LE CONFERENZE SPIRITUALI

di GIOVANNI CASSIANO

7.a CONFERENZA

PRIMA CONFERENZA DELL'ABATE SERENO

MOBILITÀ DELL'ANIMA E DEGLI SPIRITI MALIGNI


Estratto da “Giovanni Cassiano – Conferenze spirituali” – Edizioni Paoline 1965


Indice dei Capitoli

I - Castità dell'abate Sereno;
II - Domanda del santo vecchio sullo stato dei nostri pensieri;
III - Nostra risposta riguardante la volubilità dello spirito;
IV - L'abate tratta dello stato dell'anima e delle sue capacità;
V - La perfezione dell’anima spiegata con la figura del centurione evangelico;
VI - Della perseveranza nel custodire i nostri pensieri;
VII - Domanda sulla volubilità dello spirito e sugli assalti che ci muovono gli spiriti del male;
VIII - Risposta sull’aiuto di Dio e le facoltà del libero arbitrio;
IX - Domanda sull'unione dell’anima coi demoni;
X - Risposta sul modo in cui gli spiriti immondi si uniscono con l’anima umana;
XI - Obiezione: Possono, gli spiriti immondi, penetrare nell’anima di coloro che hanno infestato e unirsi con quella?;
XII - Risposta sul modo in cui gli spiriti immondi dominano gli energumeni;
XIII - Uno spirito non può penetrare un altro spirito. Dio solo è assolutamente incorporeo;
XIV - Obiezione tendente a dimostrare che i demoni vedono i pensieri degli uomini;
XV - Risposta: ciò che i demoni possono e ciò che non possono sopra i pensieri dell’uomo;
XVI - Una comparazione con la quale si dimostra come i demoni conoscono i pensieri degli uomini;
XVII - Ogni singolo demonio non suggerisce all’uomo tutte le passioni;
XVIII - Domanda: È vero che i demoni hanno un ordine nei loro attacchi e che ciascuno di loro ha un suo compito particolare?;
XIX - Risposta: in qual modo i demoni si accordino sull’ordine dei loro attacchi;
XX - I demoni non hanno tutti la stessa forza e non possono tentarci come vogliono;
XXI - I demoni si affaticano nel combattimento con gli uomini;
XXII -1 demoni non hanno facoltà di nuocere come e quanto a loro piace;
XXIII - La potenza dei demoni è diminuita;
XXIV - Come i demoni si preparino l'ingresso nel corpo degli ossessi;
XXV - Coloro che son posseduti dai vizi son più miserabili di coloro che son posseduti dal demonio;
XXVI - Morte violenta di un profeta sedotto; malattia dell’abate Paolo, da lui meritata a scopo di purificazione;
XXVII - Tentazione dell’abate Mosè;
XXVIII - Non si possono disprezzare coloro che sono in potere degli spiriti immondi;
XXIX - Obiezione: perché coloro che son posseduti dagli spiriti immondi sono esclusi dalla comunione eucaristica?;
XXX - Risposta alla domanda;
XXXI - Sono più miserabili coloro che non meritano di esser sottoposti a queste prove temporali;
XXXII - Diversità di gusti e d’inclinazioni che si riscontrano negli spiriti dell’aria;
XXXIII - Domanda: da dove ha origine una sì grande diversità tra i demoni?;
XXXIV - Si rimanda ad altro tempo la soluzione della questione proposta.

 

I - Castità dell’abate Sereno

Ci fu un uomo di grandissima santità ed astinenza, chiamato abate Sereno; egli rifletteva, nella persona e nella vita, tutta la pace che portava nel nome. Noi lo ammiravamo e lo veneravamo al disopra di tutti gli altri monaci. Io vorrei far conoscere quest’uomo di Dio a tutte le anime assetate di perfezione, né ho altro mezzo per soddisfare il mio desiderio tranne quello di inserire nella presente opera le sue conferenze spirituali.

Fra tutte le virtù che la grazia del Signore faceva risplendere nelle sue opere, nei suoi costumi e persino nella sua faccia, egli aveva ricevuto il dono particolare di una castità sì alta da non sentire più, neanche durante il sonno, i moti naturali della carne. Io penso che sia bene spiegare come egli arrivò — con l’aiuto della grazia divina — ad una purezza così eccellente da sembrar superiore alla condizione umana.

II - Domanda del santo vecchio sullo stato dei nostri pensieri

Fin dall’inizio della vita monastica il suo più grande pensiero era stato quello di acquistare la purezza dello spirito e del cuore: pregava giorno e notte ed accompagnava la preghiera con digiuni e veglie, infaticabilmente perseverante nella ricerca della castità.

Quando s’accorse che i suoi desideri erano compiuti, che gli ardori della concupiscenza si erano spenti nel cuore, come se il gusto dolcissimo della purezza non avesse fatto altro che accenderne in lui una sete più bruciante, si senti più che mai infiammato dal desiderio della purezza. A questo scopo raddoppiò i digiuni e le preghiere. Il vizio impuro era morto nel suo uomo interiore; ora voleva che, per benigna concessione del Signore, quella stessa morte si estendesse anche all’uomo esteriore. Voleva essere penetrato da una purezza perfetta, fino al punto di non essere soggetto neppure a quei movimenti semplici e naturali che si producono anche nei fanciulli di tenera età, o addirittura lattanti. La grazia della purità interiore, già ottenuta, lo incoraggiava a sperare. Quella prima grazia non era stata frutto delle sue fatiche, ma soltanto — e lo sapeva bene — un dono di Dio. Da questa considerazione sentiva crescere la speranza di ottenere il nuovo dono. A Dio non costa fatica — egli diceva — bruciare fino alle più profonde radici quegli stimoli della carne che anche l’industria e l’arte degli uomini possono talvolta sopprimere con bevande medicamentose, col ferro o con altri rimedi. Non è forse vero che il Signore mi ha già donato la purezza dello spirito? E allora perché non sperare ancora? Il bene che ho già ricevuto è il più alto che si possa dare: tutto lo sforzo e tutto lo zelo di cui è capace il cuore umano non potrebbero nulla per raggiungere quel bene.

Mescolando lacrime e preghiere, l’abate Sereno insisteva senza mai stancarsi nella sua domanda.

Ecco che una notte gli si presentò la visione di un angelo che gli aprì il corpo, ne estrasse un tumore infiammato e lo gettò lontano; poi rimise le viscere al loro posto e disse: « Ora gl’impulsi della tua carne sono domati. Sappi che oggi tu hai ottenuta la perfetta purezza del corpo, quella purezza che avevi domandato con fede sincera ».

E basti quel che abbiamo detto sulla grazia che Dio concesse a questo sant’uomo, per uno specialissimo privilegio. Delle virtù che egli aveva in comune con gli altri solitari stimo meglio non parlarne, anche per evitare che le lodi tributate a Sereno non facciano pensare che gli altri possedevano quelle virtù in grado inferiore.

Accesi dal desiderio di conoscere quest’uomo e di udire una sua conferenza spirituale, andammo a trovarlo durante la quaresima.

Con voce pacata egli ci rivolse molte domande sulla qualità dei nostri pensieri, sullo stato della nostra vita interiore, e ci chiese anche quale profitto avessimo saputo ritrarre, per la purezza della nostra anima, da una sì lunga permanenza nel deserto.

Noi rispondemmo piangendo.

 

III - Nostra risposta riguardante la volubilità dello spirito

Il conto degli anni da noi passati nella solitudine del deserto ti fa pensare che siamo giunti alla perfezione dell’uomo interiore, ma purtroppo non è così. Tutto quel che abbiamo potuto ottenere dalla nostra professione, è stato di conoscere quanto, per la nostra debolezza, siamo ancor lontani dalla meta a cui dobbiamo tendere. Quella che abbiamo acquistata è una scienza vana, incapace di radicarci nella perfetta costanza della desideratissima purezza. Quella scienza non ha conferito fermezza ai nostri pensieri, ma ha servito a far crescere la nostra vergogna e la nostra confusione.

In qualsiasi professione, lo studio e lo sforzo quotidiano hanno lo scopo di condurre il garzone incerto alla conoscenza ferma e sicura dell’arte. Quel che in principio era nascosto o completamente ignoto, si fa, con l’esercizio, più chiaro e conosciuto, l’apprendista avanza con passo sicuro nella via intrapresa, incomincia a lavorare senza errori e senza difficoltà. A noi però — nella ricerca della purezza di spirito — è capitato il contrario: non abbiamo fatto altro progresso che questo: abbiamo capito ciò che non siamo riusciti ad essere. Per questo ci rammarichiamo, ma dal nostro dolore, che pure è sì grande, non ritraiamo altro profitto che un senso di insoddisfazione; così piangiamo a lungo, ma non cessiamo di essere quelli che non dovremmo essere. Che ci giova aver conosciuto la perfezione, se poi non la raggiungiamo? Talvolta sentiamo che il cuore si dirige al suo termine di perfezione, ma l’anima insensibilmente cade da quelle altezze e torna con impeto accresciuto alle antiche divagazioni. Assediata dalle distrazioni, che ogni giorno si moltiplicano, l’anima si sente portare incessantemente verso forme di schiavitù. Ormai disperiamo di poterci correggere, la nostra stessa osservanza incomincia a sembrarci inutile.

