsi tratti di originalità, prova ne sia che larga diffusione hanno gli scritti pseudonimi attribuiti ai più insigni padri del monachesimo. Il senso della tradizione è vivissimo negli scrittori ascetici come negli autori di regole e si manifesta chiaramente anche nelle traduzioni che, come la più antica versione latina della Vita Antonii, vengono eseguite col massimo sforzo di fedeltà al testo, fino a forgiare al riguardo dei termini ricalcanti l'originale. Proprio per esprimere con maggior fedeltà tutta la ricchezza del patrimonio tradizionale, numerosi sono i generi letterari a cui si fa ricorso. Di essi fanno parte le conferenze (Collationes), gli ammonimenti, le sentenze (Apophtegmata Patrum o Verba Seniorum) e le regole. A partire dalla Regola di Pacomio, il più antico testo del genere, è tutta ima fioritura di scritti che vengono composti in Oriente e in Occidente; e proprio dall'Occidente proviene, tra il V e il VII secolo, il numero più elevato di regole, che a volte comprendono solo poche pagine. Vengono infine le biografie che, a partire dalla Vita Antonii di Atanasio, svolgeranno un ruolo fondamentale nella propagazione dell'ideale monastico. Affini alle vite sono gli «encomi» dei monaci illustri, testimoni di un momento storico in cui il culto dei santi si allarga dai martiri agli asceti, ai monaci e alle vergini che prolungano nella nuova società il fervore della Chiesa nascente.

L'immagine più consueta secondo cui è presentato il santo monaco è quella del vir Dei; in lui si assommano tutti gli esempi proposti dall'Antico e dal Nuovo Testamento (i profeti, gli apostoli, i martiri) mentre sullo sfondo risplende l'ideale della vita angelica. Vengono delineate alcune costanti agiografiche e spirituali: la nobiltà dei natali, l'intensa pratica delle virtù, il potere taumaturgico, la fedele attuazione della vita angelica, profetica, apostolica. Anche l'ideale monastico in se stesso è fatto oggetto di esaltazione, come nel De laude eremi di Eucherio di Lione o, per contrastare le critiche dei denigratori di un simile ideale, negli scritti di san Girolamo e di san Giovanni Crisostomo.

Al di là degli individui, esiste ormai un patrimonio dottrinale di cui i singoli sono soltanto delle estrinsecazioni, al punto che è difficile, a volte, distinguere i tratti personali da quelli comuni. Più che il singolo contano il suo genere di vita e le virtù da lui praticate, cosicché si tende facilmente a una forma di schematizzazione. Tutto ciò doveva favorire infine la nascita di uno specifico genere letterario quale gli scritti in lode della verginità, in cui non sempre però la vita matrimoniale veniva considerata con equanimità. Si tratta, in ogni caso, di scritti di grande rilevanza per il prestigio dei loro autori, per la diffusione ottenuta, per il dibattito dottrinale che spesso ne derivò.

 

Dal mondo al deserto

Se le regole ci presentano un mondo monastico in azione, impegnato a osservare ima determinata disciplina e a praticare ima ben precisa vita spirituale, altri generi letterari, come le vite e i trattati, sono invece più prodighi di indicazioni relative alla provenienza sociale dei monaci. È noto che le fonti agiografiche tendono, in genere, ad attribuire ai loro personaggi natali illustri, mentre a volte si tratta di grandi penitenti, rei di gravi colpe nella vita del secolo. Indirettamente una messe di indicazioni è fornita, al riguardo, da testi della legislazione canonica e civile trattanti degli «impedimenti» circa l'ammissione alla vita monastica di individui provenienti da determinate classi sociali (schiavi, soldati).

