SPIRITUALITÀ MONASTICA

di Giorgio Picasso O.S.B.

Estratto da "Vivere in Cristo. Per una formazione permanente alla spiritualità monastica" AA. VV.

Editrice Città Nuova 2004


 

Nell’ambito degli interessi per la storia della spiritualità cristiana che si manifestarono negli anni dell’immediato secondo dopoguerra non mancò, come era ovvio, attenzione per la spiritualità monastica identificata senz’altro con la spiritualità benedettina. Ricordo due occasioni che mi sembrano significative.

Nel 1943, ancor prima della fine della guerra, si tenne all’Università Cattolica di Milano un corso sulle varie scuole di spiritualità e ad una personalità insigne di monaco e vescovo, il card. Schuster, fu affidato il compito di presentare la spiritualità benedettina. Egli, dopo aver insistito sul peculiare carattere del monachesimo nell’alto e pieno Medioevo in confronto dei successivi ordini unitari ed accentrati, ne ribadiva l’autorevolezza derivata - così pensava - da un particolare incarico da parte del papato a san Benedetto (fatto non più accettato dagli studiosi), e dalla missione che in forza di tale incarico, la Regola di san Benedetto aveva esplicato: a quella Regola - pur in mancanza di qualsiasi forma di governo accentrato - tutti i monasteri si erano riferiti e, pertanto, sulla base di una comune osservanza di tale regola si poteva parlare di spiritualità benedettina, o meglio di una vera e propria scuola di ascetica benedettina. Egli rilevava ancora che la spiritualità benedettina non aveva mai formato un vero e proprio sistema dottrinale ed una scuola teologica propria dell’ordine, come era poi avvenuto al tempo dei grandi ordini mendicanti, pur avendo dato al momento opportuno papi, dottori, apostoli, riformatori. In quella circostanza, in pieno periodo bellico, con i mezzi a disposizione, non si poteva dire più e meglio [1].

Pochi anni dopo, il p. Jean Gautier, promuoveva una analoga iniziativa in Francia e nel 1953 pubblicava una raccolta di studi su La spiritualité catholique, ben presto tradotta anche in italiano. Molti di noi hanno studiato quel volume. Il primo contributo, dopo una introduzione dello stesso promotore sulla natura della spiritualità, e il suo ambito, riguardava ancora la Spiritualità benedettina ed era affidato a dom Jacques Winandy, allora abate di Clairvaux (Lussemburgo), studioso ben noto ed assai sensibile ai problemi monastici.

Ne dette prova anche in quelle pagine che cominciano così: «Spiritualità benedettina? L’espressione è più ambigua di quanto non sembri. Si tratta di spiritualità di san Benedetto? o di quale dei tanti rami spuntati sul tronco benedettino?» Alle domande l’autore rispondeva tracciando un pregevole profilo storico dell’Ordine di San Benedetto, partendo da un benedettinismo in gestazione (così lo chiama), fino all’età contemporanea. Le perplessità dello studioso derivavano dalla evoluzione del movimento monastico che pur riferendosi in generale alla medesima regola, ne offriva tuttavia interpretazioni diverse, se non contrastanti: celebre il caso di Cluny e Citeaux [2].

Se il Winandy notava difficoltà nella evoluzione storica dell’Ordine di San Benedetto per enucleare un concetto univoco di spiritualità, ben presto gli studi innovatori sulla genesi, composizione e diffusione della Regula Benedicti, presentarono altre - e più gravi, almeno così apparivano - perplessità sulla Regola stessa, poiché una volta accettata la sua derivazione dalla Regola del Maestro, si veniva a porre su basi nuove anche il problema della spiritualità benedettina. In altre parole, se Benedetto con la sua Regola non era all'inizio della tradizione monastica occidentale, ma si collocava in uno stadio intermedio, era cioè erede a sua volta di un monachesimo già diffuso e codificato attraverso varie regole, bisognava ritenere benedettino quel che veramente era originale nella RB, e generalmente “monastico" o pre-benedettino, il molto che san Benedetto aveva invece accolto dalla precedente tradizione [3].

Studi molto puntuali e numerosi, specialmente per opera del p. Adalbert de Vogüé, come tutti sappiamo, hanno fatto luce su questi problemi di natura storica e filologica, e oggi ci permettono di riconoscere il valore della Regola di san Benedetto nella sintesi geniale che il santo ha composto di fronte ad una tradizione già molto sviluppata, alla quale assicurò una posterità in forza delle doti intrinseche alla sua sintesi, senza richiedere alcun intervento superiore che non sarebbe stato possibile nella concezione del monachesimo del VI secolo.