Se dalle pericolose divagazioni in cui si smarrisce ad ogni istante, tentiamo di ricondurre il nostro pensiero al sentimento del timor di Dio e alla contemplazione spirituale, prima che abbiamo potuto fermarlo è già fuggito con accresciuta rapidità. Come se ci svegliassimo da un sonno profondo, noi ci accorgiamo che il pensiero ha deviato dal fine che gli avevamo segnato: allora lo richiamiamo alla contemplazione abbandonata e vorremmo in qualche modo incatenarlo con una applicazione tenace della mente, ma sul più bello del nostro sforzo fugge dai penetrali dell’anima, col guizzo di un’anguilla che ci scappa dalle mani.

Passano così i giorni fra lotte faticose, senza che il nostro cuore diventi più costante. Lo scoraggiamento ci assale e incominciamo a pensare che queste distrazioni non sono un difetto personale, ma un vizio inerente alla costituzione della natura umana.

 

IV - L’abate tratta dello stato dell’anima e delle sue capacità

Sereno - È una pericolosa presunzione voler determinare la natura delle cose dopo un esame frettoloso e superficiale, senza aver prima raggiunto una certezza. È presunzione formarsi un giudizio sopra una qualsiasi professione o disciplina, non già da quel che essa è in se stessa o da quel che ne dice l’esperienza degli altri, ma dalla considerazione della propria fragilità.

Immaginiamo un uomo che non sappia nuotare: egli vede che l’acqua non può sostenere il suo peso e, partendo da questa esperienza che è solo indizio della sua incapacità, sentenzia che è impossibile, per un essere in carne e ossa, tenersi a galla sulla superficie delle acque. Costui dice una cosa comprovata dalla sua esperienza, ma noi non accettiamo per vera la sua opinione, perché sappiamo nella maniera più certa e per testimonianza dei nostri stessi occhi, che per molti navigare, oltre a non essere impossibile, è la cosa più facile del mondo.

L’anima umana è definita: « noùs aeichìnetos kài polikìnetos » che vuol dire: sempre mobile e molto mobile. Il libro della Sapienza che si attribuisce a Salomone dice la stessa cosa con altre parole: « Il tabernacolo terreno opprime l’anima, agitata da molti pensieri »[1]. La sua natura è tale che non può starsene oziosa. Se non le è stato presentato un oggetto sul quale possa esercitare la sua attività e di cui possa incessantemente occuparsi, la sua naturale leggerezza la porta a vagare, a svolazzare di qua e di là, su tutto ciò che le si presenta. Soltanto dopo molto tempo, quell’esercizio e quell’uso nei quali voi dite di avere sprecato il vostro tempo, le faranno conoscere per esperienza gli oggetti da offrire all’attenzione, per tornare a quelli continuamente, senza stancarsi mai, e per acquistar la capacità di fissarsi in essi. In tal modo potrà superare le suggestioni del nemico che la invitano da ogni parte, e potrà restare costante nello stato e nelle disposizioni che desidera.

La distrazione del nostro spirito non deve dunque attribuirsi alla nostra natura, e neppure a Dio che della natura è autore. La sacra Scrittura dice il vero quando afferma che: « Dio fece l’uomo retto, ma egli si perde dietro a infinite questioni »[2]. Dunque la qualità dei nostri pensieri dipende da noi: « Un buon pensiero si avvicina a coloro che lo conoscono; l’uomo prudente lo troverà »[3]. Quando una cosa si può trovare, sol che si usino prudenza e diligenza, se da noi non è trovata, non ne incolpiamo la nostra natura, ma piuttosto la nostra pigrizia e negligenza. Il salmista si accorda a questo pensiero quando dice: « Beato l’uomo che pone in te il suo sostegno e dispone in cuor suo di salire »[4]. Vedete perciò che dipende da noi disporre in cuor nostro sia le ascensioni (cioè i pensieri che salgono a Dio), sia le discese (cioè i pensieri che precipitano verso le cose terrestri e carnali). Se non avessimo avuto questa facoltà, il Signore non avrebbe potuto rivolgere ai farisei quel rimprovero: « Perché pensate male nei vostri cuori? »[5]. E neppure ci avrebbe comandato — per bocca del profeta — « Togliete di sotto ai miei occhi il male dei vostri pensieri » [6]. E ancora: « Fino a quando rimarranno in te i mali pensieri? »[7]. Nel giorno del giudizio — se i nostri pensieri non dipendessero da noi — la quantità di essi non dovrebbe essere esaminata insieme con quella delle opere. Isaia dice invece: « Ecco io vengo a raccogliere le loro opere e i loro pensieri con tutte le genti e le lingue » [8]. La testimonianza dei pensieri non potrebbe intervenire in quel tremendo giudizio, né per condannarci, né per difenderci, mentre l’Apostolo dice: « I loro pensieri li accusano e li difendono nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini secondo il mio Vangelo »[9].

V - La perfezione dell’anima spiegata con la figura del centurione evangelico

Il centurione del Vangelo può ben raffigurare l'anima elevata alla perfezione. Egli era un uomo di grande virtù e costanza: non si lasciava trasportare da ogni pensiero che potesse passargli per la mente, ma accoglieva quelli buoni e scacciava senza esitazione i cattivi, secondo il giudizio della sua prudenza. Ascoltiamolo parlare in termini allegorici: « Anch’io sono un uomo sottoposto, ed ho soldati ai miei ordini e dico ad uno: Va’! ed egli va. E ad un altro: Vieni! ed egli viene; ed al mio servo: Fa’ questo! ed egli lo fa »[10].

Se anche noi lotteremo coraggiosamente contro i movimenti sregolati dell’anima, contro i vizi, arriveremo a sottometterli alla nostra autorità e discrezione; se anche noi, poiché rimaniamo nella carne, cercheremo di spegnere il fuoco delle passioni e inalbereremo il segno della croce che è la bandiera della salvezza, per respingere dai confini del nostro cuore le crudeli legioni delle potenze nemiche, come premio della nostra magnifica vittoria, ci vedremo elevati al grado dei « Centurioni spirituali ». Anche Mosè parla allegoricamente di questi condottieri nel libro dell’Esodo, dove dice: « Eleggi uomini che comandino alle migliaia, alle centinaia (= centurioni) e alle decine » [11].

Elevati anche noi alla dignità del centurione, avremo il diritto e la forza di comandare; allora i pensieri che non vogliamo ricevere non penetreranno più in noi; ci sarà invece facile attaccarci a quelli che ci fanno gustare le delizie spirituali. Diremo alle cattive suggestioni: « Andatevene », e se n’andranno; diremo alle buone: « Venite », e verranno. Al nostro servo — cioè al nostro corpo — comanderemo di curare le leggi della castità e dell’astinenza, e quello obbedirà senza ribellarsi: non lo sentiremo più ad aizzarci contro le belve della concupiscenza: sarà pronto ad obbedire in tutto allo spirito.

Per quanto riguarda le armi del centurione spirituale, ascoltiamo l’Apostolo che ci dice quali sono e come debbono essere impiegate: « Le armi della nostra milizia non sono carnali, ma potenti in Dio » [12]. Ecco dunque come sono: né carnali, né deboli, ma spirituali e potenti di virtù divina. Poi l’Apostolo indica in quale combattimento vanno impiegate: « Per distruggere anche le fortezze, distruggendo noi i falsi ragionamenti e ogni rocca elevata contro la conoscenza di Dio, e facendo schiava ogni intelligenza all’obbedienza di Cristo; avendo in pronto anche il punire ogni disobbedienza, quando la vostra obbedienza non sia completa » [13].

Commentare uno a uno questi avvertimenti è per noi un dovere, ma lo rimandiamo ad altro tempo. Ora voglio soltanto descrivere il genere e la proprietà delle armi di cui dobbiamo essere continuamente rivestiti, se vogliamo combattere le battaglie del Signore e militare nelle file del centurione evangelico: « Prendete — dice 1’Apostolo — lo scudo della fede, su cui possiate spegnere tutti i dardi infocati del maligno »[14]. È dunque la fede che riceve i dardi infocati delle passioni e li rende innocui col timore del giudizio futuro e con la fiducia nel regno dei cieli.

« Rivestitevi — continua l’Apostolo — con la corazza della carità»[15]. È infatti la carità che avvolge e protegge le parti vitali del nostro cuore, si oppone alle ferite mortali che potrebbero venirci dalle passioni, respinge gli assalti nemici, impedisce alle frecce del demonio di penetrare fino al nostro « uomo interiore »: essa infatti tutto soffre, tutto sopporta  [16].

« Prendiamo per elmo la speranza della salute » [17]. L’elmo protegge la testa. Il capo per noi è Cristo: questo capo dobbiamo continuamente difendere con l’elmo inespugnabile che è la speranza dei beni futuri. Attraverso tutte le prove e tutte le persecuzioni bisogna conservare intatta e senza incrinature la nostra speranza in lui. Chi sia stato privato delle membra può conservare ancora una vita debole e malsicura, ma senza la testa nessuno può vivere un istante.