Com'è ovvio, la provenienza sociale dei monaci rifletteva quella, più generale, dei cristiani. Veniamo così ad apprendere che gli antichi monaci provenivano sia da classi agiate sia povere. La legislazione monastica intendeva adottare delle cautele contro i pericoli di carattere disciplinare e spirituale che potevano derivarne: per gli agiati, perché non conservassero attaccamento ai beni un tempo posseduti; per gli indigenti, perché l'ingresso nello stato monastico non li rendesse superbi col disporre di beni che nel mondo non avevano conosciuto. Il genere agiografico, come s'è ricordato, si compiace di presentare i propri eroi quali persone che hanno saputo rinunciare a grandi ricchezze o a posizioni sociali elevate, al punto che indicazioni del genere diverranno un vero e proprio tópos letterario. La letteratura ascetica, invece, insisterà piuttosto sulla necessità, anche da parte di tali individui, di non insuperbirsi per le rinunce compiute, come è il caso di quasi tutto il libro VII degli Instituta di Cassiano che tratta della lotta contro lo spirito di avarizia. Quanto a posizioni sociali molto elevate si ha notizia, per la Siria e la Georgia, di individui che provenivano da stirpe reale. Il fenomeno avrà un considerevole riscontro, nel Medioevo, presso il monachesimo anglosassone.

Anche il mondo della cultura, così legato nella società antica all'elevatezza sociale e all'agiatezza economica, fu rappresentato, sia pure in misura più ridotta, nel movimento monastico delle origini: e, anzi, la precedente assimilazione della cultura profana offriva un motivo per contrapporre tale sapienza del mondo alla vera sapienza delle cose divine, la «filosofia celeste» alla cui scuola i monaci intendevano mettersi.

Ma, naturalmente, le persone semplici erano l'elemento più rappresentato. Più che di nullatenenti, si trattava di persone povere e modeste, atte a esercitare un mestiere manuale. Nei loro confronti s'imponeva un'opera di formazione che le rendesse capaci di applicarsi alla lettura della Bibbia e di partecipare agli uffici divini. Il monachesimo copto, per esempio, sorse in un ambiente in cui l'ellenismo non era riuscito a penetrare e mantenne perciò un carattere semplice e popolare, come emerge, tra l'altro, dalla severità delle pene corporali previste dalla Regola di Pacomio e così apprezzate da quell'ambiente monastico. Quale che fosse il livello intellettuale di questi primi monaci - da valutare sempre in relazione a quello della società contemporanea - la possibilità di offrire un figlio a un monastero doveva sembrare a molte famiglie una soluzione a situazioni economiche precarie. Sarà compito dei legislatori fare in modo che nelle comunità la disparità di provenienza sociale non fosse causa di tensioni o discordie, magari esaltando, come fa Agostino, la facilità con cui i semplici possono conquistare il regno dei cieli.

Quanto alle diverse categorie e professioni, un certo numero di monaci proveniva dal clero e alcuni anche dall'episcopato, talvolta allo scopo di praticare in monastero una disciplina penitenziale riparatrice di qualche fallo. L'amministrazione imperiale forniva postulanti di vario rango, quali tribuni, dignitari di corte, funzionari, soldati. Quanto ai vincoli familiari, alcuni individui sposati divenivano monaci dopo essersi separati dalla moglie, datasi anch'essa alla vita ascetica. Si tratta di un fenomeno che darà vita a uno specifico filone agiografico non privo di risvolti romanzeschi. Anche i diversi mestieri e professioni vengono ricordati nelle fonti: ci imbattiamo in fabbri e carpentieri, commercianti e marinai, medici e musicisti, mimi e architetti. Una categoria a parte, in corrispondenza con l'importanza assunta nella società tardoimperiale, erano gli eunuchi, per i quali venne istituito un apposito monastero presso Gerusalemme. Più complessi si rivelarono i problemi posti dalla presenza di schiavi a causa delle eventuali rimostranze dei rispettivi padroni. Al riguardo si richiedevano opportune cautele anche per evitare che nei monasteri si ricostituissero dei nuclei sociali esistenti nella vita secolare. Le difficoltà, a ogni modo, non erano poche se giunsero a essere affrontate anche dalla legislazione civile, tra cui per esempio quella di Giustiniano che adottò una posizione di crescente larghezza. In genere si esigeva l'affrancamento dallo stato servile, anche se non era sempre facile superare i pregiudizi sociali dovuti a una mentalità fortemente radicata.

Si può quindi constatare come negli antichi ambienti monastici tutte le condizioni sociali, o quasi, fossero rappresentate, con una prevalenza numerica delle classi più modeste ma anche con significative presenze dei ceti più elevati specie negli uffici direttivi e nei compiti formativi. Anche il movimento monastico contribuì, per la sua parte, a far superare barriere e pregiudizi sociali e a favorire la trasformazione dell'intera società in senso cristiano.

