Thomas Merton

Diario di un testimone colpevole

Garzanti 1992

 

Alcuni brani del libro aventi per tema l’ecumenismo vissuto da un monaco.

Prefazione

Se la Chiesa cattolica rivolge lo sguardo al mondo moderno e alle altre chiese cristiane, e se forse per la prima volta prende seriamente in considerazione le religioni non cristiane così come sono, è necessario che almeno qualche teologo contemplativo e monastico porti un proprio contributo alla discussione. E' appunto ciò che voglio tentare, fra l'altro, con questo libro. Esso presenta i problemi contemporanei nella visione personale di un monaco. La singolarità, l'esistenzialità e la poeticità della loro impostazione s'inquadrano perfettamente nella visione monastica della vita.

 

 

 

Pag. 15-16

Per leggere la Bibbia bisogna essere ebrei. Chi non lo è fa meglio a richiuderla. Essa non ha senso per chi non è “spiritualmente ebreo », Il contenuto spirituale del Vecchio Testamento non si ottiene svuotandolo della sua sostanza israelitica. Al contrario! Il Nuovo Testamento è la realizzazione di quel contenuto spirituale, il compimento della promessa fatta ad Abramo e nella quale Abramo ha creduto. Perciò non è mai una negazione dell'ebraismo ma la sua affermazione. Chi lo ritiene una negazione non ne ha capito niente.

 

Non c'è nulla dello spirito di ghetto in san Benedetto. Ciò che è meraviglioso nella sua Regola e in lui stesso è quella freschezza e libertà di spirito, quella sanità mentale e larghezza di vedute, quella salute di cui traboccava la vita dei primi benedettini.

La stessa sanità e lo stesso respiro ritroviamo nei primi commentari della Regola, come quelli di Smaragdo, di Ildemaro e quindi di Warnefrido.

Ma quando il monastero si ripiega su se stesso interpretando le interpretazioni delle interpretazioni, diventa un ghetto. Le riforme troppo esclusivamente concentrate su un «ritorno alla lettera» finiscono con l'essere prese in un groviglio di interpretazioni, e per poco non rompono l'incanto. Mentre si propongono di immettere una ventata di aria fresca, in realtà non fanno che aumentare il pericolo di soffocamento perché chiudono tutte le finestre che guardano sul mondo o verso il cielo.

L'aria del mondo esterno non è aria pura. Aprire la porta e uscire per le strade non è una soluzione. L'aria pura di cui abbiamo bisogno è il respiro nitido dello Spirito Santo, che viene come il vento e soffia dove gli piace. La finestra deve quindi aprirsi o potersi aprire in tutte le direzioni. È un errore sprangare porte e finestre per trattenere in convento lo Spirito Santo. L'atto stesso di sprangare porte e finestre a questo fine può essere fatale.

San Benedetto non ha mai affermato che il monaco non debba mai uscire di convento, mai ricevere una lettera, mai accogliere un visitatore, mai parlare ad alcuno, mai sentire una notizia da fuori. Egli voleva che il monaco sapesse distinguere ciò che è inutile o addirittura dannoso da ciò che è utile e salutare, e in tutte le cose glorificare Dio.

Rinnegare il mondo? Il monaco deve vedere Cristo nel pellegrino e nello straniero che vengono dal mondo, specialmente se poveri. Questo è lo spirito e la lettera della Regola.

 

Pag. 20-21

Essere un solitario ma non individualista: preoccupato non soltanto di perfezionare la. propria vita (questo, come ben comprese Karl Marx, è un lusso sconveniente e pieno di illusioni). La solitudine dell'individuo appartiene al mondo e a Dio. Dico giusto?

La solitudine ha un suo compito speciale da assolvere: approfondire la coscienza di ciò di cui il mondo ha bisogno, lottare contro l'alienazione. La vera solitudine è profondamente consapevole delle necessità di questo mondo. Non tiene il mondo a distanza.