Pertanto e necessario riconoscere che solo gradualmente il monachesimo occidentale diventò benedettino: san Benedetto stesso, lungi dal fondare una qualche scuola di spiritualità, ha impresso il proprio timbro sul già ricco patrimonio monastico tradizionale, consegnandolo - come ho detto - in eredità di secoli successivi [4].

Tale patrimonio è considerato un bene comune alla Chiesa, e almeno fino al secolo XII ha sostenuto l’unica esperienza religiosa del monachesimo occidentale. Anche limitandosi alla produzione letteraria che a questa esperienza si riferisce, si tratta di un complesso enorme di opere in cui tutti i generi letterari sono rappresentati, alcuni ereditati anche dall’antichità classica (dialoghi, lettere, trattati), altri tipici della spiritualità monastica (sentenze, collazioni, regole, omelie, preghiere, visioni), la cui principale caratteristica è una salda adesione ai testi sacri (Bibbia e Padri).

Per queste ragioni, ossia per quanto è stato scritto prima di san Benedetto e per il modo attraverso il quale la stessa Regola è divenuta quasi l’unica regola del monachesimo occidentale, oggi, pur riconoscendo i grandi meriti storici di questo piccolo testo composto di 73 capitoli piuttosto brevi, pare più esatto, preciso, parlare di spiritualità monastica, non certo in alternativa alla spiritualità benedettina, ma come comprensiva di una realtà più ampia, più articolata, se volete anche più complessa, nella quale la RB, ben compresa e collocata, continua a svolgere un ruolo di grande significato.

Tentiamo di presentare un profilo storico di questa spiritualità sulla base dei contributi più recenti (tra l’altro è appena il caso di ricordare che possiamo disporre di rassegne molto informate, tracciate anche in questi ultimi decenni) [5].

 

1. UN PRIMO LUNGO PERIODO:

DALLE ORIGINI AL X SECOLO

 

La spiritualità dei monaci si presenta con un carattere fortemente oggettivo: si esprime di preferenza, anche dal punto di vista quantitativo, nelle Vite dei santi, anziché in trattazioni personali o autobiografiche (lettere, regole). E in tali vite che appare concretamente in atto l’eterno dramma della salvezza.

Il santo è sempre un personaggio straordinario, di qui l’iperbole, connaturale al genere agiografico (miracoli).

Anche questa agiografia monastica è dominata dalla Sacra Scrittura: e quindi spiritualità biblica: immagini, figure, linguaggio. Ne è uno splendido e suggestivo esempio quel che si canta nella sequenza della messa di san Benedetto [6]. Questa spiritualità ha avuto una evoluzione relativa. Tende a conservare le osservanze. In genere sono poco considerate le funzioni dei laici, in quanto tali, mentre la tensione escatologica diventa fortissima.

Si riserva molta attenzione ai temi spirituali, ben noti al monachesimo antico: la vita religiosa è vita angelica, profetica, apostolica, martirio d’amore, ritorno al paradiso, e in certo modo riappropriazione dell’innocenza originaria (più tardi si parlerà di professione come secondo battesimo): si ripropone il clima del paradiso terrestre con l’amicizia verso gli animali (compresi quelli feroci) [7].

Come osserva dom Gregorio Penco, «anche le questioni più strettamente dottrinali, come i rapporti tra vita attiva e vita contemplativa, si inseriscono in tale tematica biblica, mediante il ricorso alle figure evangeliche di Marta e Maria, mentre i doni dello Spirito, quali profezie, visioni, rivelazioni, tengono desta la coscienza carismatica. Le prospettive bibliche della historia salutis si prolungano in modo eminente nella celebrazione liturgica, considerata quale attuazione hic et nunc del piano provvidenziale di Dio e fonte di elevazione mistica. Per tutta l’epoca classica della spiritualità monastica non è dato constatare, al riguardo, alcun conflitto tra preghiera liturgica e preghiera privata, giacché quest’ultima è un prolungamento della prima e si nutre, attraverso la meditatio, dei medesimi testi. Ciò su cui si preferisce porre l'accento è piuttosto l’assiduità della preghiera che tende a diventare continua, espressione vitale di un animo fisso in Dio. Sebbene le formulazioni siano quanto mai varie e rifuggano da ogni sistematicità, esiste un itinerario tradizionale per la preghiera monastica. Il punto di partenza è dato infatti dalla lectio dei libri sacri e dei commenti patristici, che nella fase della meditatio - mediante l’assimilazione personale - divengono sostanza viva della propria anima. L’oratio ne rappresenta a sua volta una fase più alta e spirituale in quanto s’innalza al mistero in se stesso, oltre l’involucro delle parole e delle immagini, fino all’ultima fase in cui il mistero diviene oggetto della contemplatio. Tale processo è valido sia per la preghiera privata sia per quella liturgica ed è accompagnato da tutte quelle forme (oratio pura, frequens, assidua, cum lacrimis) e da quelle devozioni (visite agli altari, Salmi per i vivi ed i defunti, culto dei santi) a cui la pietà monastica ha dato un impulso grandissimo» [8].