 

Le origini del monachesimo femminile

Le considerazioni sopra esposte rimarrebbero incomplete se non si facesse parola di ima componente importante del monachesimo delle origini: quella femminile. Benché le indicazioni più esplicite riguardino le donne postesi sotto la direzione spirituale di grandi maestri come Girolamo, il fenomeno presenta ima diffusione ben più vasta anche se ancora minoritario rispetto a quello maschile. Per una donna era molto più disagevole e pericoloso affrontare la solitudine del deserto, e gli stessi cenobi femminili erano ancora piuttosto rari. È noto al riguardo il tema agiografico della donna entrata in un monastero con abiti maschili e riconosciuta solo dopo la morte. Anche per le donne, tuttavia, venne organizzandosi un particolare movimento monastico che fu un fatto di grande rilievo sia in se stesso sia nei confronti della società, senza contare le prospettive che apriva per l'avvenire. Non è solo il desiderio di emulare gli uomini che sospinge tante donne nei secoli IV-VI ad abbandonare il mondo e a consacrarsi a Dio nella vita monastica; è soprattutto la coscienza di essere destinatarie anch'esse di una vocazione che non conosce discriminazioni né di razza né di sesso né di classe sociale. È anzi la figura femminile che pare incarnare in maniera più espressiva l'ideale della verginità celebrato da tanti scritti di illustri padri e dottori della Chiesa. Si apre così un nuovo capitolo nella storia della spiritualità in cui la donna non esita ad abbandonare, ancora più dell'uomo, agi, comodità, sicurezze, affetti familiari, ma anche consuetudini, pregiudizi, convenzioni sociali. Melania la Giovane che decide col marito Piniano di dedicarsi a Dio elargendo ai poveri il suo immenso patrimonio, le nobili donne in rapporto con san Gregorio Nisseno o san Giovanni Crisostomo che si dedicano alla vita ascetica, sono solo gli esempi più clamorosi di un movimento ascetico che non conosce più confini.

In questo modo si affermava anche per la donna la possibilità di un'autodecisione quanto al proprio futuro, superando quello che sembrava essere il destino ineluttabile di un matrimonio per lo più deciso dai parenti. Di conseguenza avveniva pure un superamento dei pregiudizi circa l'importanza, nella vita di una donna, degli agi, del lusso, dell'esistenza mondana in cui pareva esaurirsi il suo ruolo, specialmente se si trattava di persona altolocata. Sul versante positivo, la donna in tal modo poteva avere accesso a una più profonda conoscenza dei misteri della fede e dei più elevati argomenti di spiritualità, stabilendo relazioni coi maggiori padri spirituali e asceti del tempo e divenendo essa stessa madre e direttrice di una comunità di vergini consacrate. L'universo religioso femminile comprende anche il caso di sorelle di monaci. Queste ultime esercitarono a loro volta un ruolo importante nella vita monastica del tempo, come Maria sorella di Pacomio, o Macrina sorella di Basilio, che paiono prefigurare il modello di Scolastica e Benedetto. Tale universo non ignora neppure le ex peccatrici come - ed è l'esempio più famoso in campo agiografico e iconografico - santa Maria Egiziaca che, ritiratasi a penitenza nel deserto, riceveva una volta all'anno l'eucarestia dal monaco Zosima. In questo, come in altri casi analoghi, tutto il dramma di un'esistenza appare riscattato e trasfigurato in un alone di poesia che esprime intensamente, più di tanti trattati dottrinali, il mistero dell'animo umano.

 

La vita degli antichi monaci

Le antiche fonti ci parlano dettagliatamente della vita quotidiana dei monaci al punto che, raccogliendo le varie indicazioni, è possibile ricostruire una giornata-tipo degli asceti del deserto, e quindi intravedere il ritmo ordinario di tutta un'esistenza.