« Impugniamo la spada dello spirito, che è la parola di Dio »[18]. Quella spada è « più tagliente di un’arma a due tagli, e penetrante sino a dividere l’anima e lo spirito e le giunture e le midolla, e scrutatrice dei sentimenti e dei pensieri del cuore »[19]. Essa dunque separa e taglia tutto ciò che trova in noi di carnale e di terrestre.

Chiunque si riveste di queste armi sarà sempre difeso contro le frecce e le incursioni del nemico. Mai sarà legato a catena dai suoi vincitori e condotto prigioniero o schiavo nella terra nemica dei cattivi pensieri. Per lui non sonerà il rimprovero del Profeta: « Perché sei diventato vecchio in terra straniera? »[20]. Al contrario, egli sceglierà la sua dimora — come un trionfatore — nella regione dei pensieri che più gli piaceranno.

Volete ora conoscere la forza e l’ardimento con cui il centurione porta le armi descritte, armi non carnali ma potenti in Dio? Ascoltate il re che chiama a raccolta i valorosi per la milizia spirituale. Ecco il segno col quale li contraddistingue: « Il debole dice: io sono forte »[21], e « Colui che è paziente sia soldato »[22]. Vedete dunque che per combattere le battaglie del Signore bisogna essere pazienti e infermi. Si tratta però di quella infermità sulla quale si fondava Paolo, il celebre centurione evangelico, quando esclamava: « Allorché sono infermo, proprio allora son forte » [23]; oppure: « Nella debolezza, meglio risplende la potenza di Dio »[24]. Parlando della medesima infermità, dice il Profeta: « Colui che è il più debole tra loro, sarà stabile come la casa di David »[25]. Per combattere queste battaglie è necessaria la pazienza: precisamente quella pazienza di cui è detto: « La pazienza è per voi necessaria, affinché, facendo la volontà di Dio, otteniate i beni che vi sono stati promessi »[26].

VI - Della perseveranza nel custodire i nostri pensieri

La nostra personale esperienza ci farà conoscere che noi dobbiamo e possiamo rimanere intimamente uniti a Dio, se mortificheremo la nostra volontà ed estirperemo i desideri mondani. Lo stesso insegnamento ci verrà poi dalla testimonianza di coloro che, parlando fiduciosamente col Signore, dicono: « L’anima mia aderisce a te »[27]; oppure: « Io sto attaccato ai tuoi comandi, Signore »[28]; e ancora: « È bene per me stare unito al Signore »[29]; e infine: « Chi sta unito al Signore, fa un solo spirito con lui » [30].

Le divagazioni della mente non debbono mai farci abbandonare questo esercizio dell’unione con Dio, perché « colui che coltiva la sua terra avrà abbondanza di pane », chi invece « si abbandona all’ozio, vivrà nella miseria »[31]. Né dobbiamo farci distrarre, in questo salutare esercizio, a causa di un dannoso scoraggiamento; perché « dove c’è lavoro, c’è abbondanza, ma chi vive nelle delizie senza fatica si troverà in miseria »[32]; e ancora: « L’uomo che lavora, lavora per sé e impedisce così la sua perdita »[33]. Fa al nostro caso anche la parola evangelica: « Il regno dei cieli si acquista con la forza, e i violenti se ne impadroniscono »[34]. Non c’è virtù che si acquisti senza fatica e non c’è nessuno che sia capace di elevarsi alla costanza del pensiero, senza una profonda contrizione del cuore. L’uomo infatti nasce per la fatica[35], né può giungere « alla maturità di uomo fatto, alla misura d’età della pienezza di Cristo » [36], se non si applica continua- mente e fortemente al lavoro interiore. Nessuno raggiungerà « la piena misura » nella vita eterna, se dei valori eterni non avrà nutrito e riempito la sua mente fin dalla vita terrestre: se dell’eternità non avrà gustato un anticipo. Chi è destinato ad essere un membro preziosissimo di Cristo, dovrà possedere fin da questa vita un pegno di quella unione che un giorno lo unirà al corpo del Signore. Costui non avrà che un desiderio, non avrà che una sete: indirizzare tutti i suoi atti e tutti i suoi pensieri al medesimo fine, che è quello di godere fin dalla terra lo stato riservato ai santi in cielo: cioè che « Dio sia tutto in tutti »[37].

 

VII - Domanda sulla volubilità dello spirito e sugli assalti che ci muovono gli spiriti del male

Germano - La volubilità della nostra mente potrebbe essere contenuta, se l’anima umana non fosse assediata da un vero esercito di nemici che la sospingono continuamente là dove essa non vuole, o piuttosto là dove la trascina la volubilità che le è connaturale. Assediata da tanti nemici, e per di più così potenti e feroci, noi stimeremmo l’anima assolutamente incapace di resistere — considerata anche la fragilità della carne — se le vostre parole, che suonano come oracoli, non ci incoraggiassero a credere e a sperare il contrario.

 

Vili - Risposta sull'aiuto di Dio e le facoltà del libero arbitrio

Sereno - Tutti coloro che hanno sperimentato le lotte dell’uomo interiore, sanno bene che noi abbiamo dei nemici sempre occupati a tenderci insidie. Ma noi diciamo che questi nemici si oppongono al nostro progresso in quanto ci sollecitano al male, non in quanto ci determinano al peccato. Se i nostri avversari, oltre alla facoltà di istigarci al peccato, avessero anche il potere di farci peccare, quando volessero accenderci in cuore il fuoco di una qualsiasi concupiscenza, non ci potrebbe essere alcuno capace di resistere. Invece non è così. Essi hanno avuto la facoltà di tentarci, noi abbiamo avuto la libertà di respingere o accettare le loro suggestioni.

Se ci spaventano i loro assalti e la loro potenza, non dobbiamo d’altra parte dimenticare l’aiuto e la protezione di Dio; la sacra Scrittura dice: « Chi è in voi è più potente di colui che sta nel mondo »[38]. L’aiuto di Dio combatte per noi con una forza molto più grande di quella che i demoni impiegano contro di noi. Il Signore infatti non si accontenta di suggerirci il bene, ma se ne fa promotore e operatore, cosicché tante volte ci attira alla salute senza che noi lo vogliamo e ce n’accorgiamo. È chiaro dunque che nessuno può essere ingannato dal demonio, se prima non gli ha voluto dare il consenso della sua volontà. Questa verità è espressa nell 'Ecclesiaste con queste parole: « Poiché non si resiste da parte di coloro che fanno il male, ecco che il cuore degli uomini si riempie di pensieri malvagi »[39]. È dunque chiaro che l’uomo pecca perché non oppone resistenza ai pensieri malvagi che lo assalgono, dice infatti il Signore: « Resistete al demonio, ed egli fuggirà da voi »[40].

 

IX - Domanda sull’unione dell’anima coi demoni

Germano - Quale comunanza c’è fra l’anima e gli spiriti maligni? Si tratta di unione così stretta che alle volte sarei tentato di dire che quegli spiriti non solo si avvicinano all’anima, ma si congiungono con essa. Infatti le parlano intimamente, la penetrano, le ispirano tutto ciò che vogliono, la sospingono agli atti che vogliono, vedono e conoscono in ogni particolare i suoi pensieri e i suoi movimenti. Insomma, è tale e tanta la congiunzione degli spiriti maligni con l'anima nostra, che, senza una grazia speciale di Dio, non sarebbe possibile distinguere ciò che procede da loro e ciò che procede dalla nostra volontà.

 

X - Risposta sul modo in cui gli spiriti immondi si uniscono con l'anima umana

Sereno - Non deve recar meraviglia che uno spirito possa insensibilmente unirsi a un altro spirito, ed esercitare su quello una forza segreta di persuasione per certi suoi fini. Tra gli spiriti, come del resto tra gli uomini, esiste una somiglianza di natura e una certa parentela. Prova ne sia che la definizione data per l’essenza dell’anima si addice anche agli altri spiriti. Però non è possibile una compenetrazione, una unione tale che uno contenga l’altro. Questa prerogativa è riservata soltanto alla divinità perché essa sola è una sostanza incorporea e semplice.

 

XI - Obiezione: Possono gli spiriti immondi, penetrare nell'anima di coloro che hanno infestato

Germano — Questa risposta ci sembra contraddetta da ciò che vediamo nelle persone invasate dal demonio: esse, sotto l’influsso dello spirito immondo, dicono e fanno cose di cui non hanno conoscenza. Come si fa a dire che la loro anima non è unita a questi spiriti, dal momento che le vediamo trasformarsi in un loro strumento, e lasciare il loro stato naturale per assumere dai demoni passioni e sentimenti? Si giunge a tal punto che parole, gesti, volontà, son dei demoni e non delle persone da questi possedute.

 

XII - Risposta sul modo in cui gli spiriti immondi dominano gli energumeni

Sereno - Quanto voi dite degli energùmeni, i quali, sotto l'influsso degli spiriti immondi, dicono o fanno ciò che non vogliono, oppure sono costretti a dir cose che ignorano, non contraddice la mia sentenza, È certo intanto che l'influsso degli spiriti sugli uomini non si esercita in un solo modo. Ci sono energumeni che non hanno alcuna conoscenza di ciò che fanno o dicono, ce ne sono altri che ne hanno conoscenza e se ne ricordano quando l’accesso è passato.