Anche il nome monaco, anche il monastero, hanno il loro significato spirituale, come osserva ancora il medesimo autore: «il monaco, infatti, come dice il suo nome, attua l’ideale della solitudine esteriore e della perfetta unità interiore, ritrovando nell’unum necessarium quella sapienza celeste che fa della vita monastica la vera philosophia. La sua vita è tutta indirizzata alla speculazione delle verità e dei misteri divini (soli Deo vivere): perciò ad essa è necessaria la quies, la vacatio sabbati, l’otium contemplationis, che rimuovono ogni ostacolo e fanno amare il nascondimento e il silenzio. Sviluppando il tema dell’Esodo, a sua volta, il monastero è concepito come un deserto, attraverso il quale, dopo aver abbandonato l’Egitto del mondo, si è avviati alla terra promessa: ivi il Signore si rivela con il conforto della sua parola e la potenza dei suoi prodigi. Il monastero è presentato pure come un sepolcro in cui si muore al mondo per anticipare la vita imperitura donata dal Cristo. Tutti i classici temi ecclesiologici (l’arca, il tempio, la casa, la città, la scala di Giacobbe, il lectulus e l’hortus conclusus della Cantica) vengono richiamati dalla tradizione a proposito della dimora dei monaci, in quanto separata dal mondo e prefigurazione della Gerusalemme celeste. Certo, gran parte di questo patrimonio spirituale proviene dal monachesimo antico, ma il suo approfondimento e il suo sviluppo sono opera della tradizione monastica medievale. Da una parte assistiamo perciò ad un'integrazione di tali temi e dottrine nella spiritualità occidentale, dall'altra al richiamo costante verso il fervore delle origini e l'orientale lumen, mai dimenticato» [9].

La spiritualità monastica del secolo VI è senz’altro dominata dalla figura di Gregorio Magno, papa dal 590 al 604. Buona parte dei suoi scritti, a cominciare dai Dialoghi, con il libro II totalmente dedicato alla vita di san Benedetto, sono indirizzati ai monaci, al loro modo di vivere, al loro modo di leggere la Bibbia. Ha insegnato come sia fondamentale nella spiritualità monastica il desiderio di vedere Dio, l’anelito verso di Lui [10]. La dimensione escatologica è essenziale alla vita monastica.

Nonostante questa profonda convinzione, vissuta e insegnata, della dimensione contemplativa della vita monastica, il pontefice non esitò a servirsi dei monaci per la conversione degli Angli e per altre iniziative missionarie presso i Longobardi: evidentemente egli riteneva che un’opera missionaria riuscisse maggiormente efficace se fosse accompagnata dalla fondazione di un monastero in mezzo ai popoli guadagnati alla fede. Del resto, ancora oggi le Chiese dei paesi in via di sviluppo, desiderano la presenza di monaci o monache per la testimonianza della vita contemplativa [11]. Né questa azione missionaria, incrementata in seguito dai monaci celti con la pratica della peregrinatio, fu percepita in contrasto con la stabilitas fissata dalla Regola di san Benedetto: questi elementi, armonizzati, contribuiscono non poco alla nascita dell’Europa cristiana. Alla costruzione di essa collaborarono il venerabile Beda in Inghilterra, san Bonifacio in Germania, Ambrogio Autperto e Paolo Diacono in Italia. E la Regola di san Benedetto, divenuta con i Carolingi l’unica regola per tutti i monasteri, maschili e femminili, nel Sacro Romano Impero, diventa elemento di incontro e di coesione per la cultura delle popolazioni chiamate a far parte della nuova entità, non soltanto politica, ma anche religiosa e sociale.

