FOTIOS IOANNIDIS

 Lettore nel Dipartimento di Teologia

SAN BENEDETTO

SEGNO DELLA COMUNE ESPERIENZA SPIRITUALE

D’ORIENTE E D'OCCIDENTE

Estratto dal sito dell’Universitΰ Aristoteleion di Tessalonica

Link al testo originale con bibliografia e testi paralleli

 Premessa

 La storia dei due millenni del Cristianesimo in terra ci insegna che l’assicurazione dell’unita del corpo del Signore, cioθ della Chiesa, non dipenda nι dall’uso di una sola lingua comune tra gli uomini, nι dall’esistenza di una civiltΰ comune. Ciς che bisogna esistere fra i cristiani, che siano le membra dell’unico corpo del Signore, per l’assicurazione della detta unita, e a confessare la comune fede cristiana, come anche imparare a vivere proprio con la comune esperienza spirituale, la quale ha un forte contenuto escatologico, appunto perche garantisce la nostra salvezza.

Questa veritΰ si incarna dalla presenza dei santi della Chiesa e dal loro culto dal popolo di Dio. L’accettazione della santitΰ di un membro della Chiesa indivisa, quella del primo millennio, e il suo culto comune in onore della sua memoria in Oriente e in Occidente, attesta proprio questa comune esperienza spirituale fra i due mondi cristiani. Una tale santa presenza, onorata sia dai Cattolici che dagli Ortodossi θ il Santo fondatore del monastero di Monte Cassino, Benedetto.

1.      L'influsso del monachesimo orientale sulla Regola di San Benedetto

 

Benedetto nacque nel 480 a Norcia. Molto giovane, in etΰ di diciassette anni, ha scelto la vita monastica. Nel 529 fondς sul Monte Cassino l’omonimo famoso monastero. Fu abate della comunitΰ fino al 547, quando fini la sua santa vita terrena.

San Benedetto fu l’organizzatore della vita cenobitica d’Occidente. Scrisse la sua famosa Regula Monachorum nel 530. In essa, si riflette quasi tutta la tradizione monastica d’Occidente e d’Oriente, fino al suo tempo. La Regola benedettina e un testo che esala lo spirito ecumenico della Chiesa indivisa e la comune esperienza spirituale.

La Regola di San Benedetto appartiene alla categoria delle Regole di sintesi. Alla stessa categoria appartengono la Regola del Maestro (Regula Magistri) e le due Regole Monastiche di Cesario d'Arles.

L’opera benedettina consiste dal Prologo e 73 capitoli. Nel Prologo il santo invita i suoi monaci di pentirsi. I capitoli 2 e 3 si riferiscono al modo dell’amministrazione del cenobio. Nei capitoli 4 - 7 il santo svolge le virtω della vita monastica. In seguito, nei capitoli 8 - 20 parla per l’ufficio divino. Nei capitoli 21 - 30 si riferisce al codice penale e all’organizzazione interna del convento. Dal capitolo 31 fino al capitolo 66, Benedetto si riferisce ai vari temi come la preghiera, l’opera delle mani, la disciplina, dei cibi e della vestitura dei monaci, per i rapporti del monaco col mondo e tanti altri consigli utili per la vita monastica. Nel capitolo 67 fino al capitolo 72 il santo consiglia i suoi monaci di avere fra di loro delle relazioni buone, piene di amore reciproco e umiltΰ. Nel capitolo 73, l’ultimo della sua Regola, Benedetto ci presenta un breve catalogo delle opere dei santi padri che avesse usato per scriverla.

Indubbiamente, nel corso del sesto secolo, la realtΰ storica, la mentalitΰ, la lingua e le situazioni politiche e ecclesiastiche erano diversi nel mondo orientale da quello occidentale. Perς, il santo di Monte Cassino e riuscito a superare queste difficoltΰ e con la norma della comune esperienza spirituale, ha ottenuto la congiunzione delle due tradizioni.

San Benedetto per sintetizzare la sua Regola ha usato molti testi monastici orientali. Soprattutto, la Regola (Κανών) di San Pacomio, il Testamentum (Διαθήκη) di Orsiesi, le Vite dei Padri (Vitae Patrum), la Storia dei monaci d’Egitto (Historia Monachorum in Aegypto) e il Parvum Asceticum (Μικρόν Ασκητικόν) di San Basilio Magno.

Il santo di Monte Cassino non conosceva la lingua greca. Ha usato i suddetti testi dalle traduzioni che avevano fatto in latino, nel quarto e quinto secolo, San Girolamo e Rufino di Aquileia. Ha usato, pure, le opere monastiche di San Giovanni Cassiano, il quale fu il trasportatore della spiritualitΰ e delle esperienze monastiche orientali in Occidente.