Non pensate che questi fenomeni derivino da una tale infiltrazione dello spirito immondo per cui questo, penetrato nella sostanza dell’anima, faccia quasi una sola cosa con essa, e come rivestito di lei, parli per bocca del paziente. Non si può credere che gli spiriti immondi abbiano una tale potenza. Certi fenomeni non si verificano per una diminuzione dell’anima, ma per la debolezza del corpo; di ciò potrà persuaderci un ragionamento evidente. Quando lo spirito immondo s’impossessa di quelle membra in cui risiede il vigore dell’anima, le grava di un peso insopportabile e così fa piombare nelle più dense tenebre le facoltà intellettuali. Gli stessi effetti vediamo che talvolta si producono anche per vino, febbre, freddo eccessivo, o per altre infermità che vengono dal difuori. Ma lo spirito immondo non ha potere sull’anima; nel caso di Giobbe, il demonio, che aveva avuto ogni potere sul corpo, sentì proibirsi ogni potere sull’anima: « Eccolo in tuo potere, soltanto risparmia la sua anima »[41]. E voleva dire: ti proibisco di sconvolgergli la mente indebolendo Porgano che è sede del pensiero; ti proibisco ancora — finché egli ti resisterà — di oscurargli l’intelletto e il giudizio, soffocando col tuo peso la parte più alta del suo cuore.

 

XIII - Uno spirito non può penetrare un altro spirito. Dio solo è assolutamente incorporeo

Uno spirito può penetrare una materia densa e solida come la nostra carne: questa è cosa facilissima. Non bisogna credere, però, che uno spirito possa unirsi con l'anima (la quale è spirito a sua volta) in maniera tale da compenetrarsi vicendevolmente. Questo è possibile soltanto alla ss. Trinità, la quale si unisce in modo tale alle nature intellettuali che, oltre ad abbracciarle e avvolgerle, le penetra e le conquista all’interno, a somiglianza dell'olio che entra nei corpi.

Noi diciamo che esistono sostanze spirituali come gli angeli, gli arcangeli, le altre virtù celesti, la nostra stessa anima, Paria che respiriamo, ma non si deve credere che queste sostanze siano assolutamente immateriali. Hanno anch’esse un corpo nel quale sussistono: corpo assai più sottile del nostro, come afferma l’Apostolo quando dice: « Ci sono corpi celesti e corpi terrestri » [42]; e ancora: « Si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale » [43]. Da ciò si deduce che Dio solo è assolutamente privo di corpo, perciò lui solo può penetrare tutte le sostanze spirituali e intellettuali, in quanto egli è tutto intero, in tutto e dappertutto. Egli può così vedere e sorvegliare i pensieri dell’uomo, i suoi movimenti interiori e perfino i misteri più profondi dell’anima. Di lui solo l'Apostolo può dire: « Viva è la parola di Dio ed efficace, e più tagliente di una spada a due tagli, e penetrante sino a dividere l’anima e lo spirito, e le giunture e le midolle, e scrutatrice dei sentimenti e dei pensieri del cuore; e non v’è creatura che rimanga nascosta davanti a lui, ma tutto è nudo e palese agli occhi suoi »[44]. E il beato David dice: « Egli forma i loro cuori a uno a uno » [45]; e ancora: « Egli conosce i segreti del cuore »[46]. E Giobbe a sua volta: « Tu solo conosci il cuore degli uomini »[47].

 

XIV - Obiezione tendente a dimostrare che i demoni vedono i pensieri degli uomini

Germano — Secondo quello che vai dicendo, gli spiriti immondi non potrebbero neppur vedere i nostri pensieri, ma ciò pare inaccettabile, perché la sacra Scrittura dice: « Se lo spirito del potente si leva contro di te »[48], e ancora: « Il diavolo aveva messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariote di tradirlo »[49]. Come si fa a credere che i nostri pensieri non sono visibili a loro, dal momento che esperimentiamo come la più gran parte dei pensieri nascono in noi per loro istigazione?

 

XV - Risposta: ciò che i demoni possono e ciò che non possono sopra i pensieri degli uomini

Sereno — È certo che gli spiriti immondi possono conoscere la natura dei nostri pensieri, ma dal di fuori, attraverso congetture che si fondano su segni sensibili, come possono essere le nostre disposizioni, le parole che diciamo, le occupazioni alle quali ci vedono più inclinati. Non possono però conoscere quei pensieri che non sono ancora usciti dal segreto delle nostre anime.

L’accoglienza d’accettazione o di ripulsa che noi riserviamo agli stessi pensieri che essi ci suggeriscono, non la conoscono nell’essenza dell’anima nostra, vale a dire dai movimenti interiori che restano nascosti nel midollo dello spirito; la conoscono invece attraverso i movimenti dell’uomo esteriore e attraverso gli indizi che lasciamo scorgere. Diciamolo con un esempio. Supponiamo che gli spiriti immondi abbiano suggerito un pensiero di gola: se vedranno che il monaco leva gli occhi alla finestra, guarda a qual punto del suo corso è il sole, domanda impaziente che ora è, conosceranno da questi segni che il pensiero di ghiottoneria ha trovato buona accoglienza. Oppure il pensiero suggerito era di fornicazione: se si accorgeranno che il monaco ha ricevuto senza reagire il dardo della passione, se vedranno qualche moto carnale, o per lo meno che non c'è stata una pronta difesa contro la suggestione impura, capiranno che la freccia del piacere avvelenato si è conficcata nel profondo dell’anima. Anche nelle tentazioni di tristezza, di ira, di furore gli spiriti immondi giudicano dai movimenti del corpo e dalle reazioni esteriori, se esse sono entrate nel cuore. Basta uno sdegno muto, un sospiro sdegnato, un trascolorare del volto, un pallore, un rossore. Questi sono i mezzi con i quali quelle intelligenze finissime conoscono chi s’è dato al vizio e a quale vizio si è dato. Sanno bene che ci attrae di più quel vizio il quale, appena suggerito, provoca nel nostro corpo un gesto, un movimento, dal quale arguiscono infallibilmente che ha ottenuto la nostra accettazione, la nostra complicità.

Questa perspicacia degli spiriti immondi non ha niente di strano: vediamo che molti uomini dotati d'intuito psicologico fanno spesso altrettanto: dall'aspetto, dal volto, dal modo d'agire dell’uomo esteriore, riconoscono lo stato dell'uomo interiore. Ora, con quanta più certezza potranno far ciò i demoni, i quali sono indubbiamente, per la loro natura spirituale, più intelligenti e più penetranti degli uomini?

 

XVI - Una comparazione con la quale si dimostra come i demoni conoscono i pensieri degli uomini

Ci son dei ladri che hanno l'abitudine di fare un'ispezione nelle case in cui vogliono compiere il furto per conoscere gli oggetti preziosi che la notte nasconde. Nel più fitto delle tenebre essi scagliano con mano cauta una rena finissima e dal suono lievissimo che risponde alla caduta di quei granelli indovinano gli oggetti preziosi che gli occhi non possono vedere. Dal suono di quella strana voce riconoscono, senza pericolo d’errore, gli oggetti e i metalli di cui son formati.

Anche i demoni, per esplorare i tesori del nostro cuore, scagliano la rena finissima delle loro suggestioni maligne; la risonanza che, a seconda dei casi, sentono destarsi nella nostra sensibilità, è come lo squillo che esce dalle parti più nascoste di una stanza e lascia loro conoscere che cosa sta nascosto nel santuario segreto dell’uomo interiore.

 

XVII - Ogni singolo demonio non suggerisce all'uomo tutte le passioni

Non dobbiamo credere che ogni demonio suggerisca all’uomo tutti i vizi indistintamente. No. Ogni schiera di demoni è specializzata in qualche genere di vizi. Ci son quelli che si compiacciono delle impurità e d’ogni sorta di libidini; ce ne son altri che curano più particolarmente le bestemmie; altri ancora si dilettano con l’ira e il furore. Questi si pascono di tristezza, quelli hanno particolare trasporto per la vanità e la superbia. Ognuno di loro cerca di far entrare nel cuore degli uomini il vizio in cui maggiormente si compiace. Né si creda che scarichino tutti insieme le loro frecce avvelenate: si alternano secondo che richiedono le circostanze di tempo e di luogo e le disposizioni della persona da tentare.

 

XVIII - Domanda: È vero che i demoni hanno un ordine nei loro attacchi e che ciascuno di loro ha un compito particolare?

Germano - Si deve dunque credere che tra i demoni c’è un ordine e una disciplina nel fare il male? Essi hanno un compito da svolgere, e i loro assalti si sviluppano secondo un piano preordinato e ragionevole? Eppure è noto a tutti che la misura e la ragione si trovano nel bene e nella virtù, dice infatti la Scrittura: « Cercherai la sapienza presso i cattivi e non la troverai »[50]; oppure: « I nostri nemici sono insensati » [51]; e ancora: « Non c’è sapienza, né prudenza, né consiglio presso gli empi »[52].