 

2. LA SPIRITUALITÀ MONASTICA NEI SECOLI XI E XII

 

Incontriamo in questi due secoli l’origine e lo sviluppo di due movimenti veramente centrali nella storia della spiritualità monastica. Rispondono ai nomi di Cluny e Citeaux: parlarne in maniera appena sufficiente richiederebbe tempo di cui in questa sede non disponiamo.

 

2.1. Cluny

Sorge nella Borgogna a seguito di una donazione fatta ai Santi Pietro e Paolo nel 910 da Guglielmo, conte di Mâcon e duca d’Aquitania, che la affidò all’abate Bernone: alla sua morte (926) gli successe l'abate Oddone con il quale comincia la serie dei grandi abati di Cluny, fino a Pietro il Venerabile († 1156).

Il successo di Cluny, attraverso donazioni e fondazioni (priorati) in tutta l’Europa, fu enorme: ed anche notevole fu l’influsso nella vita ecclesiastica e civile. Ma senza dubbio più rilevante la sua funzione nel campo della spiritualità, che il già citato dom Gregorio Penco sintetizza molto efficacemente in queste tre componenti:

1. «Una forte coscienza ecclesiale che rende la Ecclesia Cluniacensis l’espressione più alta della vita religiosa del tempo, mentre i legami con la Chiesa romana ne assicurano, attraverso l’esenzione, la base storico-giuridica. La vita monastica perpetua, nella Chiesa, il fervore della Pentecoste e, anche mediante la preghiera per i defunti (la cui commemorazione, il 2 novembre, fu appunto propagata dall’abate sant’Odilone), esprime l’unità di tutto il Corpo mistico.

2. Un vivissimo senso dinamico della historia salutis che accentua per conseguenza il significato della vita monastica in seno alla comunità cristiana e nel quadro della salvezza. A questo riguardo, come per il caso di Orderico Vitale, si è potuto parlare addirittura di una "concezione storiografica cluniacense”.

3. Il prevalere della vita di preghiera su ogni altra attività, nel desiderio di giungere, attraverso il prolungamento degli uffici liturgici, alla oratio continua. Il monastero è infatti concepito quale un’immagine della corte celeste, una dimora degli spiriti beati, un deambulatorium angelorum, associato perciò alla lode perpetua delle creature angeliche. Nulla quindi appare sufficientemente bello e ricco per esprimere, nella solennità e nello splendore del culto, il desiderio di elevarsi ad una armonia sovrasensibile ed imperitura. Ma accanto a tale straordinario sviluppo della vita liturgica, non esclusiva certo di Cluny, sta il fiorire della pietà privata e del culto mariano, l’amore alla lectio divina e la tendenza escatologica» [12].

È questa l’epoca della massima fioritura spirituale. Il fascino della preghiera contemplativa si esprime negli opuscoli e nelle preghiere di Giovanni di Fécamp († 1078), nativo di Ravenna ma abate dal 1028 dell’abbazia della Trinità sulle coste normanne [13]. In Anselmo di Aosta, abate del Bec e arcivescovo di Canterbury († 1109) prevale l'interesse speculativo, ma avvolto in un clima spirituale, aperto verso le gioie dell’amicizia e l’impegno per la vita comune  [14].

Una rigorosa e originale ripresa della vita eremitica si incontra nella corrente promossa da san Romualdo e raccolta poi, sul piano istituzionale, dalla tradizione camaldolese. «Pur rifuggendo da ogni rigido schematismo, eremo e cenobio venivano posti sotto un solo superiore, vivente nell’eremo, verso cui doveva perciò essere orientato ogni sforzo ascetico e ogni interesse spirituale. La teoria della vita eremitica venne presentata in termini entusiastici all'Occidente da san Pier Damiani († 1072), eccezionale figura di asceta e di uomo di Chiesa, biografo di san Romualdo e ardito polemista. Le gioie della solitudine contemplativa volontaria e la devozione all’umanità di Cristo trovano in lui un espositore efficacissimo, sollecito nel mettere in guardia contro i pericoli della scienza profana e nello spronare chierici e monaci alla ricerca della perfezione» [15].

Non voleva che tutti accorressero all’eremo, però egli riteneva fosse il luogo più adatto per realizzare la propria salvezza. Come è noto, si dimise da cardinale vescovo di Ostia e scrisse un opuscolo sulla rinuncia alle dignità ecclesiastiche. Nel rapporto con il cenobio Pier Damiani accentuò - un po’ oltre il dettato della Regola di san Benedetto - la funzione dell’eremo, al quale si poteva accedere direttamente senza passare dal cenobio. Pier Damiani - di cui si stanno traducendo le lettere [16] - fu veramente un eremita ed uomo di Chiesa [17]: ma per lui la Chiesa era anche tutta nell’eremo (si ricordi il trattato Dominus vobiscum, che ora si legge nel vol. II della citata edizione delle Lettere) [18].

