La Regola di Eugippio: collocazione storica e geografica

Brani estratti e tradotti da "The Emergence of Monasticism" di Marilyn Dunn - John Wiley & Sons, 2008 [1]

 

Il monachesimo italiano agli inizi del sesto secolo

Durante il sesto secolo si potevano trovare monasteri in tutta la lunghezza della penisola italiana. A Roma, i monasteri basilicali fornivano il servizio liturgico alle chiese maggiori, mentre all'estremità opposta della scala ascetica alcune donne aristocratiche continuavano a seguire l'usanza stabilita per la prima volta nel IV secolo, vivendo in ritiro all'interno delle proprie case. La maggior parte dei monasteri, tuttavia, era costituita da comunità di uomini o donne dedicati semplicemente ad un ciclo di preghiera e contemplazione e si potevano trovare sia all'interno che all'esterno delle città. Poco si sa sulla maggior parte di queste fondazioni che sembra siano state delle case religiose convenzionali, dovute alla pietà di un fondatore. I monaci non assunsero incarichi parrocchiali. I canoni del Concilio di Calcedonia (451), che includevano la disposizione che i monasteri fossero sotto il controllo finale del vescovo locale, furono sporadicamente applicati dai papi a partire dal 520, ma solo sistematicamente da Gregorio I (590-604).

Nei primi decenni del sesto secolo, e forse per molto più tempo, sembra probabile che il monachesimo italiano fosse ancora largamente guidato dalle opere di Agostino, Basilio e Cassiano. Questi ultimi due erano probabilmente utilizzati in modo selettivo ed eclettico: non tutti i membri delle comunità religiose avrebbero trovato attraente lavorare o donare la loro ricchezza in carità come avrebbe voluto Cassiano o Basilio, preferendo invece condurre una vita interiore di contemplazione silenziosa; anche se in Sicilia un vir inluster, altrimenti sconosciuto, Saturnino, creò uno xenodochium, ovvero un ospizio per i poveri, in associazione con un monastero dedicato a San Giovanni a Catania. Un esempio di approccio eclettico alle precedenti opere e regole monastiche si trova nella vocazione di Fulgenzio (467-533) [2], vescovo di Ruspe nel Nord Africa, che era stato membro di diverse comunità monastiche e fondatore di molte altre. Membro di una famiglia senatoriale, Fulgenzio si convertì alla vita monastica dopo aver letto il commento di Agostino sul Salmo 36. Convinto Agostiniano in termini teologici, Fulgenzio usò la regola monastica di Agostino, forse come base della vita clericale organizzata, ma sembra anche che sia stato fortemente influenzato dalle opere ascetiche di Basilio e Cassiano. Esiliato due volte in Sardegna da Trasamondo, il sovrano ariano dei Vandali del Nord Africa, fondò lì due comunità, una per monaci e chierici ed un'altra per i monaci e, attraverso la sua convinzione dell'importanza della scrittura come metodo di prassi ascetica e pastorale, influenzò un certo numero di suoi contemporanei italiani.

 

Eugippio e la questione della sua Regola

L'associazione da parte di Cassiano della contemplazione con lo studio delle Sacre Scritture continuò ad essere particolarmente attraente per gli aristocratici inclini all'intellettualità con ampie risorse di finanze o di terreni a loro disposizione. Uno dei corrispondenti di Fulgenzio fu Eugippio, capo della comunità incentrata attorno al santuario di san Severino a Castrum Lucullanum (ora Pizzofalcone, Napoli), che ebbe un ruolo importante nella cultura religiosa aristocratica degli inizi del sesto secolo. Eugippio ebbe contatti ai più alti livelli della società: corrispondeva non solo con Fulgenzio, ma anche con Proba, la figlia del senatore Simmaco e cognata del filosofo e politico Boezio, che era diventata una vergine consacrata all'inizio del sesto secolo e che corrispondeva anche con Fulgenzio. Altri membri di questa cerchia includevano il dotto monaco Dionigi il Piccolo [3], che rimodellò il metodo di calcolo della data di Pasqua e tradusse la Vita di Pacomio dal greco al latino; ed il diacono Pascasio [4], un membro di spicco della fazione Laurenziana, che includeva i partigiani dell'impero orientale di Roma. Castrum Lucullanum fu un monastero con uno scriptorium ad esso collegato e da questo scriptorium i manoscritti furono inviati ai membri del circolo di Eugippio, incluso Fulgenzio, quando la sua fondazione sarda mancava di libri. Eugippio, autore della Vita di san Severino, fu un fervente ammiratore delle opere di Agostino ed a Proba [5] - una nobile donna romana che viveva come asceta nella propria casa e la cui vasta biblioteca egli aveva utilizzato - dedicò la sua grande raccolta di brani tratti dalle opere di Agostino.