 

XIX - Risposta: In qual modo i demoni si accordino sull'ordine dei loro attacchi

Sereno - Certo, fra i cattivi non vi può essere un accordo durevole e completo; neppure tra i vizi, dei quali i cattivi si dilettano, può esservi una perfetta armonia. Voi l’avete detto già: non si può trovare la disciplina e l’ordine nel cuore del disordine. Tuttavia esistono casi nei quali, o l’azione fatta in comune, o la necessità, o l’identità d’interessi invitano all’unione; allora è necessario che anche i cattivi si trovino per qualche tempo d’accordo.

Un simile accordo si riscontra anche tra gli spiriti del male: si sa infatti che osservano tra loro un ordine di avvicendamento nel tempo e si fissano a certi luoghi per farne la loro abituale dimora. La prova evidente che i demoni sono obbligati ad alternare le tentazioni e che possono assalirci soltanto in momenti determinati e con determinati vizi, sta in questo: è impossibile essere, nello stesso tempo, giocati dalla vanità e bruciare di fuoco impuro, gonfiarsi di orgoglio — vizio spirituale — e abbandonarsi alla gola — vizio carnale —. Così non si può sgangherarsi dalle risa ed essere allo stesso tempo sotto gli impulsi dell’ira, o farsi prendere da una consumante tristezza. Bisognerà allora che ogni demonio abbia il suo tempo per assalire l'anima. Quando è vinto e costretto a ritirarsi, cede il posto ad un altro che attaccherà l'anima con più violenza; ma anche se il primo demonio riesce ad avere la meglio, cede sempre l'anima a un altro spirito maligno perché vi produca anch’esso i suoi scempi.

 

XX - I demoni non hanno tutti la stessa forza e non possono tentarci come vogliono

Non bisogna dimenticare che i demoni non son tutti feroci o appassionati allo stesso modo, non hanno tutti la stessa forza e malizia. Coloro che muovono i primi passi nella vita spirituale, o sono comunque ancor deboli, sono assaliti dai demoni più deboli, ma quando l'atleta di Cristo ha riportato vittoria dei primi avversari, deve gradualmente affrontare battaglie sempre più dure. A mano a mano che aumentano le nostre forze e i nostri progressi, aumentano le difficoltà della battaglia. Nessun santo, chiunque egli sia, potrebbe sostenere la protervia di tali e tanti nemici, potrebbe sventare le loro insidie, sopportare la loro crudele ferocia, se Cristo, il quale presiede al nostro combattimento come arbitro clementissimo e direttore dei giochi, non ristabilisse l’uguaglianza di forze tra noi e i nostri nemici, non respingesse (o almeno frenasse) l’impeto dei loro assalti e non ci concede — insieme con la tentazione — anche la via d’uscita, in modo che possiamo resistere.

 

XXI - I demoni si affaticano nel combattimento con gli uomini

Noi pensiamo che anche i demoni abbiano la loro fatica da sostenere in questo combattimento. Sentono anch’essi, mentre lottano, l’inquietudine e la tristezza, specialmente quando hanno a che fare con gli avversari più forti, voglio dire i santi e i perfetti. Altrimenti, per loro, non si tratterebbe più di combattimento, ma semplicemente di un permesso d’ingannare gli uomini con tutta facilità. E allora come sarebbe ancor vera la parola dell’Apostolo: « La nostra lotta non è con il sangue e con la carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori del mondo delle tenebre, contro gli spiriti maligni dell’aria» [53]? E l’altro passo dell’Apostolo? « Faccio del pugilato, ma non dando i colpi all’aria »  [54]. E ancora: « Io ho combattuto la buona battaglia » [55].

Quando si parla di combattimento, di lotta, di battaglia, è necessario che da entrambe le parti ci sia fatica, sudore, incertezza; da entrambe le parti la sconfitta deve generare dolore e confusione, la vittoria deve condurre la gioia. Se invece, mentre uno dei due contendenti si affatica a combattere, l’altro combatte senza fatica e senza pericolo, e può abbattere il suo avversario solo che lo voglia, allora non si può più parlare di battaglia, di lotta, di combattimento, è meglio dire « aggressione », che va contro la giustizia e la ragione.

Ma no; nella guerra che conducono contro gli uomini, anche i demoni provano difficoltà e fatiche che affrontano per ottenere su ciascuno la vittoria desiderata. Nel caso che restino sconfitti, la confusione che era riservata a noi, qualora avessimo ceduto, cade su di loro, secondo quel che è stato scritto: « Sul capo di quelli che mi stanno d’attorno, ricada la malignità delle loro labbra e li ricopra »[56]; e ancora: «Ricada la calamità sul suo capo»[57]. Infine: «Gli venga addosso la rovina a cui non pensa, e la rete che ha nascosto lo acchiappi, e qui nel laccio egli cada »[58].

I demoni hanno anch’essi da soffrire, e non meno di noi. Qualche volta ci abbattono e qualche volta noi li abbattiamo, e quando sono stati vinti, se ne vanno pieni di confusione.

II Salmista, che aveva sani gli occhi dell’uomo interiore, poteva vedere ogni giorno gli assalti e le sconfitte dei demoni. Ma li vedeva anche far festa per le nostre cadute e le nostre sconfitte, e per timore che potessero menar vanto anche sulla sua personale sconfitta, rivolgeva al Signore questa preghiera: « Dà luce ai miei occhi, che non mi addormenti nel sonno della morte. Guarda e ascoltami, Signore mio Dio, affinché non dica il mio nemico: l’ho sopraffatto, e i miei persecutori non esultino, quand’io barcolli »[59]. E ancora: « Dio mio, non godano a motivo di me. Non dicano in cuor loro: bene, bene, per noi! Non dicano: l'abbiamo divorato! »[60]. Oppure: « Digrignano contro me i loro denti. Signore, fino a quando starai a guardare? »[61]. Perché « I suoi occhi spiano il misero, si rimpiatta nel nascondiglio qual leone nella sua tana, per agguantare il misero attirandolo nella sua rete »[62]. E infine: « Egli chiede a Dio il suo pasto »[63]. Ma quando, nonostante ogni sforzo, s’accorgono di non poterci ingannare, è inevitabile « che siano confusi e svergognati a un tempo, quelli che cercano le anime nostre per togliercele »[64]; che si ricoprano di vergogna e di confusione coloro che pensano male contro di noi[65]. E Geremia dice: « Siano confusi quelli che mi perseguitano e non sia confuso io, siano spaventati loro e non sia spaventato io: manda sopra di essi il giorno dell’afflizione »[66].

Nessuno può dubitare che, dopo essere stati da noi sconfitti, essi saranno tormentati da un doppio cruccio: prima perché vedranno che gli uomini cercano la santità, mentre loro hanno perduto la santità che possedevano e si son fatti causa di perdizione per il genere umano; poi perché pur essendo creature spirituali sono sconfitti da creature carnali e terrestri. Intanto, mentre contempla la rovina dei suoi nemici e le sue vittorie, ogni santo esclama, in un trasporto di gioia: « Inseguirò i miei nemici e li raggiungerò, e non tornerò indietro sino a che non saranno distrutti. Li abbatterò e non potranno risorgere, cadranno sotto i miei piedi »[67]. E lo stesso profeta prega così contro questi nemici: « Giudica, o Signore, quei che mi fanno del male, combatti quei che mi combattono. Piglia le armi e lo scudo e levati in mio aiuto. Sguaina la spada e sbarra la via di fronte ai miei persecutori, dì all'anima mia: io son la tua salvezza »[68]. E quando, dopo aver sottomessi tutti i vizi, avremo riportato piena vittoria sopra i demoni, meriteremo di sentirci rivolgere questa parola di benedizione: « La tua mano si levi sopra i tuoi nemici e tutti coloro che ti si oppongono periranno »[69].

Queste strofe, e altre simili, che noi leggiamo e cantiamo sui libri sacri, le dobbiamo intendere come scritte unicamente contro gli spiriti del male, che c'insidiano di giorno e di notte. Se le intendessimo in altro senso, non soltanto non potremmo più essere edificati e istruiti nella pazienza e nella dolcezza, ma ne trarremmo dei sentimenti di cattiveria incompatibili con la perfezione evangelica. Perché in tal caso, oltre a non pregare per i nostri nemici e a non amarli, impareremmo anche a detestarli con un odio implacabile, a maledirli e a imprecare continuamente contro loro. Pensare che quegli uomini santi e amici di Dio abbiano detto tali espressioni con sentimento di odio, sarebbe un peccato e un sacrilegio. Essi infatti, prima ancora della venuta di Cristo, si levarono al disopra delle prescrizioni della Legge e, anticipando i tempi, preferirono obbedire ai comanda- menti del Vangelo e ricercare quella perfezione che poi fu degli apostoli.