 

2.2. Cîteaux

Desiderio di autenticità si esprime sul finire dell’XI - inizio del XII secolo in diverse istituzioni, tutte appartenenti all’ambito monastico, e tutte orientate, come Grandmont in Francia e Pulsano in Italia, verso una vita evangelica dove trovava spazio, ovviamente, la pratica della povertà: alla vigilia, si può dire, della nascita dei mendicanti, l’antico monachesimo riscopriva il valore della povertà e della semplicità nella propria tradizione. Ma nessun movimento monastico del XII secolo ottenne il successo di Citeaux. Citeaux fu fondata il 21 marzo 1098 da alcuni monaci che avevano lasciato l’abbazia di Molesmes, di osservanza cluniacense, desiderosi di osservare la Regola di san Benedetto nella sua integrità, armonizzando preghiera, lavoro manuale e lettura spirituale. Come è noto, il monachesimo di Citeaux ebbe un incremento imprevisto, grazie all’ingresso in quella comunità, nel 1113, di Bernardo de Fontaine e dei suoi compagni. Mi piace riproporre ancora una volta una efficace pagina del Penco sulla spiritualità cistercense:

«L’eliminazione delle osservanze accumulatesi nel decorso dei secoli e la tendenza alla rectitudo Regulae fanno desiderare il ritorno al deserto, alla solitudine aspra e selvaggia, in cui la vita monastica venga ricondotta a quegli elementi primordiali di ascesi-ufficio divino, lectio, lavoro manuale - su cui la Regola di san Benedetto l’aveva posta. Un orientamento così netto e preciso in fatto di disciplina claustrale ha avuto degli enormi riflessi anche nel campo della spiritualità, specialmente per opera di san Bernardo e dei suoi discepoli. Si tratta infatti di una vera e propria “scuola”, come gli stessi cistercensi amarono definirla. Con essa tutto il precedente patrimonio di dottrina e di ascesi riceve il massimo di approfondimento e di interiorizzazione donando alla teologia monastica i suoi frutti più copiosi e maturi. L’universo spirituale è visto attraverso un accentuato simbolismo, mentre l’interesse psicologico si traduce nei trattati De anima. Lo circonda e lo segue una serie imponente di scrittori spirituali, rivalutati dalle ricerche più recenti: Aelredo di Rievaulx († 1167), Guerrico d’Igny († 1157), Isacco della Stella († 1169), Goffredo di Auxerre, Gilberto di Hoyland, Adamo e Tommaso di Perseigne e specialmente Guglielmo di Saint-Thierry († 1148), autore della celebre Epistula ad fratres de Monte Dei e teorico della mistica trinitaria. La “scuola" cistercense segna perciò l’ultima grande tappa della spiritualità benedettina nel Medioevo, riconfermando sui punti fondamentali di essa la propria solidarietà con i claustrales di tutte le osservanze. Si potrà dire tutt’al più che, quasi cercando di superare il segno sensibile della vita liturgica e sacramentale, tali monaci hanno incentrato la loro pietà direttamente sul mistero, influenzando in maniera decisiva la spiritualità del basso medioevo. Ma non si può dimenticare che dalla loro corrente proviene pure Gioacchino da Fiore, levatosi, con il suo messaggio escatologico, quale interprete del rinnovamento spirituale di tutta la società cristiana. Negli ambienti femminili tedeschi si segnalano gli scritti di Matilde di Magdeburgo, Matilde di Hackeborn e Geltrude la Grande del monastero di Helfta, di particolare importanza per l’accentuata spiritualità liturgica, lo sviluppo della mistica nuziale e la devozione verso il Cuore di Gesù» [19].

 

3. L’età della Devotio moderna:

un’epoca di crisi?

 

Si parla di crisi della spiritualità benedettina alla fine del Medioevo, quando si sviluppa la Devotio moderna. Il movimento è sorto nei Paesi Bassi (Belgio e Olanda) all’insegna della Devotio, applicata alla vita comune dei nuovi movimenti religiosi, denominati «Canonici di Windesheim» e «Fratelli della vita comune»: è devota la vita comune, nel silenzio, nella preghiera privata a preferenza di quella liturgica: ne è l’espressione altissima il devoto libello «De imitatione Christi», che non è sorto in ambiente italiano come pensavano i sostenitori della tesi gerseniana, ma che è stato adottato ben presto dal Barbo († 1443) per la riforma monastica attuata nella Congregazione di Santa Giustina che, in Italia, ha salvato l’antico monachesimo [20].