 

« Se come cristiani pensiamo che tra Chiesa e Sinagoga non vi sia più alcuna possibilità d'incontro, tutto è finito. E dove la separazione tra comunità e popolo ebreo è stata più completa, la comunità cristiana ne ha sofferto. La realtà della rivelazione di Dio è in tal caso segretamente negata, con il risultato inevitabile che filosofia e teologia prendono il sopravvento e inventano una cristianità di greci o di tedeschi o di qualche altro popolo liberamente scelto.» (Karl Barth)

In conseguenza di questo principio, Karl Barth ravvisa chiaramente nell'antisemitismo dei nazisti anche un attacco a Cristo.

 

Pag, 22

Quando saprò riunire in me stesso il pensiero e la devozione della cristianità orientale c di quella occidentale, dei Padri greci e di quelli latini, dei mistici russi e di quelli spagnoli, allora potrò preparare in me la riunificazione dei cristiani divisi. Da questa segreta e inespressa unità che è in me, alla fine scaturirà l'unità visibile e manifesta di tutti i cristiani. Se vogliamo mettere insieme ciò che è diviso non dobbiamo imporre una divisione sopra un'altra o assorbire l'una nell'altra. In questo modo otteniamo non un'unione cristiana, ma un'unione politica destinata a provocare nuovi conflitti. Dobbiamo invece contenere dentro di noi tutti i mondi divisi e trascenderli nel Cristo.

 

Pag. 40

Siamo stati a sentire una conferenza teologica nel capitolo monastico. Ancor più sconcertante del solito. La tesi era: «È impossibile conoscere con certezza di fede se uno si salva. » C'è stato quindi un grande annaspare e ronzare sulla certezza, certezza morale, questa o quella certezza, tutto fuorché la fede. Benissimo. Ma mi pare che non ci siamo per niente ricordati del movimento ecumenico. Siamo tutti occupati a dimostrare che i protestanti hanno torto. Ma qualcuno forse ha pensato a nominare anche una sola volta la parola « speranza »? No, nessuno. Siamo dunque in piena disperazione.

 

Pag. 44

Un giorno Gandhi chiese: « Come può essere fraterno chi crede di possedere la verità assoluta? »

Siamo sinceri: la storia del cristianesimo non fa che risollevare di continuo questa domanda.

Il problema è questo: Dio si è rivelato agli uomini nel Cristo, ma si è rivelato anzitutto come Amore. La verità assoluta si può quindi comprendere come amore, ma non certamente in un modo che escluda l'amore in certe situazioni. Solo chi ama può star certo di essere sempre a contatto con la verità, che in realtà è troppo assoluta per essere capita dalla sua mente. Perciò chi si attiene alla verità del vangelo teme di perderla per un mancamento nell'amore, non nella conoscenza. In questo caso egli è umile, quindi saggio. Ma scientia inflat. La conoscenza gonfia l'uomo come un pallone e gli conferisce una completezza precaria per la quale egli crede di possedere tutte le dimensioni di una verità la cui totalità è negata agli altri. E finisce per ciò di sentirsi in dovere, in virtù della sua superiore conoscenza, di punire coloro che non partecipano alla sua verità. Come può amare gli altri, egli pensa, se non imponendo loro la verità che altrimenti essi insulterebbero o trascurerebbero? Questa è la tentazione.

 

Pag. 88-90

La fede religiosa. al suo livello più profondo, è anche inevitabilmente un principio di libertà. Difendere la propria fede equivale a difendere la propria libertà e, almeno implicitamente, la libertà di tutti. Libertà da che cosa, e per che cosa? Libertà da un potere che non è immanente e personale, un potere dell'amore. La fede religiosa, nel senso più elevato, è quindi sempre una liberazione dal dominio di ciò che è al disotto dell'uomo o esteriore all'uomo.

Chi riceve la grazia di questo tipo di illuminazione religiosa ottiene una libertà e un'esperienza che non lo lasciano più completamente soggetto alle forze della natura, ai propri bisogni fisici ed emotivi, alle imposizioni puramente esterne e umane della società, alla tirannia della dittatura. Vale a dire che il suo atteggiamento nei confronti della vita è indipendente dal potere inevitabilmente esercitato su di lui, all'esterno, dalle forze naturali, dalle prove e dalle difficoltà della vita, dalle pressioni di una collettività non sempre ragionevole.

