A SCUOLA DI MANAGER CON SAN BENEDETTO?


Corriere della Sera - (24 gennaio 2001)

Medail Cesare

 Manager stressati a lezione da San Benedetto

 

Manager stressati a lezione da San Benedetto «L'abate deve far sì che i più forti abbiano qualcosa cui aspirare e i più deboli nulla da cui scappare», «Le decisioni minori possono esser prese dal superiore, ma quelle più importanti vanno concordate con tutto il gruppo». Queste e altre parole tratte dalla Regola scritta nel VI secolo da San Benedetto da Norcia, fondatore del monachesimo occidentale, possono essere di qualche utilità ai manager del moderno capitalismo?

Parrebbe di sì, stando all' esperienza di padre Dermot Trudget, dirigente d'azienda fino a 46 anni, che tiene corsi di «spiritualità aziendale» (sei weekend ciascuno nell'abbazia di Douai, presso Reading, a sud di Londra) ispirati, appunto, alla Regola di San Benedetto. I seminari, riferisce Avvenire, sono sempre più frequentati da manager frustrati per essere stati battuti dal concorrente su un' iniziativa, per non aver più nulla a cui aspirare essendo al culmine della carriera, per lo stress lavorativo che rovina le famiglie, e così via. A corso finito, sembra che i più cambino punto di vista circa i valori della vita e che tornino al lavoro più sereni. E' probabile che sia vero, anche perché fra i temi di padre Dermot (umiltà e pazienza in ufficio, fare i conti con la rabbia e con il perdono, equità con i sottoposti), c' è un quesito che ci pare la chiave di volta di tutto: può un fallimento portare a un risultato positivo? In altre parole, quando subite uno scacco, anziché deprimervi o macerarvi nella rabbia, provate a domandarvi se la circostanza non abbia avuto un risvolto benefico. E' proprio nei momenti di crisi, infatti, che i forzati della carriera possono entrare in rapporto con loro stessi, interrogarsi sul senso di una competizione forsennata e liberarsi della mentalità che li affligge. Se una batosta può far capire (come è avvenuto allo stesso padre Dermot) che una vita basata sull' ambizione è una rincorsa mai appagata a incarichi e stipendi sempre più alti, ben venga la batosta ad aprire gli occhi sulla vacuità della competizione. Magari con l' aiuto di San Benedetto.


Repubblica — (20 marzo 2001)

Orazio La Rocca

Ora et labora in monastero ma a meditare sono i manager

 

ROMA - I manager pubblicitari di Silvio Berlusconi vanno in monastero. Insieme a colleghi di altre aziende, i dirigenti di Publitalia - la società di pubblicità del gruppo FininvestMediaset - seguiranno corsi di spiritualità, di analisi sociopsicologiche, di managment e, se lo vorranno, pregare secondo la più stretta osservanza benedettina. Quella, per intenderci, legata alla storica regola dell'Ora et Labora scritta da San Benedetto da Norcia nel VI secolo dopo Cristo. Publitalia ha infatti aderito a un progetto di formazione che coniuga insegnamento benedettino e tecniche più avanzate in materia di mercato e di organizzazione aziendale. Quasi una sfida, alla quale, hanno aderito anche Mc'Donalds, azienda leader del mordiefuggi, Alpitour (viaggi e turismo), società produttrici di casalinghi, cementifici e gruppi specializzati in biotecnologie. L'iniziativa, intitolata "Corsi di manager in monastero" viene presentata oggi in un monastero benedettino del nord Italia, alla presenza di un selezionatissimo gruppo di manager, studiosi, religiosi e giornalisti (ma solo muniti di regolare invito). «Per rispettare la privacy dei padri benedettini che ci ospitano nel loro monastero, non pubblichiamo l'indirizzo esatto dell' incontro», spiega Paolo Giuseppe Bianchi (38 anni), promotore dell' iniziativa e ispiratore dei corsi. Alla presentazione è stata inviata anche Fabiola Arredondo, ex presidente di Yahoo! Europa, dimessasi dall' azienda per un periodo di meditazione. I ritiri previsti sono due, l'uno complementare all'altro e di 4 giorni ciascuno. Il primo, dedicato all'analisi del cambiamento interiore, è in programma per il mese di maggio; il secondo a luglio e avrà per tema le strategie future della vita aziendale. «Sono corsi aperti a manager di impresa - spiega Bianchi - che ritengono giunto il momento di analizzare il proprio bilancio di carriera e che vogliono migliorarsi riqualificandosi nei vari scenari di mercato e di organizzazione». In sostanza, manager intenzionati a fare il punto sulla loro attuale carriera, con l'intento di trovare «nuovi stimoli e nuovi interessi per il futuro, servendosi anche della conoscenza dei ritmi e delle regole che da secoli armonizzano la vita di uno degli ordini monastici che forse più di altri ha saputo coniugare spiritualità e lavoro, i benedettini». E' una esperienza che altrove - giura Paolo Giuseppe Bianchi - ha già prodotto ottimi risultati. Come ad esempio, in Inghilterra, per iniziativa di padre Dermot Trudget, manager fino a 46 anni, ed ora mente ispiratrice dei corsi benedettiniaziendali nell'abbazia di Douai, presso Reading, a sud di Londra. Dall' Inghilterra, questi particolari ritiri spirituali ora sbarcano in Italia: i top manager che hanno già dato l' adesione, oltre a seguire i corsi, potranno vivere a stretto contatto con i monaci benedettini, seguire i loro orari liturgici e, all'occorrenza, dare una mano nei lavori di cucina e nei campi. - 