Non è in crisi la spiritualità monastica: è in crisi l’ordine benedettino, e per varie ragioni: la peste del 1348 e dei decenni successivi, il grande scisma d’Occidente (1378-1417), il nuovo clima culturale dell’Umanesimo con il quale il monachesimo deve confrontarsi senza trovare sempre il giusto equilibrio, lo sviluppo degli ordini mendicanti [21].

Ma il monachesimo si riforma, rinasce, nel clima della Devotio moderna. Grandi riformatori sono stati Ludovico Barbo, autore di una Forma orationis et meditationis; e García Cisneros autore di un Exercitatario al quale si ispirò anche sant’Ignazio di Loyola.

L’età moderna, per il monachesimo, si apre in queste prospettive: aspetti positivi e limiti. Nella sostanza però, come istituzione, il monachesimo rimane ad un buon livello, ed anche come osservanza.

Gli studi si sviluppano: basterebbe ricordare i monaci di varie congregazioni, collaboratori di Galileo: il cassinese Benedetto Castelli (1557-1643), ma anche l’olivetano Vincenzo Renieri, di Genova, morto nel 1647 appena quarantenne [22].

Né del tutto si è perso il contatto con la tradizione patristica e medievale, anzi è mantenuto vivo dalle grandi ricerche erudite compiute dai monaci francesi della Congregazione di San Mauro (Maurini), e dal loro principale esponente, Jean Mabillon († 1707), eruditissimo, fondatore della paleografia come scienza delle antiche scritture, ma anche autore di un trattato sugli studi monastici, nel quale hanno grande risalto proprio quelle discipline che avevano alimentato la spiritualità dell’età patristica e medievale.

Attraverso gli studi si ebbe pure un ricupero - magari molto modesto - della spiritualità monastica medievale. De antiquis monachorum ritibus del Martène è opera di erudizione, non è L’anno liturgico del Guéranger o il Liber sacramentorum di Schuster, ma intanto mantenne vivo e su solide basi l’interesse per l’antica liturgia monastica che era alla base della spiritualità alimentata nei monasteri [23].

La vera crisi della spiritualità monastica si ebbe, ovviamente, con la fine del monachesimo decretata dalla Rivoluzione francese alla fine del XVIII secolo.

 

4. La ripresa DOPO LE SOPPRESSIONI:

IL MOMENTO ATTUALE

 

La ripresa di coscienza nel mondo contemporaneo dei valori monastici è strettamente collegata alla rinascita dello stesso monachesimo e, in particolare, all’opera dell’abate Prospero Guéranger († 1875) restauratore del monastero di Solesmes e, di conseguenza, del monachesimo benedettino in Francia. Anche in altre nazioni, come in Italia, si ebbe una ripresa della vita monastica, ma nessuno riuscì a riprendere e a diffondere gli antichi ideali del monachesimo, le antiche tradizioni, quanto e come il movimento di Solesmes. Oggi è facile scorgere nel movimento di dom Guéranger qualche aspetto piuttosto derivato dal clima del Romanticismo che non dalla tradizione monastica medievale, ma nella sostanza l’opera del monaco francese fu altamente benemerita, e si può dire sia culminata con il classico commento alla Regola benedettina dell’abate Paolo Delatte, ritenuto il migliore di quelli allora esistenti, nel quale si ribadiva l'indole contemplativa della vita e spiritualità benedettina, ancorata ad una intensa vita liturgica ricuperata anche nei minimi particolari. Ma è con un’altra opera fondamentale, destinata a divenire addirittura un testo classico della letteratura spirituale del nostro secolo, Cristo ideale del monaco, dell’abate C. Marmion († 1923 ) che si compie un radicamento in profondità, nel cuore stesso del messaggio evangelico - la persona di Cristo - sulla base di un paolinismo che non poteva ancora, per altro, usufruire della conoscenza della tematica spirituale e particolarmente cristologica del Medioevo monastico. Le meditazioni del Marmion sulla Regola di san Benedetto si contemperavano con le dottrine attinte alla grande scuola francese del Seicento, allora in via di rivalutazione da parte di H. Bremond nella sua celebre opera Histoire littéraire du sentiment religieux en France, uno dei principali coefficienti per la moderna scoperta del concetto di “scuola di spiritualità”. Tali scuole erano, quindi, qualche cosa di ben valido e consistente, con un proprio nucleo centrale di dottrine, una propria tradizione letteraria, un proprio ambito di influenza spirituale e, come sarebbe apparso chiaramente ai nostri giorni, un proprio peso nel campo delle vere e proprie discussioni teologiche. Col Marmion il cristocentrismo della Regola benedettina veniva posto così efficacemente in risalto e inserito così nella sua classica trilogia (di cui gli altri volumi sono i notissimi Cristo vita dell’anima e Cristo nei suoi misteri) da indurre critici e studiosi della spiritualità a collocare la tradizione benedettina entro l’alveo delle spiritualità di tipo cristocentrico e a rafforzare quindi il concetto dell’esistenza indiscussa di una spiritualità benedettina di cui il cristo- centrismo veniva perciò ad essere indicato come una connotazione essenziale.