 

XXII -I demoni non hanno facoltà di nuocere come e quanto a loro piace

Gli spiriti maligni non hanno facoltà di far male a chi vogliono. L’esempio del beato Giobbe ne è una prova lampante: il nemico non ardisce tentarlo al di là di quel segno che ha stabilito la volontà divina. Il fatto è confermato nel Vangelo con la confessione degli stessi demoni, i quali dicono al Signore: «Se ci scacci di qui, mandaci in una mandria di porci » [70]. Con quanta più ragione bisognerà pensare che essi non han facoltà di entrare a loro arbitrio nel corpo di un uomo creato a immagine di Dio, se si riflette che senza il permesso divino non poterono entrare neppure in una mandria di porci. Infine, se i demoni avessero la facoltà e la libertà di nuocere e tentare a loro capriccio, nessuno di questi giovani che noi vediamo costantemente dimorare nel deserto — anzi nessuno degli uomini ormai perfetti — potrebbe abitare solo nell’eremo, assediato da così numerosi e così terribili nemici. E l’evidenza del nostro ragionamento è suffragata anche dalla parola che il Signore e Salvatore nostro, nell’umiltà della sua natura umana, rivolse a Pilato: « Non avresti su di me alcuna potestà, se non ti fosse stata data dall’alto »[71].

 

XXIII - La potenza dei demoni è diminuita

La nostra esperienza e la tradizione che ci viene dagli anziani ci assicurano che i demoni non hanno, ai nostri tempi, tutta quella forza che avevano una volta, al principio cioè della vita anacoretica, quando il deserto dava ricetto soltanto a qualche raro solitario. La loro violenza era allora tanto feroce che solo un piccolo numero di monaci, ben radicati nella virtù e molto avanzati in età, poteva sopportare la dimora del deserto. Anzi, la ferocia dei demoni si scatenava terribile negli stessi monasteri dei cenobiti, dove vivevano insieme fino a otto e dieci fratelli. Gli attacchi, anche sotto forma visibile, erano così frequenti che i monaci non potevano dormire tutti contemporaneamente, ma erano costretti a darsi il turno. Mentre alcuni prendevano riposo, altri vegliavano nella recita dei Salmi, nella preghiera, nella lettura spirituale. Quando la stanchezza li costringeva a prendere riposo, svegliavano gli altri, perché montassero di guardia e proteggessero quelli che stavano per darsi al sonno.

Da questo si deduce che la sicurezza e la fiducia di cui godiamo oggi, non solo noi vecchi che troviamo un certo aiuto negli anni e nell’esperienza, ma anche i più giovani, hanno alla loro origine due cause. O la potenza della croce ha penetrato fino nell’intimo le nostre solitudini e la sua grazia, che brilla in ogni luogo, ha mortificato i demoni, op pure la nostra negligenza li ha resi svogliati ad assalirci e li ha dissuasi dall’impiegare contro di noi la violenza con la quale si scagliavano contro quegli antichi e meravigliosi atleti di Cristo. La stessa cessazione degli assalti visibili potrebbe servir loro per ingannarci e per infliggerci sconfitte più cocenti. Molti monaci ormai son caduti in una spaventosa tiepidezza. Bisogna accarezzarli con ammonizioni che sanno di debolezza. Bisogna accontentarsi che non abbandonino le loro celle, per tornare alle antiche e pericolose inquietudini, per andarsi a cacciare in vizi più gravi, dopo a- ver assecondato il loro istinto di girovaghi. Sembra di aver ottenuto molto se si riesce a convincerli di rimanere nel deserto, anche se appesantiti dall’apatia. Gli anziani hanno preso l’abitudine di esortarli cosi: « Rimanete nelle vostre celle, e poi mangiate, bevete, dormite, quanto vi pare e piace: basta che rimaniate in cella ».

 

XXIV - Come i demoni si preparino l'ingresso nel corpo degli ossessi

Siamo ormai convinti che gli spiriti immondi non possono penetrare in coloro che vogliono possedere, senza prima essersi impadroniti del loro spirito e dei loro pensieri. Ed ecco le fasi della conquista. Prima sottraggono alle vittime designate il timore di Dio, il suo ricordo, la meditazione spirituale, poi, quando vedono l’anima spoglia del soccorso e della protezione divina, si gettano audacemente sulla preda, che è divenuta facile; infine fissano nell’anima la loro dimora, come se fosse un possesso lasciato in loro balia.

 

XXV - Coloro che son posseduti dai vizi son più miserabili di coloro che sono posseduti dal demonio

Ma in una forma ancor più grave e terribile son tormentati dai demoni coloro che, pur essendo liberi dal loro dominio per quanto riguarda il corpo, sperimentano nell’anima, fatta schiava dei vizi e dei piaceri peccaminosi, la più tremenda possessione diabolica. Per loro dice l’Apostolo: « Uno è schiavo di colui dal quale è stato vinto » [72]. Lo stato di questi tali è il più disperato di tutti, perché, essendo diventati come cose possedute dal demonio, non si accorgono degli attacchi ai quali sono esposti e della tirannia che subiscono.

Sappiamo che anche il corpo di uomini santi fu abbandonato al demonio, o colpito da gravi malattie, per colpe molto leggere. Ed eccone la ragione: la clemenza di Dio non sopporta di trovare in loro il più piccolo difetto o la più piccola macchia, nel gran giorno del giudizio; perciò si prende premura — come dice il Profeta, anzi come dice

Dio stesso — di togliere fin da questa vita le scorie che ancora conservano, affinché possano essere introdotti immediatamente nell'eternità beata, a somiglianza di oro o d’argento che non abbisogna di altra purificazione, perché è già stato purificato dal fuoco. « Fonderò — dice il Signore — le tue scorie e le colerò e toglierò via tutto il tuo stagno; e dopo di ciò sarai chiamata città del giusto, città fedele »[73]. E ancora: « Come l’argento si prova al fuoco e l’oro al fornello, così il Signore prova i cuori »[74]. E insiste: « Nel fuoco si saggia l’oro e l’argento e gli uomini accetti nel crogiuolo dell’umiliazione »[75]; e infine: « Il Signore castiga chi ama e sferza ogni figliolo che accoglie »[76].

 

XXVI - Morte violenta di un profeta sedotto; malattia dell'abate Paolo da lui meritata a scopo di purificazione

Un esempio che vale a confermare la verità di quanto siamo venuti dicendo è quel profeta e uomo di Dio del quale si legge al terzo libro dei Re. Egli commette una sola colpa di disobbedienza, e non per calcolo o volontà perversa, ma perché è raggirato da un altro; eppure è subito ucciso da un leone. Ecco come la Scrittura parla del fatto: « È l’uomo di Dio che, essendo stato disobbediente alla parola del Signore, fu dal Signore dato in preda al leone, il quale lo ha lacerato e ucciso secondo la parola che gli aveva detto » [77]. Questo episodio ci mostra che Dio abbandonò il profeta al leone, soltanto per lavare la colpa da lui appena commessa, per cancellare l’errore di un momento d’inavvertenza ; ma nello stesso tempo Dio volle riaffermare i meriti del suo profeta, come si vide dalla insolita condotta del leone, il quale, nonostante la sua naturale voracità, non osò toccare il cadavere che aveva davanti.

Un altro esempio chiaro e lampante di questa verità, si è avuto ai nostri tempi nella persona dell’abate Paolo e in quella dell’abate Mosè. Il secondo di questi abitava quella parte del deserto che si chiama Calamo; il primo abitava in un eremo vicino alla città di Panefisi; il quale eremo, si è formato in tempi piuttosto recenti, a seguito di una inondazione d’acque salate. Quando soffia il vento del Nord, l’acqua, sollevata dagli stagni, si spande sulle terre circostanti e copre tutta la superficie della regione; così gli antichi paesi, abbandonati ormai dai loro abitanti per le ragioni note, emergono sull’acqua come tante isole.

Il nostro abate Paolo, dunque, nella pace e nel silenzio del deserto, era salito a tale purezza di cuore da non poter sopportare la vista, non dico di un volto, ma neppure di un vestito di donna. Un giorno, mentre Paolo, in compagnia dell’abate Archebio, che abitava nello stesso eremo, andava alla cella di un monaco anziano, s’imbatté per caso in una donna. L’incontro lo turbò fino al punto che immediatamente dimenticò il dovere di carità per il quale si era proposto di render visita al confratello, tornò indietro e si mise a correre verso il suo monastero con la velocità di uno che avesse visto un leone o un dragone spaventoso. Inutilmente l’abate Archebio lo richiamava; grida e implorazioni non valevano a piegarlo e a convincerlo che bisognava continuare il cammino intrapreso per fare visita al vecchio confratello.

Quel gesto era stato ispirato da zelo per la castità e da amore per la purezza, tuttavia non era compiuto con moderazione, e oltrepassava i limiti di una austerità anche rigorosa. Il nostro abate credeva di dover fuggire non la sola familiarità con donne — cosa questa veramente pericolosa — ma la stessa vista di una figura femminile. Il castigo arrivò immediato. Il suo corpo fu colpito da paralisi e nessun membro fu più capace di compiere i propri uffici. I piedi e le mani rifiutavano ogni servizio; la lingua rimaneva immobile nella bocca muta, le orecchie stesse avevano perduto la capacità di udire. Diventato insensibile e immobile, conservava la sola apparenza dell’uomo. In quello stato, la carità degli uomini suoi confratelli non bastava più a tutti i servizi di cui l’infermo abbisognava e si mostravano necessarie le cure di una donna. Fu portato allora in un monastero di sacre Vergini e furono mani femminili a fargli prendere da mangiare e da bere, a provvedere ad ogni altra sua necessità; egli ormai era diventato incapace di chiedere qualcosa anche con un segno del capo. E così durò quattro anni, cioè fino al termine della sua vita.