Cosμ, possiamo dire che la Regola di San Benedetto risona abbastanza il modello  cenobitico della Koinonia - Societΰ (Κοινωνία) pacomiana di Tabennesi, in Egitto, e della Fraternitΰ (Αδελφότης) basiliana di Cappadocia, in Asia Minore. Pero, questo non significa che Benedetto copia il modello cenobitico dell’Oriente. Anzi, lo filtra in maniera critica e cosi lo trasferisce in Occidente, attraverso la sua Regola.

Gli scritti di San Pacomio e di San Basilio Magno costituiscono le fonti di un grande movimento cenobitico che arriva fino alla Regula Benedicti. C'e una corrente ininterrotta che, percorrendo due secoli di storia monastica da Pacomio a Benedetto, tramanda una serie di istituzioni sostanzialmente identiche, anche se adattate alle condizioni particolari dell’Occidente e filtrate dai grandi maestri del monachesimo latino, quali Girolamo e Giovanni Cassiano.

Nel testo della Regola benedettina si trovano molti termini greci latinizzati i quali esprimono lo stato di vita del monaco, alcuni temi spirituali, come pure temi che riguardano la preghiera e l’assemblea liturgica della comunitΰ. L’uso di questi vocaboli greci denota un notevole influsso orientale sulla lingua monastica di Benedetto. Si puς notare i termini:

monachus = μοναχός

coenobita = κοινοβίτης

anachorita = αναχωρητής

heremita = ερημίτης

heremus = έρημος

monasterium = μοναστήριον

cella = κελλίον

chorus = χορός

psalmodia = ψαλμωδία

antiphona = αντίφωνα

analogium = αναλόγιον o αναλογείον.

Tra la Regola di Benedetto e gli scritti pacomiani la continuitΰ istituzionale e l'accordo dottrinale sono particolarmente significativi nei motivi per preferire il cenobitismo all’anacoretismo, nella figura dell’abate, nel rapporto tra Regola e comandamenti di Dio, nell’organizzazione decanale della comunitΰ, nell’ufficio del preposito, nell’atteggiamento di fronte ai chierici nel cenobio, nelle norme di disciplina monastica circa i ranghi dei fratelli, i ritardi agli atti comuni, la pena della scomunica, l’ammissione e la formazione dei postulanti, il rito della vestizione dei novizi, la preghiera per i fratelli in viaggio e alcuni aspetti della "meditatio".

Nel corpo della Regola, Benedetto fa molti riferimenti ai santi padri orientali del deserto. Ricorda ai suoi monaci il loro eroismo e la loro santitΰ, proponendoli come esempi della perfezione. Certo, il santo di Montecassino non fa nella Regola un elogio esplicito della solitudine. Tuttavia lo spirito della solitudine, bene prezioso per i padri del deserto, resta tale anche per Benedetto che cerca di renderlo presente nella comunitΰ cenobitica attraverso la clausura, la stabilita e il silenzio (taciturnitas). Egli sa che la solitudine e tesa all’esichia. La taciturnitas benedettina designa una tendenza all’interioritΰ, alla tranquillitΰ e alla quiete sia fisica che spirituale. Il suo corrispondente greco potrebbe essere l’hesychia (ησυχία), nel senso di tranquillitΰ, quiete, stato dell’anima necessario alla contemplazione da ciς che distrae, spazio per l’ascolto e la preghiera. Il monaco esicasta pratica la solitudine e il silenzio per amore dell’orazione, della perfezione spirituale, dell’unione a Dio.

L’insegnamento della Regola benedettina si volge intorno alla virtω della caritΰ e ha un fortissimo contenuto cristocentrico. San Benedetto, come i padri d’Oriente, ammonisce ai suoi figli spirituali di avere fra di loro l’amore reciproco, l’umiltΰ e l’obbedienza. L’unanimitΰ dei fratelli assicura e protegge l’unita della vita cenobitica e garantisce l’adempimento dello scopo unico e centrale, cioθ la salvezza delle anime. Certamente, in questo punto, hanno offerto troppo a San Benedetto le esperienze pastorali di San Pacomio e soprattutto quelle di San Basilio Magno. Il santo di Monte Cassino onorava specialmente San Basilio, dato che lo nomina nell'ultimo capitolo (cap.73) della sua Regola: "sed et Regula sancti patris nostri Basilii".

Nel campo amministrativo, responsabile per la scola benedettina, cioθ per il cenobio, e la persona carismatica dell’abate. Lui, come un vero padre, si cura i suoi figli spirituali con grande amore. Esercita a vita la sua diaconia amministrativa del cenobio e le sue opere coincidono con i precetti di San Basilio Magno ai pastori delle anime.

L’autoritΰ dell’abate, a causa del suo ruolo istituzionale nel monastero come Vicarius Christi, si modera dal Consiglio della Fraternitΰ e dei Decani. Cosi, esiste e funziona un tipo di sinodali e di autoritΰ sotto controllo, che avvicina abbastanza il modello dell’amministrazione monastica dell’Oriente.