Essendo cattolico credo, naturalmente, che la mia Chiesa mi assicuri il più alto grado di libertà spirituale. Non sarei cattolico se non lo credessi. Non sarei cattolico se la Chiesa non fosse altro che un'organizzazione, un'istituzione collettiva dotata di regole e di leggi che esigessero una conformità esteriore da parte dei suoi membri.

Vedo le leggi della Chiesa e tutti i vari modi in cui essa esercita la sua autorità docente e la sua giurisdizione, sottomessa a sua volta allo Spirito Santo e alle leggi dell'amore. So che la mia Chiesa non appare così agli occhi di coloro che ne sono fuori; per essi la Chiesa agisce in base a un principio di autorità, non di amore. Si sbagliano, costoro. E’ in Cristo e nel suo Spirito che si trova la vera libertà, e la, Chiesa è il suo Corpo, che vive grazie al suo Spirito.

Al tempo stesso, questa aspirazione alla libertà spirituale, interiore e personale, non è estranea ad altri rami della cristianità e alle altre grandi religioni del mondo. È una cosa che tutte le religioni più elevate hanno in comune (anche se certamente in misura diversa), e il cattolico non ha alcuna utilità di negarlo, perché ciò che mette in evidenza la dignità e la grandezza di tutte le religioni segna un punto a favore anche del cattolicesimo. È vero che nella Chiesa cattolica noi crediamo di aver ricevuto veramente lo Spirito di Dio, lo Spirito di figliolanza che ci rende liberi della libertà dei figli di Dio. E’ vero che i protestanti lo affermano con non minore fermezza di noi, e forse è una loro caratteristica di affermarlo con particolare insistenza. Non sono certamente in grado di giudicare in errore il singolo protestante che dice la stessa cosa di sé. Come posso sapere quanta grazia di Dio può avere e ha il sincero cristiano protestante che obbedisce alla luce della sua coscienza e segue Cristo secondo la fede e l'amore che ha ricevuto? Sono persuaso che avrebbe maggiore sicurezza e più luce se fosse nella mia Chiesa, ma egli non la pensa come me, e perciò vi sono ragioni più profonde e complicate di quelle che possiamo comprendere lui e io. Cerchiamo di capirle, ma intanto proseguiamo ognuno per la propria strada, cercando e seguendo la luce con sincerità.

Anche gli ebrei, certo: la promessa fatta ad Abramo è una promessa di libertà, di indipendenza sotto Dio, e il passaggio del mar Rosso fu il passaggio dalla schiavitù d'Egitto alla libertà del popolo che Dio aveva costituito e scelto per sé, perché fosse il suo popolo e vivesse fedele a un patto .che è un accordo libero e un vincolo di libertà e di amore.

La fedeltà d'Israele al patto significava rifiuto di cedere al fascino e alla seduzione dei culti cosmici della natura, rifiuto di arrendersi al ciclo cieco della natura e al dominio delle forze della terra. Contro che cosa protestavano maggiormente i profeti se non contro l'infedeltà con cui Israele rinunciava alla libertà e allo sposalizio con Jahvè nella libertà e nell’amore?

 

La stessa intransigenza troviamo nell'Islam: libertà che innalza il credente al disopra dei limiti dettati dalla natura, dalla razza, dalla società: incorporazione in una comunità, più alta, liberata dal fascino degli idoli, anche degli idoli della mente, resa libera di viaggiare in un mondo di fede grande come il deserto, fede in un solo Dio compassionevole e misericordioso. Che cosa sono la compassione e la misericordia se non doni della libertà alla libertà? Che cosa sono se non liberazione dalle limitazioni, dalla schiavitù, dal dubbio, dall' asservimento alla passione e ai pregiudizi?

Checché si dica delle grandi religioni orientali e del loro carattere « cosmico », in definitiva esse mirano alla liberazione dall'eterno cerchio naturale, alla libertà dello spirito, al vuoto, e offrono tutte all'uomo un principio di libertà grazie al quale egli si eleva oltre il dominio della necessità, per sottoporre a processo, studiare e giudicare il mondo circostante, studiare e giudicare le forze della passione e la delusione che subentra quando egli si trova a confronto col mondo nel proprio io isolato.

 


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21 giugno 2014                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net