 

 La Regola attribuita ad Eugippio

L'ispirazione che sta dietro l'attività di Fulgenzio ed Eugippio fu fornita dagli scritti di Basilio, Cassiano ed Agostino. Nel settimo secolo, tuttavia, Isidoro di Siviglia nel suo De viris illustribus [6] affermò che Eugippio aveva anche composto una sua propria regola per la comunità di Castrum Lucullanum. A partire dagli anni '70, questa Regula Eugipii è stata identificata con una raccolta di estratti di ben noti testi monastici e che inizia con le regole agostiniane Ordo Monasterii (o Regula Secunda) e Regula Tertia (o Praeceptum o Regula ad Servos Dei): questi due testi sono seguiti da una serie di estratti da Basilio, Pacomio, Cassiano, Lettera di Girolamo 125 , la Regola dei Quattro Padri, un testo noto come le Sentenze di Novato ed una regola conosciuta con il titolo di Regula Magistri o Regola del Maestro.

È principalmente la presenza delle due regole associate ad Agostino - che compaiono nella loro interezza e si distinguono dagli estratti delle altre regole che seguono - che ha suggerito ad alcuni che la sequenza nel suo complesso può essere identificata con la regola composta da Eugippio, il quale compilò una lunga serie di estratti dalle opere di Agostino (denominata "Excerpta ex Operibus Sancti Augustini"). Ma non ci sono segni definitivi che abbia avuto origine nel Castrum Lucullanum. Mentre ci sono riferimenti alla copiatura di manoscritti da parte di scribtores [sic], il contenuto di molti degli estratti indica una comunità in cui i monaci praticavano anche dei mestieri ed avevano in carica degli attrezzi: egli cita Basilio parlando del lavoro e della custodia di recipienti ed attrezzi e menziona la possibile entrata di pellegrini in un'area del monastero dove venivano praticati i mestieri. Gli studiosi furono solo in grado di identificare questa regola-centone con la composizione di Eugippio dopo che una delle regole che vi è citata, la cosiddetta Regola del Maestro, fu re-datata alla prima metà del sesto secolo. In precedenza, questa regola era stata considerata come un'opera successiva basata sulla Regola di Benedetto da Norcia. La Regola del Maestro, tuttavia, mostra molti segni di influenza irlandese ed io ho suggerito che, piuttosto di essere vista come una precorritrice della Regola di Benedetto, dovrebbe essere associata con l'avvento del monachesimo colombaniano nell'Italia del settimo secolo. La sua derivata, la cosiddetta Regola di Eugippio, deriva probabilmente da uno dei piccoli monasteri dipendenti o celle di Bobbio, che erano anche centri agricoli e pastorali

 

La Regola attribuita ad Eugippio e la cellae di Bobbio e Corbie [7]