Mentre la paralisi immobilizzava così tutte le sue membra, sottraendo ad esse sensibilità e moto, usciva da lui una virtù operatrice di miracoli. L’olio che era stato a contatto con il suo corpo — meglio sarebbe dire cadavere — guariva istantaneamente i malati che ne venivano unti, qualunque fosse il loro male. Per tal modo fu chiaro come la luce del sole, anche agli occhi degli infedeli, che quella paralisi generale era un dono misericordioso di Dio e la grazia delle guarigioni era venuto, dallo Spirito Santo, per comprovare la sua purezza e manifestare i suoi meriti.

 

XXVII - Tentazione dell'abate Mosè

L’abate Mosè, il quale, come già abbiamo detto, abitava in questo deserto, pur essendo un uomo unico e davvero incomparabile, in punizione di una parola poco caritatevole, che aveva pronunciato nel corso di una discussione con l’abate Macario, fu abbandonato a un demonio tanto crudele che lo spingeva a cibarsi di escrementi umani. Ma il Signore mostrò, con la prontezza della guarigione, che quel castigo aveva lo scopo di purificare il colpevole, affinché nell’anima sua non rimanesse la macchia neppur di una colpa momentanea. Essendosi messo in preghiera l’abate Macario, lo spirito maligno lasciò Mosè in men che non si dice.

XXVIII - Non si possono disprezzare coloro che sono in potere degli spiriti immondi

Da questo si deve dedurre che non possiamo abominare o disprezzare quei fratelli che vediamo alle prese con diverse tentazioni, o dati in potere degli spiriti maligni. Noi dobbiamo ritenere fermamente due cose: innanzi tutto, nessuno è tentato dai demoni senza che Dio lo permetta; in secondo luogo, che tutto quanto ci viene da Dio — triste o lieto che ci appaia — ci è dato da un padre amoroso, da un medico desideroso del nostro profitto.

Coloro che sono umiliati assomigliano ai bambini affidati al pedagogo: l’umiliazione fa sì che, partendosene da questo mondo, si presentino purificati alla porta dell’eternità, oppure abbiano da subire una purificazione leggera prima di iniziare la vita beata. Insomma: essi sono — dice l’Apostolo — « Consegnati a Satana nella vita presente, per la rovina della sola carne, affinché lo spirito si salvi nel giorno del Signore » [78]78.

XXIX - Obiezione: perché coloro che son posseduti dagli spiriti immondi sono esclusi dalla comunione eucaristica?

Germano - E allora, perché nelle nostre regioni, coloro che son posseduti dal demonio, oltre ad essere in orrore e disprezzo a tutti, sono anche — per un’antica usanza — tenuti lontani dalla comunione eucaristica? Perché si applica a loro la parola del Vangelo: « Non date le cose sante ai cani; non gettate le margherite davanti ai porci »? [79]. La nostra condotta non è da approvarsi, se è vero — come tu dici — che Dio umilia le anime con queste prove al solo fine di purificarle e di beneficarle.

 

XXX - Risposta alla domanda

Sereno - Se possediamo questa persuasione, o meglio questa fede, di cui ho parlato sopra, e secondo la quale tutto viene da Dio ed è indirizzato al bene delle anime, invece di guardare con disprezzo gli indemoniati, noi pregheremo continuamente per loro, come pei membri del nostro stesso corpo. Avremo altresì compassione del loro stato, perché « quando un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui »[80]. Dobbiamo ricordare che per il fatto che essi sono « nostre membra », noi non potremo raggiungere la nostra completa perfezione senza di loro, come anche i santi che vissero avanti a noi non poterono ottenere senza di noi il pieno compimento della divina promessa. Dice di loro l'Apostolo: « Tutti costoro, pur ricevendo testimonianza per la loro fede, non conseguirono Poggetto della loro promessa, Dio infatti volle — per un favore particolare che ci ha fatto — non arrivassero alla perfezione senza di noi »[81].

Quanto alla comunione eucaristica non conosco disposizioni che ne allontanino gli energumeni; penso, al contrario, che essi dovrebbero riceverla ogni giorno. Infatti non è vero che in tal caso — secondo la sentenza evangelica da voi citata a sproposito — si darebbero le cose sante ai cani, o ai demoni, ma si deve invece ritenere che la santa comunione andrebbe a purificare e a proteggere corpo e anima del posseduto da Satana. L’Eucaristia diventa, per lo spirito che risiede in quel corpo o tenta di penetrarci, un fuoco che brucia e lo obbliga a fuggire. In questo modo e con questa cura noi abbiamo visto guarire l’abate Andronico e molti altri. Il nemico sarà tanto più feroce verso il povero ossesso se lo vedrà tenuto lontano dalla medicina celeste, e quanto più a lungo lo vedrà escluso dalla medicina dello spirito, tanto più i suoi assalti si faranno feroci e frequenti.

 

XXXI - Sono più miserabili coloro che non meritano di esser sottoposti a queste prove temporali

I veri miserabili sono coloro che, dopo essersi macchiati delle colpe più vergognose, non solo non lasciano scorgere alcun segno della possessione diabolica, ma non hanno neppur da subire qualche prova degna della loro condotta; non ricevono neppure il più piccolo fastidio. Costoro non sono degni del rimedio rapido e pronto del tempo presente. Il loro indurimento, il loro cuore impenitente, superano i castighi propri di questa vita. Perciò essi « ammassano un tesoro d’ira per il giorno dell’ira e della manifestazione del giusto giudizio di Dio »[82]. E dopo quel giorno, « il loro verme non morrà, e il loro fuoco non si estinguerà »[83].

Meravigliato di vedere i santi afflitti da disgrazie e tentazioni, mentre i peccatori trascorrono il viaggio della vita senza sentire il flagello dell’umiliazione, anzi allietati dall’abbondanza delle ricchezze e favoriti dalla fortuna, il Profeta grida in atto sdegnoso: « Per poco non hanno vacillato i miei piedi, per poco non sono sdrucciolati i miei passi, perché mi sono indignato contro i malvagi, vedendo la pace dei peccatori. Non c’è timore nella loro morte, e le piaghe da cui sono stati colpiti non avevano durata; non hanno per- te alla fatica degli uomini e con gli uomini non sono stati castigati »[84]. E vuol dire che nell’eternità saranno puniti in compagnia dei demoni coloro che non meritarono in questa vita la parte e il trattamento dei figli, né d’essere colpiti come il resto degli uomini.

Anche il profeta Geremia tratta col Signore della prosperità degli empi e, pur protestando di non dubitare della giustizia divina (dice infatti: Tu sei giusto, o Signore, e io non posso disputare con te)[85], domanda tuttavia la causa di questa disparità, e dice: « Com’è che agli empi tutto cammina prosperamente, che tutti i prevaricatori e quelli che si danno a malfare sono felici? Tu li hai piantati e hanno messo radice, fanno bella crescita e fanno frutto. Tu stai vicino alla loro bocca e lontano dal loro cuore »[86]. Nonostante tutto, il Signore piange sulla loro rovina, come si legge nella stessa profezia di Geremia. Pieno di sollecitudine per loro, manda — allo scopo di guarirli — medici e maestri: li provoca in qualche modo a piangere con lui, e dice: « All’improvviso è caduta Babilonia ed è andata in sfacelo, ululate sovr’essa, cercate balsamo pel suo dolore, se mai potesse guarire »[87]. Ecco ora la risposta disperata degli angeli ai quali è stata affidata la cura della salvezza degli uomini, oppure, ecco la risposta del profeta a nome degli Apostoli, oppure, ecco la risposta degli uomini spirituali e dei maestri che conoscono l'indurimento di questi infelici e il loro cuore impenitente: « Abbiamo curato Babilonia e non è guarita, abbandoniamola e andiamo ciascuno al proprio paese, perché il suo giudizio ha raggiunto il cielo, fino alle nubi si è alzato » [88].

Anche Isaia pensa al loro male inguaribile quando, in persona di Dio, così parla a Gerusalemme: « Dalla pianta dei piedi fino alla sommità della testa, non ho nulla di sano; ferita e lividura ed enfiata piaga, non fasciata, non medicata, né curata con l’olio » [89].

 

XXXII - Diversità di gusti e d’inclinazioni che si riscontrano negli spiriti dell’aria

È certo che nei demoni ci sono — come negli uomini — inclinazioni diverse. Alcuni di loro, che la voce popolare chiama « vagabondi », sono ingannatori e buffoni. Stanno in luoghi abitati o sulle strade, ma non si dilettano a tormentare quei passanti che riescono ad ingannare; si accontentano di ridere e scherzare: hanno più il gusto di affaticare che di nuocere.

Alcuni si divertono ad assalire gli uomini con incubi notturni, ma senza far alcun male. Ce ne sono altri particolarmente pazzi e crudeli. Non contenti di tormentare con cru deli lacerazioni il corpo di coloro che posseggono, si scagliano, anche da lontano, su coloro che passano per infliggere loro gravissimi danni. Di questa specie erano i demoni dei quali ci parla il Vangelo: la gente ne aveva paura, tanto che nessuno ardiva più di passare per la via in cui svolgevano la loro attività[90]. Son questi stessi demoni — o altri somiglianti a loro — che, accesi di una ferocia insaziabile, si dilettano di guerre e di stragi.