L’organizzazione del monastero benedettino avvicina il modello pacomiano. Cioθ, si basa all’amministrazione discentrante, poichι il corpo della comunitΰ monastica e diviso in decanie. Ogni decania aveva come responsabile un Decano. Tutti i fratelli si alternavano alle diaconie, cioθ alle opere, ogni settimana, come facevano i monaci della Koinonia di Tabennesi.

Un altro importantissimo punto di contatto tra l’ideale monastico benedettino e della tradizione monastica orientale e la funzione del monastero come scuola, per la formazione dei fanciulli e dei maggiorenni, dei poveri e dei ricchi. Lo stesso fenomeno si trova nei monasteri pacomiani e basiliani. Cosi, si conferma in modo innegabile il contributo del monachesimo alla civilizzazione dei vari territori.

La comunitΰ di Monte Cassino era una societΰ taciturna, nella quale tutti i membri si praticavano ogni giorno alla preghiera continua e all’opera delle mani, seguendo cosμ l’esempio degli Apostoli e dei monaci d’Oriente. In questo punto dobbiamo chiarire la seguente realtΰ. Il principio sintetico di Ora et Labora, il quale fino ai nostri giorni caratterizza soprattutto l’ideale monastico di San Benedetto, bisogna dire che ha le sue radici nella Bibbia e provenga dall’Apostolo Paolo. Pero, come insegnamento e pratica il suddetto principio e cresciuto nell’ideale monastico di San Pacomio e di San Basilio Magno, prima che apparisca la Regola benedettina.

Il papa San Gregorio Magno, chiamato il Dialogo (ο Διάλογος) nella Chiesa Ortodossa, ha scritto la biografia di Benedetto nel secondo libro della sua opera Liber Dialogorum. Scrisse per Lui: "L’uomo di Dio che brillς su questa terra per tanti miracoli, non rifulse meno per l’eloquenza con cui seppe esporre la sua dottrina. Scrisse infatti la Regola dei monaci, che si distingue per la discrezione e per lo splendore della forma. E chiunque voglia conoscere piω da vicino il pensiero e la vita di lui, potrΰ ritrovare tutto il suo insegnamento e le sue gesta nei precetti di quella Regola, poichι il santo non potι mai insegnare diversamente da come visse" (II, 36).

 2.      La presenza di San Benedetto in Oriente

In questo punto dobbiamo sottolineare la seguente realtΰ. Mentre parliamo di un forte influsso dei vari testi monastici orientali sulla Regola benedettina, non possiamo pretendere che questo influsso ha funzionato in modo reciproco. La Regola di San Benedetto non ha esercitato nessuna influenza nelle opere monastiche d’Oriente. Pero, tanto la Vita quanto la Regola del santo erano note in Oriente cristiano e ne diffusero assai.

La narrazione gregoriana della vita benedettina e stata tradotta in greco nella seconda meta dell’ottavo secolo dal papa Zacharia. Questa Vita (Βίος) spesso si era diffusa tra i monaci del mondo greco, come nota in nono secolo il patriarca Fozio, nella sua opera che si intitola Biblioteca (Βιβλιοθήκη o Μυριόβιβλος).

Il piω antico codice che salva la traduzione greca della Vita benedettina e il Vaticanus Graecus 1666 dell’anno 800 e proviene dall’Italia del sud. Nell’undicesimo secolo si mostrano in Grecia, a Monte Athos, due codici che salvano la traduzione della Vita. Si tratta del Codice B 68 del monastero di Lavra e del Codice 3 del monastero di Vatopedion.

La Vita (Βίος) di San Benedetto, piena dei miracoli e di santitΰ, era una lettura amabile fra i cicli dei monaci, poichι il santo proveniva dal loro ordine. Questo fatto si conferma dall’opera di monaco Paolo l’Evergetis, il fondatore del monastero di Theotocos Evergetis, a Costantinopoli, nell’undicesimo secolo. Lui ha scritto un'opera molto popolare e con grande diffusione nel mondo ortodosso che si intitola Συναγωγή (Raccolta). Si tratta di una raccolta di verbi e d’insegnamenti dei padri della Chiesa. Nel suo trattato ci sono tredici frammenti provenienti proprio dalla Vita greca di Benedetto, i quali si riferiscono soprattutto ai miracoli del santo.