Dei due più antichi manoscritti della Regola del Maestro, uno contiene il testo completo, mentre l'altro solo alcuni capitoli selezionati, che a loro volta fanno parte di un'altra regola composta anche da estratti di Cassiano, Basilio, un testo noto come le Sentenze di Novato, Girolamo, Pacomio e la Regola dei Quattro Padri. L'intera collezione è preceduta dall'Ordo Monasterii, attribuito ad Agostino ed alla sua Regula Tertia. Ormai da qualche tempo, l'intera collezione è stata identificata con la regola che, secondo Isidoro di Siviglia, Eugippio compose per il suo monastero di Castrum Lucullanum a Napoli. Questa identificazione, che si basa in parte sul parere che la Regola del Maestro risalga alla prima parte del sesto piuttosto che del settimo secolo, non tiene purtroppo nemmeno conto della inadeguatezza delle norme esposte nella regola per un'organizzazione come Lucullanum, un monastero fondato da un aristocratico e contenente un famoso scriptorium. La raccolta di testi che compongono la regola pongono, infatti, l'enfasi sugli attrezzi e sugli utensili del monastero e l'importanza attribuita al lavoro manuale suggerisce fortemente che questa potrebbe essere stata una regola messa insieme per le celle di Bobbio, che erano centri di produzione agricola e di evangelizzazione, e dove il lavoro manuale dei monaci può avere inizialmente (come a Bobbio stesso) incluso il lavoro agricolo. Le Vite degli abati Attala e Bertolfo di Bobbio certamente rivelano un livello di attitudine agricola da parte dei monaci di Bobbio e coloro che vivevano nelle loro cellae portarono un certo grado di competenza tecnica nelle regioni in cui erano insediati - per esempio nella costruzione e nell'uso dell'aratro. La regola cita anche un capitolo di Basilio che si riferisce all'ingresso di "pellegrini" in un'area del monastero in cui vengono praticati i mestieri. La liturgia relativamente ristretta descritta nell'Ordo Monasterii potrebbe essere stata pensata adatta ad una piccola chiesa in cui fosse ammesso il pubblico. Due capitoli sui penitenti (tratti da Basilio) suggeriscono che la casa potrebbe aver in parte adempiuto la funzione di un penitenziario, mentre altre sezioni delineano le responsabilità dell'abate - presumibilmente l'abate di Bobbio, il cenobio centrale - ed il praepositus – il capo della cella? L'intera collezione si conclude con estratti adattati da Basilio e dalla lettera 125 di Girolamo (il testo che conclude la stessa Regola Monastica di Colombano) che proibisce ai monaci di lasciare la comunità per diventare eremiti. Questo divieto ricorda con forza una serie di incidenti descritti nella Vita dell'Abate Attala (morto nel 627) scritta da Giona, dove un certo numero di monaci tenta di sfuggire al rigore disciplinare di Bobbio, che seguiva ancora in questa fase iniziale la regola colombaniana, partendo per andare a vivere negli eremi. Alcune delle celle potrebbero persino essere state create a seguito della rivolta e sembra che il ricordo delle minacce all'autorità abbaziale ed alla disciplina del cenobio fosse ancora presente quando fu creata questa breve regola.

La scrittura dei due manoscritti superstiti contenenti la Regola del Maestro - la sua versione completa e gli estratti che fanno parte di una seconda regola - è simile a quella di una copia del sesto secolo di Prudenzio che era arrivata nella biblioteca di Bobbio e possiamo presumere che questi fossero stati copiati lì. Intorno al 700, entrambi i testi avevano attraversato le Alpi ed erano entrati nella biblioteca di una delle più importanti case "Colombaniane" in Francia, Corbie, in Piccardia. Tra il 657 ed il 661, la sua fondatrice, la regina Baldechilde (o Batilde), aveva dotato il monastero di non meno di dodici proprietà. Queste diventarono i siti di piccoli centri monastici che fungevano da centri del cristianesimo nell'area e nel 664 i monaci di Corbie ottennero una carta di esonero dal vescovo di Amiens, che limitava i suoi poteri ad un livello di controllo disciplinare. Non sorprende che copie delle due regole siano state inviate a Corbie, che faceva parte dello stesso movimento monastico e che, con i suoi satelliti, era giunta ad occupare una posizione molto simile a quella di Bobbio. Più a nord, anche Sithiu (oggi Saint Omer: monastero fondato da san Bertino) si sviluppò in modo simile, così come Jumièges (fondato da san Filiberto) e Fontanelle (fondato da san Vandregisilo) [8], questi ultimi due fondati in una diocesi presieduta da Dadone [9] (o Audoeno), vescovo di Rouen. La Vita di Filiberto, che si è formato a Rebais (presso Coulommiers, 50 km ad est di Parigi), lo descrive come un'ape che estraeva il nettare dai fiori dei precedenti scrittori monastici, in particolare Basilio, Macario, Benedetto e Colombano. Ciò suggerisce che potrebbe aver creato una regola simile a quella concepita per la cellae di Bobbio e di Corbie .