Questa affermazione del cristocentrismo come connotazione essenziale della spiritualità monastica, si presterebbe per ripercorrere tutta la sua storia alla ricerca di questo tema. Incontreremo conferme sorprendenti, dall’antica agiografia monastica prebenedettina (di un santo asceta, monaco, si dice: semper in ore psalmus, semper in corde Christus!), agli autori medievali (voglio citare almeno una preghiera di sant’Anselmo testimonianza - rara - della devozione a Gesù nostra madre: sed et tu Jesu, bone Domine, nonne et tu mater? [Opera, III, p. 40]) fino alle opere appena citate del b. Marmion.

Ma sarebbe necessaria almeno un’altra conferenza, per altro non necessaria perché il tema è stato già studiato egregiamente, ad es., da dom Gregorio Penco, in un altro suo efficace saggio dal titolo: Gesù Cristo nella spiritualità monastica medioevale [24].

Come superfluo sarebbe attardarsi sui noti rapporti della rinascita monastica con il movimento liturgico, e quindi con l’influsso esercitato su tutta la Chiesa specialmente ad opera del Liber sacramentorum del b. card. Schuster ( 1954).

Si può concludere, allora, osservando che nei due monaci scrittori più letti in questi ultimi decenni, Columba Marmion e Thomas Merton ( Bangkok 1968), si può cogliere una somiglianza, una riproposta delle due principali correnti spirituali del Medioevo monastico: con il Marmion, una spiritualità oggettiva (Cristo ideale del monaco), eco della spiritualità cluniacense; con il Merton, una spiritualità soggettiva (La montagna delle sette balze), eco della scuola cistercense (De anima) mentre nella riscoperta della lectio divina a seguito della Dei Verbum nel Concilio Vaticano II si ha l’aggancio più immediato con quello che appare sempre più chiaramente come l’elemento unificatore della spiritualità monastica, offerta veramente a tutta la Chiesa, al di là di una ricerca puramente erudita od anche di una concezione troppo ritualistica e formale della liturgia.


[1] A.I. SCHUSTER, La spiritualità benedettina, in Le scuole cattoliche di spiritualità. Vita e Pensiero, Milano 19452, 27-46.

[2] G. WINANDY, La spiritualità benedettina, in La spiritualità cattolica, a cura di J. Gautier, Ancora, Milano 1956 (ed. francese, 1953), 15-47.

[3] Sui rapporti tra le due regole, del Maestro e di san Benedetto, la bibliografia è sconfinata: si possono intanto utilmente consultare le edizioni critiche con versione francese curate dal p. Adalbert de Vogüé e suoi collaboratori: La Règle du Maître, I-III, Cerf. Paris 1964-1965 (SC 105-107); La Règle de saint Benoît, IVI, Cerf, Paris 1971-1972 (SC 181-186). Per una sintesi cf. San Benedetto: La Regola, a cura di G. Picasso, San Paolo, Roma 1996.

[4]  Sulla diffusione della Regola di san Benedetto in età carolingia, cf. BENEDETTO DI ANIANE, Vita e riforma monastica, a cura di G. Andenna - C. Bonetti, San Paolo, Cinisello Balsamo 1993, con bibl. precedente nella quale si distingue il saggio di R. GRÉGOIRE, Benedetto d’Aniane nella riforma monastica carolingia, in «Studi medievali». III serie, 26, 1985, 573-610.