Vediamo altri demoni, detti volgarmente « Bacucèi », gonfiare di sciocco orgoglio coloro che hanno preso a possedere. Sforzandosi di innalzare la propria statura, questi ossessi prendono talvolta atteggiamenti alteri e maestosi, altra volta sembra vogliano farsi piccoli e affabili, prendendo tutti i segni dell’umiltà. Può anche accadere che pensino di essere grandi personaggi, cosicché tutti tengano gli occhi fissi su loro; ma ecco che poi s’inchinano come per rendere omaggio a qualcuno più potente di loro. Qualche volta credono di ricevere anch’essi segni di rispetto e li accolgono con quegli atteggiamenti umili o superbi che sono di prammatica nella vita normale.

Abbiamo trovato certi spiriti del male che non solo amano la menzogna, ma addirittura ispirano la bestemmia. E questo posso attestarlo io stesso che ho udito un demonio dichiarare espressamente di essersi servito di Ario e di Ne- storio per mettere in circolazione dottrine empie e sacrileghe[91].

Uno di questi spiriti bugiardi, nel quarto libro dei Re si vanta in questi termini: « Uscirò e sarò spirito di menzogna sulla bocca di tutti i suoi profeti »[92]. Di questa categoria dei demoni parla l’Apostolo, quando, rimproverando coloro che da essi si fanno ingannare, così esclama: « Alcuni danno retta a spiriti ingannatori e a dottrine dei demoni che mentiscono ipocritamente » [93].

Il Vangelo ci assicura che esistono altri generi di demoni, come quelli sordi e quelli muti. Il profeta poi ci avverte che esistono spiriti della libidine e della lussuria, dice infatti: « Lo spirito di fornicazione li trasse nell’errore ed hanno fornicato apostatando dal loro Dio »[94]. L’autorità della sacra Scrittura c’insegna che esistono i demoni della notte, del giorno, del mezzogiorno. Ma non si finirebbe più se si volessero scorrere tutte le sacre Scritture per raccogliervi a imo a uno tutti i generi di demoni: ci sono gli onocentauri, i pelosi, le sirene, i gufi, i barbagianni, le lamie, gli struzzi, i ricci: tutti questi si trovano nei profeti. Bisogna inoltre aggiungere l’aspide e il basilisco di cui parlano i Salmi, più il leone, il dragone, lo scorpione, di cui parla il Vangelo, poi il principe di questo mondo, i capi di questo mondo delle tenebre, gli spiriti di malizia, dei quali parla s. Paolo. E ancora non dobbiamo credere che questi nomi siano dati a caso. Queste bestie selvatiche, che sono per noi più o meno dannose, indicano il particolare grado di ferocia o di rabbia dei vari demoni. È così che la straordinaria somiglianza con la perfidia veramente sovrana di certi animali selvaggi e di certi serpenti fa trasferire ai demoni il nome di quelle bestie. Ad uno si addice la qualifica di leone, a causa della sua violenza e degli scoppi funesti della sua ferocia; a un altro conviene il nome di basilisco, a motivo del suo veleno mortale, che uccide prima ancora di essere avvertito; a un altro ancora il torpore della malizia ha meritato il nome di onocentauro, riccio, struzzo.

 

XXXIII - Domanda: da dove ha origine una sì grande diversità tra i demoni?

Germano - Siamo certi che si riferiscono ai demoni anche quelle classificazioni di cui parla s. Paolo quando dice: « La nostra lotta non è col sangue e con la carne, ma contro i Principi e le Potestà, contro i dominatori del mondo delle tenebre, contro gli spiriti maligni dell’aria »[95]. Vorremmo ora conoscere donde deriva una sì grande diversità tra loro e come hanno avuto origine tanti gradi di malizia. Hanno forse sortito dalla stessa creazione il grado ora occupato in quella che potremo chiamare la gerarchia della malizia?

 

XXXIV - Si rimanda ad altro tempo la soluzione della questione proposta

Sereno — Le vostre domande ci hanno fatto dimenticare il riposo della notte; non ci accorgiamo neppure che è vicina l’aurora; anzi, tutto ci invoglia a continuare fino alla levata del sole un colloquio che non ci fa mai sazi. Ma la domanda che mi avete ora rivolto ci condurrebbe — se raffrontassimo — in un mare vastissimo e profondissimo di problemi, mare che la brevità del tempo a nostra disposizione non ci consentirebbe di attraversare. Perciò stimo più conveniente rimandare tutto alla notte prossima, così anch’io — da un più lungo colloquio con voi — trarrò più gioia e vantaggio spirituale, e oltre a ciò, se lo Spirito Santo ci ispirerà propizio, avremo agio di penetrare più a fondo i sensi nascosti della questione.

Prendiamo dunque un po’ di sonno, per scuotere quel sopore che, sul far del giorno, ci grava gli occhi. Poi andremo tutti alla Chiesa, dove ci invita la ricorrenza domenicale che oggi celebriamo. Dopo la sacra sinassi, sentiremo raddoppiare la nostra gioia nello scambiarci quei doni di luce che il Signore ci vorrà elargire, mosso dall’ardore del vostro desiderio.


[1] Sap 9, 15.

[2] Qo 7, 29.

[3] Pr 19, 7 (LXX).

[4] Sal 83, 6.

[5] Mt 9, 4.

[6] Is 1, 16.

[7] Ger 4, 14.

[8] Is 66, 18.

[9] Rm 2, 15-16.

[10] Mt 8, 9.

[11] Es 18,21; Non stiamo a notare che in questo passo, l’interpretazione allegorica della sacra Scrittura è più forzata del solito.

[12] 2  Cor 10, 4.

[13] 2 Cor 10, 4-6.

[14] Ef 6, 16.

[15] 1 Ts 5, 8.

[16] 1 Cor 13, 7.

[17] 1 Ts 5, 8.

[18] Ef 6, 17.

[19] Eb 4, 12.

[20] Bar 3, 11.

[21] Gl , 10 (LXX).

[22] Gl 3,11.

[23] 2 Cor 12, 10.

[24] 2 Cor 12, 9.

[25] Zc 12, 8 (LXX).

[26] Eb 10, 36.

[27] Sal 62, 9.

[28] Sal 118, 31.

[29] Sal 72, 28.

[30] 1 Cor. 6, 17.

[31] Pr 28, 19.

[32] Pr 14, 23.

[33] Pr 16, 26.

[34] Mt 11, 12.

[35] Gb 5, 7.

[36] Ef 4, 13.

[37] 1 Cor 15, 28.

[38] Gb 4, 4.

[39] Qo 8, 11 (LXX).

[40] Gc 4, 7.

[41] Gb 2, 6.

[42] 1 Cor 15, 40.

[43] 1 Cor 15, 44.

[44] Eb 4, 12-13.

[45] Sal 32, 15.

[46] Sal 43, 22.

[47] 2 Cr 6, 30; oltre a notare che la citazione di Giobbe è sbagliata, ricordiamo ai nostri lettori che la teologia anteriore a san Tommaso d’Aquino attribuiva agli spiriti creati un corpo fatto di sostanza sottilissima, che molti, con termine preso in prestito da Aristotele, chiamavano « etere ».

[48]Qo 10, 4.

[49] Gv 13,2.

[50] Pr 14, 6.

[51] Dt 32, 31.

[52] Pr 21, 30.

[53] Ef 6, 12.

[54] 1 Cor 9, 26.

[55] 1 Tm 4, 7.

[56] Sal 139, 10.

[57] Sal 7, 17.

[58] Sal 34, 8.

[59] Sal 12, 3-5.

[60] Sal 34, 24-25.

[61] Sal 34, 16-17.

[62] Sal 9, (10), 9.

[63] Sal 103, 21.

[64] Sal 39, 15.

[65] Sal 34, 26.

[66] Ger 17, 18.

[67] Sal 17, 38-39.

[68] Sal 34, 1-3.

[69] Mi 5, 9.

[70] Mt 8, 31.

[71] Gv 19,11.

[72] 2 Pt 2,19.

[73] Is 1, 25-26.

[74]Pr 17, 3.

[75] Pr 2, 5.

[76] Eb 12, 6.

[77] 1 Re (3 Re; Vulg.) 13,26.

[78] 1 Cor 5,5.

[79] Mt 7,6.

[80] 1 Cor. 12, 26.

[81] Eb 11, 39-40.

[82] Rm 2, 5.

[83] Is 66, 24.

[84] Sal 72, 2-5 (LXX).

[85] Ger 12, 1.

[86] Ger 12, 1-2.

[87] Ger 51, 8.

[88] Ger 51, 9.

[89] Is 1, 6.

[90] Mt 8, 28.

[91] Ario e Nestorio sono due eretici. Il primo negò la divinità di Cristo, il secondo negò, insieme, la divinità del Figlio e dello Spirito Santo.

[92] 1 Re (3 Re; Vulg.) 22, 22.

[93] 1 Tm 4, 1-2.

[94] Os 4, 12.

[95] Ef 6, 12.

 


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4 dicembre 2018                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net