Nella Liguria rurale ed ai margini settentrionali della Francia, con le sue popolazioni di Gallo-Romani, Franchi e Sassoni, le celle monastiche rurali probabilmente fungevano inizialmente da centro per la predicazione ed il battesimo e si svilupparono nel secolo successivo, o nei due successivi, in vitali centri pastorali. L' esistenza di cellule monastiche - centri agricoli, ritiri e centri battesimali combinati - prefigurava il possesso di chiese dipendenti da parte di monasteri in altre aree d'Europa. Nei secoli successivi, l'assolvimento della cura animarum da parte dei monaci divenne più frequente man mano che le proprietà monastiche crescevano ed i monasteri incorporavano le chiese rurali.

 


[1] Le note sono del traduttore.

[2] San Fulgenzio nacque a Thelepte, oggi Nedinet-el Kedima, Tunisi, verso il 462 dalla famiglia senatoriale dei Gordiani. Da giovane ricoprì l’ufficio di procuratore. Attratto alla vita religiosa, decise di abbracciarla in seguito alla lettura del commento di sant’Agostino al salmo 36.

Verso il 499 si mise in viaggio con l’intento di raggiungere i monaci della Tebaide, in Egitto. Ma, arrivato in Sicilia, fu dissuaso da alcuni amici a continuare il viaggio, a causa delle simpatie di quei monaci per l’eresia monofisita. Nel 500 era a Roma; verso il 502 venne eletto vescovo di Ruspe. Dai Vandali fu esiliato due volte in Sardegna, dove istituì dei monasteri. La sua vita monastica si ispira al pensiero e all’esempio di sant’Agostino tanto da essere chiamato «Augustinus breviatus». Per questo motivo fondò molti monasteri sia in patria che in esilio. Morì a Ruspe il 1° gennaio 527. (Dal sito https://augustinians.net)

 

[3] Dionigi il Piccolo è stato un monaco cristiano scita, che visse a Roma tra la fine del V e l'inizio del VI secolo. Volle essere chiamato "il Piccolo" in segno di umiltà verso San Dionigi l'Areopagita e San Dionigi di Alessandria. È famoso per avere calcolato la data di nascita di Gesù, collocandola nell'anno 753 dalla fondazione di Roma, e per avere introdotto l'uso di contare gli anni a partire da tale data (anno Domini). Oggi, tuttavia, la maggioranza degli studiosi ritiene che la data di Nascita di Gesù vada collocata, in base all'interpretazione dei vangeli, tra il 7 e il 4 a.C., quindi alcuni anni prima della data calcolata da Dionigi.

A partire dal 500 circa Dionigi visse a Roma, dove divenne un dotto membro della Curia e tradusse dal greco in latino 401 canoni ecclesiastici, compresi i Canoni apostolici; i decreti dei concili di Nicea, Costantinopoli, Calcedonia e Sardica; e una raccolta delle decretali dei papi da Siricio a Anastasio II. La sua raccolta, conosciuta come Collezione Dionisiana è indubbiamente, assieme ai Canoni degli Apostoli, la più importante del suo tempo. Uomo assai dotto, soprattutto nella Sacra Scrittura, nella matematica e nel greco, fu autore di un trattato di matematica elementare e tradusse dal greco al latino le vite di San Pacomio e di altri santi e il trattato "De hominis opificio, Sulla creazione dell'uomo" di Gregorio di Nissa.