[5] La più aggiornata rassegna è quella che si pubblica, con paginazione propria, nella rivista «Collectanea Cisterciensia» con il titolo Bulletin de spiritualité monastique, attualmente redatto dal p. Jacques Delasalle dell’Abbazia di Mont-des-Cats (Francia).

[6] Mi riferisco alla sequenza Laeta quies del Messale monastico O.S.B., e in particolare alle strofe nelle quali il santo è paragonato ad Abramo (Abrahae persimilem), ad Elia (Eliam latitantem), a Eliseo (Elisaeus dignoscatur), per finire in un crescendo: Illum Ioseph candor morum - Illum Iacob futurorum - meus effecit conscia.

[7] J. Leclercq, La vie parfaite. Points de vue sur l'essence de l’état religieux, Brepols. Turnhoult-Paris 1948 (tr. it., Milano 1961).

[8] G. PENCO, Profilo storico della spiritualità benedettina, in Il monachesimo fra spiritualità e cultura, Jaca Book, Milano 1991, 55-65; testo citato, 58.

[9] G. PENCO, Profilo storico della spiritualità, cit., 58-59.

[10] J. LECLERCQ, Cultura umanistica e desiderio di Dio, Sansoni, Firenze 1988, 29-42, per un penetrante profilo di san Gregorio Magno, «dottore del desiderio».

[11] J. LECLERCQ, Venticinque anni di storia monastica. A.I.M (Aiuto Inter Monasteri per le giovani Chiese), 1960-1985, Benedettina Editrice, Parma 1988

[12] G. Penco, Profilo storico della spiritualità, cit., 60-61.

[13] Giovanni DI Fécamp, Pregare nel medioevo. La confessione teologica e altre opere, tr. e note di G. Maschio, Jaca Book, Milano 1985: nella Introduzione di J. Leclercq, assai efficaci le pagine (16-20) dedicate alla «gioia di pregare».

[14] Riferimenti bibliografici essenziali in Anselmo d’Aosta figura europea (Convegno di studi, Aosta 1988), a cura di I. Biffi - C. Marabelli, Jaca Book. Milano 1989.

[15] G. Penco, Profilo storico della spiritualità, cit., 61.

[16] Opere di Pier Damiani. Edizione latino-italiana, a cura di G.I. Gargano: Lettere, I, a cura di G.I. Gargano c di N. D’Acunto, 3 voll., Città Nuova Roma 2000-2002. Ad ogni volume è premessa una introduzione, appropriata ai testi pubblicati, scritta da N. D’Acunto.

[17] J. Leclercq, Saint Pierre Damien eremite et homme d‘Église, Ed. di Storia e Letteratura, Roma 1960, tr. it., Brescia 1972.

[18] Si tratta della Lettera 28 (vol. II, 113-153) nota anche come opuscolo 11: Liber qui appellatur Dominus vobiscum (PL 145, 231A-252B).

[19] G. PENCO, Profilo storico della spiritualità, cit., 62-63.

[20] Anche in questo caso rinvio ai contributi di un recente incontro di studio: Imitazione di Cristo. Atti della giornata di studio (Vercelli. 13 gennaio 2001), a cura di A. Cereuti Garlanda, tip. Saviolo, Vercelli 2002 (Biblioteca eusebiana, 1); in particolare cf. il contributo di G. PICASSO, L’Imitazione di Cristo nella storia della spiritualità. 41-54; e quello di C. TRISTANO, In calce alla datazione del Codice B dell’archivio e biblioteca capitolare di Vercelli, 55-66.

[21] Per alcuni di questi aspetti, specialmente per i rapporti con l’Umanesimo e la loro armoniosa composizione nella Congregazione di Monte Oliveto, rinvio ai saggi raccolti nella seconda parte del vol. Tra umanesimo e ‘devotio. Studi di storia monastica. a cura di G. Andenna - G. Motta - M. Tagliabue, Vita e Pensiero, Milano 1999.

[22] Assai utile la sintesi di M. Mazzucotelli, Cultura scientifica e tecnica del monachesimo in Italia, MI. Abbazia San Benedetto, Seregno 1999; specialmente I, 58-65: I Monaci della cerchia di Galileo.

[23] Il De antiquis monachorum ritibus si legge come vol. IV dell’opera di E. Martène, De antiquis ecclesiae ritius, ristampato a Hildesheim nel 1969, nella 3a ed., Antwerpen 1738.

[24] In Medioevo monastico. Pontificio Ateneo Sant’Anselmo. Roma 1988, 133-170.

 


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23 marzo 2021                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net