Quanto agli aspiranti alla vita monastica, essi non vengono incoraggiati in quel loro desiderio ma messi alla prova per giorni, spesso anche mediante esperimenti abbastanza ardui. Lo richiede l'ambiente, il deserto, in cui il futuro monaco dovrà cimentarsi con le prove più dure, dell'ambiente stesso, della disciplina, ma soprattutto con se stesso. Il deserto è solitudine, è una natura che non offre quasi nulla e in cui anche il più elementare sostentamento viene spesso a mancare. Il tema biblico del deserto diviene realtà di ogni giorno con i sacrifici che richiede, gli inganni che presenta, le tentazioni a cui espone. I monaci vivono in umili capanne che li riparano dal calore del giorno e dalla rugiada della notte: in esse pregano, lavorano, prendono cibo. La custodia della cella è decisiva per il discernimento di un'autentica vocazione monastica che sa superare l'accidia, ossia la pigrizia, delle ore pomeridiane e la tentazione di aggirarsi a vuoto. Dal raggruppamento di più celle nascono le comunità di cenobiti che si radunano in un modesto oratorio per l'eucarestia domenicale. L'abito a poco a poco viene ad acquistare ima certa forma comune, essendo costituito da ima tunica con cintura di cuoio e da imo scapolare, o piccolo mantello, stretto ai fianchi. L'abbigliamento è completato dai sandali, mentre la barba è comune a tutti.

La vita dei primi monaci assegna grande importanza al fattore penitenziale: digiuni, astinenze dalle carni e dal vino, veglie, prostrazioni sono gli elementi che s'incontrano con maggiore frequenza. Né sono meno apprezzate le penitenze e la lotta contro l'amor proprio. Le penitenze sono accresciute talvolta dall'abitare in luoghi ristretti (stenochoréia), dall'uso di incatenarsi, dal dormire sulla nuda terra, dal procedere a piedi scalzi, dall'esclusione dei bagni, dal nutrirsi di cibi crudi (xerofagia). Non si può negare che in alcuni casi vi sia stato al riguardo un certo spirito di emulazione, ma i grandi maestri di vita spirituale hanno insistito vivamente sul senso di discrezione e di moderazione che doveva prevalere anche in questo campo. Normalmente il monaco si metteva alla scuola di un anziano a cui chiedeva l'opportuna direzione spirituale per lottare contro le passioni, evitare i «cattivi pensieri» e allontanare i ricordi del mondo. Nei confronti di quest'ultimo la separazione era quasi totale, al punto di escludere incontri perfino con i propri congiunti, anche se i monaci dovevano spesso recarsi in borgate e città per vendere i prodotti del loro lavoro, per lo più stuoie e tessuti.

Un luogo comune abbastanza diffuso tenderebbe ad attribuire agli antichi monaci una specie di ossessione nei confronti delle donne. Certo, essi hanno cercato di fuggire ogni sorta di presenza femminile, tanto più pericolosa in un ambiente solitario come quello del deserto, ma non hanno espresso al riguardo nessuna forma di disprezzo. Le Vite dei Padri narrano infatti di tentativi compiuti dai monaci per ricondurre sulla buona strada alcune pubbliche peccatrici, mentre nei loro detti non sono rari i paragoni desunti dalla sfera della sessualità. Anche in ciò essi seguivano l'esempio derivante dalle Sacre Scritture che non sono affatto morbose o reticenti in materia. In ima vita, poi, molto vicina alla natura tutto ciò che si riferiva a essa era considerato con altrettanta naturalezza. Tentazioni carnali e relative cadute non vengono taciute ma neppure enfatizzate. Si sente che esiste, al riguardo, una tradizione che sa ricorrere agli opportuni antidoti della preghiera e della penitenza. Né meno efficace è la narrazione dei doni particolari posseduti da alcuni asceti quanto a visioni e ad apparizioni, al discernimento degli spiriti, alla contemplazione della sorte futura delle anime. Anche in questo campo, però, le fonti mostrano una grande sobrietà e preferiscono un rispettoso silenzio; e ciò nonostante alcuni teorici della vita spirituale come Evagrio Pontico e Cassiano, parlando di doni straordinari, abbiano fornito qualche delucidazione in proposito. Di fatto i monaci del deserto dimostrano spesso di aver acquistato un valido dominio sulle forze della natura, acqua, fuoco, belve feroci. Il santo monaco è per lo più descritto come pervenuto a una notevole longevità per cui il suo passaggio all'altra vita è del tutto naturale e inavvertito. Il pensiero della morte, d'altro lato, accompagnava 1'esistenza degli asceti senza lasciarli un istante, inducendoli a preferire ima morte senza testimoni. Alcuni di loro, sentendosi alla fine, rivolgevano ai fratelli sagge esortazioni che costituivano ima sorta di testamento spirituale. Essi esortavano, tra l'altro, a non rivelare il luogo della propria sepoltura per non diventare oggetto di venerazione.