[4] Pascasio (morto tra il 511 e il 514), diacono di Roma, è chiamato da Gregorio Magno nei suoi Dialoghi, libro IV cap. 42 e 43: "un uomo di straordinaria santità, dedito soprattutto alle opere di beneficenza, amico dei poveri, e capace di ogni abnegazione". Esiste un suo lavoro in due libri, "De Sancto Spiritu" (Patr. Lat. LXII), che Gregorio Magno chiama "libri rectissimi ac luculenti", anche se attualmente certi studiosi ne mettano in dubbio l'autenticità. Gregorio ricorda anche il sostegno dato da Pascasio all'antipapa Lorenzo, contrapposto al papa "ufficiale" Simmaco. Stando al racconto di Gregorio, per questo motivo dopo la morte fu condannato al Purgatorio, ma ne fu liberato grazie alle preghiere di Germano, vescovo di Capua. E ciò perché Pascasio peccò "non per malizia, ma per ignoranza" ed inoltre "fu la sua prodigalità nelle elemosine a meritargli di potere ottenere il perdono". (Estratti da "Opere di Gregorio Magno – I Dialoghi", Città Nuova Editrice 2000).

[5] Proba era un’aristocratica, forse la figlia di Quinto Aurelio Simmaco (oratore, senatore e scrittore romano) e perciò imparentata con Cassiodoro e Boezio; a lei Dionigi il Piccolo dedicò la traduzione della Vita di Pacomio; Fulgenzio le inviò due lunghe lettere sulla verginità, l’umiltà e la preghiera e ne esaltò le eccezionali virtù cristiane nella lettera alla sorella di lei, la vedova Galla. Era una donna colta, che possedeva una biblioteca notevole, nella quale erano accolti scritti di Agostino, gli stessi (almeno in parte) dai quali Eugippio trascelse un florilegio, che le dedicò. A comporre questa silloge di Excerpta Augustini l’abate del Lucullano probabilmente si servì della biblioteca di Proba, mentre alla biblioteca del Lucullano fece ricorso Fulgenzio.

[6] Così Isidoro di Siviglia (565-636) nel suo De viris illustribus (Patrologia Latina vol. 83, cap XXVI): "Eugippio, abate di Castrum Lucullanum, nella regione di Napoli, in Campania. Compose, in modo conciso, un piccolo libro sulla vita del monaco san Severino, che fu inviato a un certo diacono chiamato Pascasio. Scrisse anche una regola per i monaci che soggiornavano nel monastero di San Severino, che lasciò loro quando stava morendo come una specie di codice di legislazione lasciato in eredità. Divenne famoso dopo il consolato di Importuno il Giovane, sotto il regno dell'imperatore Anastasio (dal 491 al 518)".

[7] Gli scritti colombaniani contribuiscono a ricostruire il quadro di un insediamento plurinucleare, con strutture abitative ospitanti gruppi molto esigui di monaci. Le Regulae in particolare lasciano intravvedere l’esistenza di celle separate, indicate come cubicula, cellulae, cellae, che sembrano essere occupate da due o più monaci, secondo quanto parimenti documentato nei monasteri irlandesi. Il caso bobbiese attesterebbe dunque un importante momento di transizione nell’ambito del monachesimo, da una organizzazione basata su una pluralità di unità residenziali, abitate anche solo da un singolo monaco, ad un dormitorio comune, garanzia al contempo di assoluta castità e povertà ed espressione concreta dell’essenza della vita cenobitica, insieme al refettorio.

Estratto da "Il monastero di Bobbio in età altomedievale" di Eleonora Destefanis - Ed. All’Insegna del Giglio 2002.

[8] La traduzione letterale sarebbe: " Più a nord, Sithiu (san Bertino) si sviluppò in modo simile, così come Jumièges (Fontanella), entrambi fondati in una diocesi presieduta da Dado, vescovo di Rouen". Io non ho trovato nessuna corrispondenza tra Jumièges e Fontanella, mentre tutte le fonti parlano di due distinti monasteri. Per questo motivo mi sono permesso di modificare il testo originale.

[9] Audoeno o Dadone, vescovo di Rouen, favorì l'espandersi della vita monastica, consacrando le chiese delle abbazie colombaniane di Fontenelle (Fontanella nella forma latinizzata), fondata dal suo vecchio amico san Vandregisilo su una terra concessa da Ercinoaldo o Erchinoaldo, Maggiordomo di palazzo della Neustria e della Burgundia  e di Jumièges, fondata da san Filiberto su un terreno donato da Clodoveo II e dalla regina Batilde.

 


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15 gennaio 2019                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net