Per quanto riguarda la Regola benedettina, essa fu nota dai monaci del Monte Athos verso la fine del secolo decimo. Probabilmente, la Regola e stata portata in Monte Athos, tradotta in greco, da qualche monaco che proveniva dall’Italia del sud. Questa ipotesi si verifica da un trattato di San Atanasio l’Athonita, il fondatore del monastero di Lavra. Il trattato si intitola Hypotyposis (Υποτύπωσις). Si tratta del primo regolamento monastico del Monte Athos. L’opera fu scritta dall’Atanasio in greco, fra gli anni 965-971. In essa esistono tre estratti dalla Regola benedettina. L'uno corrisponde al capitolo 57 e gli altri due corrispondono al capitolo 67.

Un altro estratto, scritto in greco, esiste nel Codice 3071, 2 della biblioteca del monastero di Cutlumusion in Monte Athos. Questo codice θ di undicesimo secolo e anche esso proviene dall’Italia del sud. Il suddetto estratto corrisponde ai capitoli 18 e 43 della Regola di San Benedetto.

La presenza letteraria del santo di Monte Cassino era fortissima oltre il mondo greco anche nel mondo slavo. Gli Slavi hanno conosciuto la Vita benedettina attraverso la traduzione greca dell’opera dei Dialogi di San Gregorio Magno. Un codice slavo, del quindicesimo secolo, che si intitola Rimskij Paterik, contiene la Vita del santo. Questo Paterikon forse era quello che tradusse dalla lingua greca in paleoslavo, verso la fine del nono secolo, l’Apostolo degli Slavi, San Metodio.

Un’altra traduzione della Vita di San Benedetto esiste in lingua slavonica. Questa e di decimo secolo che proviene direttamente dal testo latino dei Dialogi di papa Gregorio Magno.

Fra gli anni 980 e 1028 il monaco Eutymio, fondatore del monastero d'Iviron a Monte Athos, nel quale si erano stabiliti i monaci della Chiesa di Georgia, tradusse dal greco la Vita di San Benedetto nella loro lingua.

Cosi, gli Slavi, poco fa dalla loro cristianizzazione e proprio nel primo periodo della loro letteratura ecclesiastica avevano conosciuto la Vita del patriarca del monachesimo occidentale.

Oltre le suddette antiche traduzioni greche e slave della Vita e della Regola benedettina, il santo fu noto anche nella Chiesa Armena. Nel dodicesimo secolo, molti Armeni avevano lasciato la loro patria, la quale era sotto il dominio dei Seltzuki, e si sono trasferiti in Siria.

Il vescovo Armeno di Tarso, Narsete di Lambrone (1153-1198), il quale fu un uomo erudito, ha visitato nel 1179 il monastero benedettino di San Paolo in Antiochia. Lΰ ha conosciuto la Vita e la Regola di San Benedetto e ne le tradusse dal latino nella lingua Armena. Queste due traduzioni esistono in un codice del tredicesimo secolo nella biblioteca Nazionale di Erevan, in Armenia. Pure, una copia di questo codice esiste a Venezia nella biblioteca del monastero di San Lazzaro dei padri Mechitaristi.

Per quanto riguarda la presenza letteraria della famosa Regola benedettina nelle lingue contemporanee del mondo ortodosso d’Oriente, dobbiamo notare le due traduzioni di essa nella lingua neogreca. La prima e dell’anno 1914 e l’ha fatta dal latino il monaco Paolo l’Aghiorita. L’altra e del 1981 e l’ha fatta il greco-cattolico Antonio Vacondios. Nella lingua russa, esiste una traduzione del 1892 che l’ha fatta il vescovo Teofane il Reclusso (1815-1894). In fine, esiste una traduzione nella lingua romena, dell’anno 1929, che l’avevano fatta i monaci del monastero di Dovruzza.

La Chiesa Ortodossa Greca onora la memoria di San Benedetto il 14 di Marzo. In suo onore sono stati scritti due uffizi (Ακολουθίες) in lingua greca. Tutti e due sono opere antiche, di nono e di decimo secolo. Il primo uffizio compose l’innografo siciliano Iosepho (816-886). Il secondo uffizio compose, verso l’anno 980, l’innografo italo-greco San Nilo di Rossano, il fondatore di monastero di Grottaferrata.

Nel 1957 il monaco di Monte Athos Gerassimos Micragiannanitis, l’innografo del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, compose in onore di San Benedetto alcuni inni liturgici.

Concludendo, dobbiamo sottolineare, che questo fortissimo e reciproco movimento letterario, il quale e cresciuto fra i cristiani della Chiesa indivisa, quella del primo millennio, era accettabile dal popolo di Dio perche si basava sulla comune tradizione ecclesiastica. Lo stesso succede anche ai nostri giorni, colla venerazione dei Santi comuni. Credo che oggi, tutti noi, bisogna studiare con prudenza questa comune tradizione spirituale non solo di conoscerla meglio, ma soprattutto per avere la coscienza che siamo le membra dell’unico e indiviso corpo del Signore, il quale e smembrato violentemente nel millennio che e appena passato.


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21 giugno 2014                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net