 


Avvenire (26-10-2006)

Di Riccardo Maccioni

Il buon manager si dà una Regola

 

L’amministratore delegato come un abate, il direttore finanziario simile al frate cellerario... Arriva in Italia il tentativo di applicare le norme benedettine alle aziende. Con la scoperta che un business più umano è possibile

  In apparenza non ci sono realtà più distanti. Da una parte l'abbazia monastica il cui scopo, per dirla con san Benedetto, è «piacere soltanto a Dio». Dall'altra l'azienda, che nasce e si sviluppa con l'obiettivo di generare e distribuire ricchezza. In realtà, tra questi universi che si penserebbero antitetici, può esserci più di un punto di contatto. Sotto il profilo etico, certo, ma anche - ed è questo l'aspetto più curioso - per quanto riguarda organizzazione e gestione delle «risorse» umane.
Fatte le debite proporzioni, infatti, la Regola benedettina, con la sua suddivisione dei compiti e l'oculata distribuzione dei ruoli, può essere considerata il primo trattato di management aziendale della storia. E l'attenzione alla centralità della persona, la ricerca di un corretto equilibrio tra attività e impegno spirituale, sono modelli applicabili anche alle imprese, valorizzandone gli obiettivi. O mission che dir si voglia.
In proposito, molti conoscono la storia di padre Dermot Tredget, monaco inglese con un passato da imprenditore, che da alcuni anni tiene corsi di formazione per manager basati sulla Regola benedettina. Diversa per genesi ma simile come orizzonte è la storia dell'associazione italiana «Verso il Cenobio». Nata spontaneamente dagli incontri di un gruppo di amici presso l'Eremo di Santa Caterina sulla sponda lombarda del Lago Maggiore, con il tempo è diventata promotrice di iniziative dedicate al mondo dell'impresa. E non solo. Frutto concreto di quest'attività è il volume L'organizzazione perfetta (Guerini e associati, pp. 198; euro 19,50). L'autore, Massimo Folador, partner di una società che si occupa di consulenza strategica all'impresa e di formazione nonché presidente di «Verso il Cenobio», ha voluto dare spazio alle esperienze maturate nelle giornate trascorse all'Eremo, nello studio attento ed appassionato della Regola, e poi confluite nella domanda che è alla base del saggio: «Può un libro che per secoli ha dettato gli obiettivi, le scelte e le azioni di migliaia di abbazie, indicare i valori e i comportamenti utili anche oggi a quelle particolari comunità che sono le nostre aziende?».
La risposta è naturalmente affermativa. Pagina dopo pagina, ma senza inutili pedanterie, Folador accompagna alla scoperta di un testo che a distanza di 1500 anni resta di straordinaria attualità e fascino. Di pari passo va il viaggio dentro il mondo aziendale che, rivisto alla scuola di san Benedetto, è tutt'altro luogo rispetto alla cinica esaltazione del business, tramandataci da certe fiction.
Il punto di svolta, inutile persino ripeterlo, è mettere al centro la persona, renderla, ciascuna secondo i propri incarichi, corresponsabile del progetto di fondo. Motivarla. Solo così, sentendosi parte di una comunità e non semplice ingranaggio di una catena guidata da altri, il lavoro può trasformarsi da dovere in impegno, da bisogno in obiettivo. In questo, la Regola è davvero un fondamentale punto di riferimento. A cominciare dall'assegnazione dei ruoli, primo fra tutti quello di guida. Come l'abate secondo san Benedetto, così il leader aziendale non può essere soltanto preparato professionalmente ma alla competenza deve abbinare doti umane e caratteriali. «Manager - scrive Folador - in grado di conciliare autorità e autorevolezza, competenze tecniche e abilità di relazione, grazie anche al gusto di scendere in profondità rispetto a cose e persone, di capire e farsi capire».
In altre parole l'eccellenza professionale non basta. Dev'essere accompagnata da quella che banalmente chiameremmo «umanità» che significa attenzione all'altro, capacità di ascolto, umiltà. Il discorso vale anche per gli incarichi più «subalterni». Ogni ruolo, la Regola in questo è molto chiara, va affidato in base a precise attitudini professionali e umane. Il discorso vale per il «cellerario» che potremmo paragonare a un direttore finanziario, come per il maestro dei novizi, antesignano del responsabile della formazione, e via «discendendo». Senza però che la ripartizione di incarichi e responsabilità apparentemente inferiori implichi minore attenzione e rispetto. Perché, nell'azienda modellata sull'abbazia, tutti sono importanti. Tra le eredità più antiche eppure più nuove lasciateci da san Benedetto - conclude Folador - c'è infatti questo «concetto di cammino da compiere insieme, sulla scorta di un obiettivo e valori comuni».
Quanto allo stile di questo «viaggio», la Regola, autentica magna charta di tutto l'Occidente cristiano, è ancora una volta maestra. «Per il rigore, la lucidità, l'ordine e non ultima l'umanità con cui tratta i problemi del vivere in comune per raggiungere un determinato traguardo - spiega Giuliano Vigini nella prefazione al volume -. Senza mai adagiarsi su quello che si è conquistato (che sarebbe il primo modo per tornare indietro) ma guardando sempre avanti per individuare ciò che serve a fare meglio, cominciando a migliorare se stessi e imparando di più a fare sistema o squadra, come si usa dire oggi». Cioè - è ancora Vigini a riflettere - «ad avanzare insieme, condividendo tutta la fatica ma anche la gioia della strada».


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21 giugno 2014                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net