 

Spiritualità della preghiera

Uno dei problemi più vivamente avvertiti dal monachesimo primitivo è stato quello della preghiera, specialmente quanto al suo carattere di «continuità» raccomandato dai testi evangelici. L'orazione è infatti considerata dai primi monaci come una condizione stabile - orationis status, al dire di Cassiano -, un qualche cosa, secondo Evagrio Pontico, verso cui deve essere indirizzata tutta 1'esistenza. Dice Evagrio: «Se tu sei teologo pregherai veramente e se preghi veramente allora tu sei teologo». Per i padri del monachesimo la preghiera deve essere pura (ossia priva di elementi estranei), breve, frequente, dando vita a pratiche come le invocazioni giaculatorie desunte per lo più dal Salterio. I Salmi rimangono il testo privilegiato della preghiera, divenuti così familiari come se, stando al classico insegnamento di Cassiano, il monaco li componesse egli stesso durante la loro recita. La preghiera è strettamente legata al ricordo di Dio, senza alcuna rigida separazione tra preghiera comune e preghiera individuale. La scelta del deserto è sostanzialmente dovuta al desiderio di applicarsi a una simile attività riportando l'uomo alla condizione paradisiaca della familiarità con Dio e assimilandolo allo stato angelico. La consapevolezza della propria condizione di peccatore induce tuttavia il monaco ad assumere un atteggiamento di compunzione e di richiesta di perdono. Si stimava molto in questo senso l'importanza delle lacrime, promessa di consolazione e preludio di contemplazione e di gioia.

I monaci privilegiavano la lettura dei testi sacri attingendo dalla Bibbia il proprio nutrimento spirituale. Da Pacomio a Cassiano l'insegnamento è, al riguardo, costante; Girolamo, dal canto suo, aggiunge: «Se preghi parli allo Sposo; se leggi Egli ti parla». Da ciò nasceva il pensiero di un'incessante presenza di Dio che conferiva unità a tutta la vita del monaco. I momenti stabiliti di preghiera costituivano quasi una sorta di cristallizzazione di questa convinzione, come il desiderio di rafforzare con momenti più esplicitamente dedicati alla preghiera il fondamentale desiderio di unione con Dio. Alla salmodia succedeva la preghiera silenziosa cui seguiva la «colletta» o orazione finale, prassi che subì delle variazioni e che probabilmente già era scomparsa nella Regola di san Benedetto. Quanto alla sempre viva preoccupazione della «preghiera continua», essa sollecitava a volte soluzioni originali come, in Siria, la prassi della laus perennis da parte di gruppi di monaci che si susseguivano ininterrottamente nell'oratorio. Ma già agli inizi è possibile individuare le linee successive di tendenza: nel monachesimo orientale (bizantino e slavo) prevale l'aspetto individualistico, rappresentato per esempio dalla «preghiera a Gesù» (invocazione del suo Nome); nel monachesimo occidentale prevale invece l'aspetto normativo con prescrizioni sempre più precise sulla celebrazione degli uffici divini. Fenomeno isolato, anche se di notevole importanza, fu quello dei messaliani o euchiti: per costoro, comparsi verso la metà del IV secolo in Mesopotamia, Siria e Asia Minore, la preghiera era di fatto l'unica occupazione dei monaci. Condannati da alcuni concili, la loro dottrina venne propagata dalle omelie spirituali diffuse sotto il nome di Macario il Grande. A tali estremismi il mondo monastico specialmente occidentale (Agostino) risponderà esaltando l'importanza del lavoro quale fattore ordinario di una sana ascesi cristiana.

 


Ritorno alla pagina iniziale "Storia del Monachesimo"


| Ora, lege et labora | San Benedetto | Santa Regola | Attualità di San Benedetto

| Storia del Monachesimo | A Diogneto | Imitazione di Cristo | Sacra Bibbia |


18 febbraio 2018                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net